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Chi vincerà in Emilia-Romagna? Ecco tutti i possibili scenari

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Chi vincerà in Emilia-Romagna? Ecco tutti i possibili scenari

Fino a cinque anni fa le elezioni regionali in Emilia-Romagna erano una semplice formalità in cui centinaia di migliaia di elettori si recavano alle urne e vinceva il candidato del centrosinistra. Il fatto che tutti gli occhi siano puntati su questo appuntamento elettorale e che il suo esito sia incerto è, già per questo, una notizia. Ma chi riuscirà ad avere la meglio tra il presidente uscente Stefano Bonaccini, espressione del Partito Democratico e dei suoi alleati, e la candidata leghista sostenuta dal centrodestra, Lucia Borgonzoni?

Ovviamente questo lo decideranno gli elettori emiliani e romagnoli domenica 26 gennaio, ma nel frattempo possiamo analizzare una serie di dati per comprendere come l’esito elettorale in queste regionali sia particolarmente in bilico.

Da diverso tempo, il centrosinistra dell’Emilia-Romagna ha visto i propri consensi progressivamente scendere: non si è trattato, per il momento, di uno stravolgimento elettorale come quello che ha colpito l’Umbria, passata in pochi anni da regione rossa a regione in cui il centrodestra è stato in grado di affermarsi a larga maggioranza (tre volte su tre tra Politiche 2018 ed Europee e Regionali 2019), ma di una tendenza esattamente complementare a quella nazionale, con il centrodestra a trazione leghista in crescita e il centrosinistra in calo, e il Movimento Cinque Stelle nel mezzo salire prima e scendere poi.

Alle Politiche 2018, infatti, il centrodestra ottenne il 33,06 per cento, mentre il centrosinistra si fermò al 30,79, con Liberi e Uguali in corsa solitaria al 4,49, e il Cinque Stelle che andò a toccare il 27,54. Questo dato, che per il centrosinistra poteva sembrare in parte viziato dall’assenza in coalizione di Liberi e Uguali, è andato chiarificandosi alle Europee dell’anno successivo, quando i tre maggiori partiti di centrodestra hanno raggiunto il 44,4 per cento, 44,7 se contiamo anche il Popolo della Famiglia (che sosterrà Lucia Borgonzoni con una propria lista in tandem con Cambiamo di Giovanni Toti), mentre i quattro maggiori partiti di centrosinistra hanno toccato il 39,6. La crescita di entrambi gli schieramenti è arrivata soprattutto a discapito del Movimento Cinque Stelle, letteralmente dimezzato rispetto all’anno precedente e relegato a un misero 13 per cento: la maggior parte dei voti degli ex pentastellati sono andati in tale occasione al centrodestra, complice anche la valanga salviniana del voto a livello nazionale. A trainare il centrodestra c’è stato prima di tutto l’exploit leghista, col partito di Salvini che ha superato il 34 per cento a livello nazionale per arrivare al 33 in Emilia-Romagna.

Il dato delle europee, dunque, è stato trainato principalmente dal consenso di Matteo Salvini, che cercherà dunque di riportare lo stesso risultato in un voto, quello regionale, teoricamente dalle caratteristiche diverse e che spesso ha visto prevalere dinamiche locali rispetto a quelle nazionali, ma in cui esiste tutto lo spazio per invertire questi fattori, tanto più con un governo la cui popolarità risulta dalle rilevazioni essere in crisi e la potenziale volontà da parte degli elettori di voler dare domenica 26 gennaio una spallata al governo Conte II a prescindere dalla sfida Bonaccini-Borgonzoni. Diversamente, il centrosinistra punta a tenere la questione sul fattore locale, con Bonaccini che secondo un sondaggio SWG dello scorso novembre sarebbe il secondo presidente di regione più apprezzato d’Italia dopo il veneto Zaia, senza però sottovalutare Lucia Borgonzoni che nel 2016 ha già dato filo da torcere al sindaco di Bologna Virginio Merola contro cui era stata candidata, risolvendo la questione al ballottaggio.

Ma questa sfida incerta come si può ripercuotere in termini di geografia elettorale? Come notato da Lorenzo Pregliasco di Youtrend, alle europee del 2019 la Lega è stata il primo partito in 252 comuni, mentre il PD in “appena” 76: dati che non lasciano pensare che si stia pensando a quella che per decenni è stata la regione rossa per antonomasia.

Se andiamo a vedere la mappa dell’Emilia-Romagna alle scorse europee, vediamo come i comuni dove prevale il PD sono grossomodo quelli che si estendono lungo la Via Emilia tra Forlì e Reggio-Emilia, in modo particolare le città più popolose e i capoluoghi, oltre a Ravenna, mentre le provincie di Rimini, Ferrara, Parma e Piacenza cadono quasi completamente in mano leghista. Questo mostra come l’Emilia non sia estranea al fenomeno cui in Italia (ma anche in altri Paesi) si sta assistendo da diversi anni che vede le grandi città spostarsi sempre più verso il centrosinistra mentre le aree extraurbane e rurali e i piccoli centri tendono a virare verso destra anche in molte aree un tempo ritenute rosse.

Ovviamente, entrambi questi fenomeni possono essere determinanti nel voto di domenica. La Lega punterà il più possibile sui centri più piccoli e le periferie delle grandi città, mentre il centrosinistra punterà soprattutto sull’elettorato urbano. In questo senso, possono aver almeno in parte giocato un ruolo le Sardine, fenomeno principalmente urbano nato in questa regione, che potrebbe dare un contributo nell’avvicinare al centrosinistra una parte “dormiente” o demotivata dell’elettorato un tempo legata al centrosinistra a votare Bonaccini, soprattutto in chiave anti-Salvini. Ma non va neanche sottovalutato come la natura urbana di questo fenomeno possa essere usata in altri contesti in suo favore da Salvini, che ha sempre puntato ad accreditarsi come uomo vicino al popolo e lontano dalle elite che, tendenzialmente, sono un fenomeno urbano distante da contesti periferici.

In ogni caso, l’Emilia-Romagna è una regione con numerosi centri medio-grandi (ha nove comuni sopra i 100mila abitanti) che possono giocare un ruolo determinante nel  voto di domenica, con il centrosinistra che può puntare a fare il pieno il più possibile per trainare il voto regionale e un centrodestra che, in tali contesti, può accontentarsi a confermare le vittorie di Ferrara, Rimini e Piacenza delle Europee, fare un valido risultato a Parma (nel 2019 prese più voti il centrosinistra ma la Lega fu primo partito) e perdere con danni limitati negli altri capoluoghi.

In questo contesto c’è però un grande assente, che è il Movimento Cinque Stelle. Va detta prima di tutto una cosa: per questa forza politica l’Emilia-Romagna non è una regione come le altre, ma una regione che ha avuto un ruolo determinante nella nascita del consenso di questo partito che, nato dal web, è riuscito in pochi anni a divenire un partito di massa salvo poi iniziare a calare nei consensi.

I pentastellati si erano lanciati a livello nazionale vincendo le comunali a Parma nel 2012, con una vittoria arrivata dopo una serie di prestazioni positive in Emilia, come l’ingresso in consiglio comunale a Bologna prima e regionale poi di Giovanni Favia, il quasi 10 per cento di Bugani nel capoluogo di regione nel 2011.

Tuttavia quei tempi, così come il 27 per cento delle Politiche del 2018, sembrano molto lontani, e il candidato Simone Benini è sempre stato visto come uno spettatore in una sfida a due tra Bonaccini e la Borgonzoni. Questo fatto è causato sia dal crollo su scala nazionale dei Cinque Stelle che dalla polarizzazione sempre più netta in questa specifica sfida tra centrosinistra e centrodestra, che potrebbe portare anche elettori pentastellati a spostarsi sui due principali candidati per timore che il loro voto non risulti davvero determinante. Nel 2019, i voti persi dal Movimento Cinque Stelle andarono su entrambi gli schieramenti, ma in maggior misura verso il centrodestra. Se dovessero essere persi ulteriori consensi, come gli ultimi sondaggi prima del silenzio in materia indicavano, sarà una lotta tra i due maggiori schieramenti riuscire ad acchiapparne il maggior numero possibile perché possano essere determinanti per il risultato finale.

Ma c’è anche un altro elemento che non va sottovalutato, che potrebbe rappresentare un problema per Bonaccini, soprattutto se la partita dovesse giocarsi sul filo di lana. Mentre il centrodestra si è presentato particolarmente compatto al voto, a sinistra di Bonaccini ci sono ben tre candidati: un record, secondo quanto scritto da Maurizio Ribechini, attento osservatore delle forze politiche a sinistra del PD, su Blasting News. Le candidature di Stefano Lugli, sostenuto da Rifondazione Comunista e Partito Comunista Italiano sotto la lista L’Altra Emilia, di Marta Collot di Potere al Popolo e di Laura Bergamini del Partito Comunista saranno regolarmente in campo e, per quanto in corse polarizzate come quella di domenica potrebbero essere penalizzate e marginalizzate, anche pochi voti che tendenzialmente andrebbero nell’area di Stefano Bonaccini potrebbero essere determinanti per il risultato finale. Così come va menzionata anche la presenza, non avvicinabile a nessuno schieramento, di un ulteriore candidato, il medico ferrarese Domenico Battaglia del Movimento 3V – Vaccini vogliamo verità.

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