Elezioni in Liguria, l’autogol del campo progressista
Dunque ha vinto Marco Bucci, l’underdog scaraventato dalla moral suasion di Giorgia Meloni nella tenzone ligure. Vittoria di corto muso, per usare una metafora calcistica, ma pur sempre la vittoria del centrodestra, prodigiosamente risorto come l’Araba Fenice dalle ceneri della giunta Toti. Bucci, il sindaco di Genova, l’alter ego del governatore cancellato dall’inchiesta della magistratura è stato il jolly estratto dalla premier: “Marco ti chiedo un favore personale. Devi candidarti”. Bucci aveva risposto signorsì, nonostante la salute purtroppo insidiata da una malattia seria. La mossa Bucci ha sparigliato le carte e vinto la corsa alla regione Liguria. Meno di diecimila i voti di differenza fra i due schieramenti, Bucci e lo sfidante di centrosinistra, il piddino Andrea Orlando. Ma tanto è bastato. Eppure Genova, la grande testa su un piccolo corpo, ha scaricato Bucci e i suoi, nella città capoluogo ha vinto il centrosinistra (49,1% a 47,1%) e il Pd ha raccolto il 28,6% col voto di lista. Un trionfo. Anzi, no. Una vittoria di Pirro. A piazza De Ferrari, nel palazzone che fu la sede dell’Italia di Navigazione (altri tempi…) andrà a sedere “il sindaco del fare”, abilmente sorretto dalla macchina propagandistica collaudata, a suon di milioni, dal “gemello”, Giovanni Toti.
Orlando l’ha presa male. “Colpa dei veti all’interno del campo largo”, ha lacrimato in diretta. “No, con Renzi avremmo perso più voti” gli ha risposto Giuseppe Conte, dal basso del catastrofico risultato dei 5 stelle: al 4,6% in regione, poco più della metà del risultato del 2020, allora però il capolista e candidato alla guida della regione, Ferruccio Sansa, era ancora nei ranghi del Movimento, ora è traslocato in AVS, premiata da un lusinghiero 6,2%.
Istantanea la resa dei conti nel campo degli sconfitti. Più che mai Grillo Parlante, Renzi ha sparato a palle incatenate su Conte: “Con i nostri voti avremmo vinto”. Dimentica, l’ex Rottamatore, di aver appoggiato a lungo in giunta a palazzo Tursi il sindaco Bucci, definito “un bravo sindaco”. Il suo assessore, Mauro Avvenente soltanto a settembre aveva lasciato Italia Viva. La politica non è aritmetica pura e l’ipotesi di arruolare Italia Viva nelle fila dei progressisti aveva sollevato ondate di netto dissenso tra la base del Pd e la promessa di tantissimi militanti di non andare alle urne. Se poi si vuole fare i conti della serva la dispersione di voti nelle liste di sinistra-sinistra e nella lista dell’ex 5 Stelle Morra (che hanno raccolto quasi il 3%) ha sicuramente favorito la vittoria di Bucci. Nel più puro e tradizionale metodo-Tafazzi che nessuno come la sinistra sa applicare con magistrale puntualità.
Il centrosinistra ancora una volta ha perso per l’insipienza di una proposta politica scontata nei contenuti (sanità, lavoro, scuola), malamente trasmessa all’elettorato a differenza dei rivali il cui messaggi propagandistico, essenziale e martellante, collaudato in anni di governo locale anche grazie al massiccio apporto di denaro in campagna elettorale, ha imperversato come una alluvione sulle teste degli elettori liguri. Da una parte non si è riusciti a schiodare la larghissima fetta di astensionisti cronici, per lo più delusi dalla sinistra e dai 5Stelle, che avrebbero cambiato il corso delle cose e rovesciato il verdetto finale. Dall’altra si sono spremute tutte le energie chiamando a raccolta sotto le bandiere di Bucci tutti i cacicchi di provincia, in testa l’inossidabile Claudio Scajola, ex ministro di Berlusconi e sindaco di Imperia, ma anche il leghista Rixi, fedelissimo di Salvini, e i dispersi reduci totiani, peraltro premiati con alcune candidature. Il capolavoro della destra è stato riuscire a far dimenticare agli elettori lo scandalo giudiziario che aveva travolto la giunta Toti.
Ancora una volta appena sente odore di urne la destra si ricompatta, mette da parte divisioni e dissensi e corre compatta. I problemi degli equilibri interni alla coalizione verranno a galla ma a urne chiuse e elezioni vinte. L’autogol del campo progressista, sciaguratamente liquidato da Conte a un mese dalle elezioni (il cascame delle lotte intestine con Grillo) è stato l’ondivago e pendolare procedere fra tentazioni di sinistra e ammiccamenti al fantasma centrista che i liguri hanno punito duramente. Al successo del Pd, primissimo partito della regione col 28,4%, fa da contraltare il crollo dei 5Stelle (4,6%) e il modestissimo risultato della lista di Carlo Calenda (1,8%). Sul fronte opposto il voto si è sgranato. Fratelli d’Italia è uscito con un mediocre 15,1%, compensato dal 9,5% della lista del sindaco. La Lega ha battuto di stretta misura Forza Italia: 8,5% contro l’8%.
Ad urne ancora calde in Liguria si apre un’altra contesa elettorale. Bucci lascerà la poltrona di sindaco di Genova e già in primavera si tornerà alle elezioni. L’eredità di Bucci non sarà semplice da raccogliere per il centrodestra. Il candidato in pectore è l’attuale vicesindaco Pietro Piciocchi, esponente dei Pro Vita e vicinissimo alla curia genovese. Il risultato genovese alle regionali segnala una certa disaffezione nei confronti del “sindaco del fare”. Sul fronte progressista acque agitate. Nonostante il successo del Pd, tornato vicino ai risultati dei tempi belli, Orlando incassa una confitta personale molto dura e già s’intravvede l’ombra lunga di Claudio Burlando, ex ministro ed ex governatore Ligure, padre cosiddetto nobile del Pd ligure. Burlando aveva ingoiato la candidatura di Orlando in mancanza di alternative valide. Ora passerà all’incasso. Dopo anni a fare il Cincinnato fra le colline dell’entroterra ligure, Burlando tornerà in campo e farà sentire di nuovo la sua voce. E non sarà un bel canto…