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Viaggio elettorale in Emilia-Romagna alla vigilia del voto che può cambiare l’Italia

Reportage dalla regione che può far saltare il governo. Da piazza Lenin (Cavriago) alla Ferrara leghista, da Bonaccini a Borgonzoni passando per le Sardine, ecco perché qui domenica 26 gennaio 2020 si gioca la battaglia di Stalingrado

 

Elezioni Emilia Romagna: il viaggio di TPI

Gli Offlaga Dico Pax erano un gruppo indie di Reggio Emilia in voga agli inizi degli anni Duemila. Musicalmente stanno più o meno a metà strada tra i Cccp di Giovanni Lindo Ferretti e Lo Stato Sociale di Lodo Guenzi. Le loro canzoni raccontano quegli angoli della provincia emiliana in cui “il Partito comunista prendeva il 74% e la Democrazia cristiana il 6%”. Robespierre, il loro maggior successo, celebra la “meravigliosa toponomastica” reggiana: via Carlo Marx, via Ho Chi Minh, via Che Guevara, via Dolores Ibarruri, via Stalingrado, via maresciallo Tito, via Rivoluzione d’Ottobre. E poi ovviamente piazza Lenin a Cavriago, con il suo leggendario busto in bronzo dedicato al capo della rivoluzione bolscevica, uno dei pochissimi esemplari rimasti nell’Europa occidentale.

Cavriago è un paese di 9mila anime a pochi chilometri da Reggio Emilia. Siamo nel mezzo della Pianura Padana, al confine con un altro Comune reggiano di cui si è parlato molto negli ultimi mesi: Bibbiano. Ma quella è un’altra storia. Il busto di Lenin fu donato a Cavriago nel 1971 da Benderi, città dell’allora Repubblica sovietica moldava con cui c’era un gemellaggio. La vocazione socialista del paese affonda le radici lontano nel tempo. Nel 1918 la sezione locale del Psi approvò una mozione in favore della rivoluzione russa e si dice che l’anno seguente, durante la Terza Internazionale Socialista, Lenin esaltò l’iniziativa dei compagni cavriaghesi.

Piazza Lenin è un simbolo della nostra vocazione internazionale, rappresenta la convinzione dei cittadini di questa terra di poter incidere attraverso i propri orientamenti sui destini del mondo”, mi spiega la sindaca di Cavriago, Francesca Bedogni. “Lenin cercò di realizzare un ideale di uguaglianza in cui noi crediamo ancora tanto, anche se ovviamente la declinazione storica è diversa”.

Bedogni è in carica da meno di un anno: alle elezioni comunali del 26 maggio 2019 ha vinto in scioltezza con il 55% dei voti alla guida di una lista di centrosinistra che non contemplava però il simbolo del Pd. Cavriago “roccaforte rossa” resiste, ma anche qui qualcosa è cambiato. Quello stesso 26 maggio, alle elezioni europee, il Pd ha preso il 36,8% ma la Lega è arrivata al 25. E l’anno prima, alle politiche, i dem erano stati addirittura sorpassati dal M5S: 30% contro 31.

Le europee del 2019 hanno confermato che il Carroccio ha fatto breccia anche qui in Emilia-Romagna: quello di Matteo Salvini è diventato il primo partito e ora punta a prendersi il governo della Regione dopo cinquant’anni di dominio incontrastato della sinistra. Le elezioni regionali del 26 gennaio 2020 sono state ribattezzate come la battaglia di Stalingrado: se il Pd perde anche qui, è proprio finita.

L’Emilia-Romagna è ai primi posti in Italia in quasi tutti i principali indicatori di crescita e welfare: Pil, occupazione, Sanità. La Regione sembra, insomma, ben amministrata. Ma allora: perché cambiare?

Prova a spiegarmelo Alan Fabbri, sindaco leghista di Ferrara. Primo: “Sulla Sanità vogliamo puntare di più sulle sinergie pubblico-privato come avviene in Veneto”. Secondo: “Servono infrastrutture: da anni qui aspettiamo la Cispadana e la Ferrara-mare”. Terzo: “Nelle politiche sociali vogliamo rimettere al centro il cittadino emiliano-romagnolo. Le faccio un esempio. A Ferrara i cittadini extracominitari sono circa il 10% della popolazione ma si vedono assegnati circa la metà degli alloggi popolari: noi introdurremo dei punteggi che si basano sugli anni di residenza”.

Fabbri, 41 anni, è un fedelissimo di Salvini. Cinque anni fa, alle regionali del novembre 2014, era lui il candidato del centrodestra. L’affluenza fu bassissima: 37%. Fabbri prese il 30% e fu sconfitto da Stefano Bonaccini, che anche oggi, da governatore uscente, è il candidato del centrosinistra. Questa volta, però, la Lega ci crede. Non tanto per la caratura della nuova candidata – Lucia Borgonzoni, senatrice bolognese incappata in alcune gaffe durante la campagna elettorale – quanto per il magnetismo che Salvini esercita su una parte consistente di elettori.

“A Ferrara abbiamo vinto al ballottaggio con il 57% dei voti”, sottolinea Fabbri. “Abbiamo vinto in tutti i seggi periferici, nei quartieri popolari e nelle frazioni, mentre il centrosinistra ha prevalso solo in centro storico, dove abitano per lo più notai, avvocati e professori universitari”.

 

 

 

 

Tra i quartieri che hanno consegnato la vittoria alla Lega c’è il Gad, l’area popolare compresa tra lo stadio Paolo Mazza e la stazione ferroviaria. Il simbolo del Gad sono due grattacieli costruiti alla fine degli anni Cinquanta per far fronte all’espansione demografica e all’aumento di residenti provenienti dalle campagne. Nel corso degli ultimi trent’anni questa zona è stata progressivamente abbandonata al degrado e alla speculazione immobiliare e oggi è un mercato a cielo aperto della droga, aperto H24 e gestito da bande di africani.

“Il cuore pulsante del Partito democratico è in questa regione”, fa notare ancora Fabbri. “L’Emilia-Romagna è la patria di Bersani, di Prodi, il ministro Franceschini è di Ferrara: se il Pd perde le elezioni ci dovrà essere un’analisi all’interno del partito ma anche a livello di governo”.

Ferrara è uno dei quattro Comuni capoluogo dell’Emilia-Romagna amministrati dal centrodestra, gli altri tre sono Piacenza, Rimini e Forlì. La fascia centrale della regione – l’asse Parma-Reggio-Modena-Bologna-Ravenna – resta colorata di rosso. Fedele alla linea, ma con alcune importanti eccezioni, come Sassuolo, Mirandola, Colorno, Fontevivo e Busseto, il paese natale di Giuseppe Verdi.

Il centrodestra ha sfondato anche in alcuni dei centri colpiti dal terremoto del 2012, un sisma che raramente viene ricordato ma che ancora oggi segna profondamente il territorio. Per capirlo basta fare una passeggiata nel centro storico di Concordia sulla Secchia, nella Bassa modenese: un deserto di edifici puntellati e negozi chiusi. La ricostruzione è un tema delicato e scivoloso.

“A sette anni e mezzo dal sisma ci sono ancora più di mille cantieri che aspettano di essere definiti”, mi dice un rappresentante del Comitato Sisma.12. “Le persone sono state ignorate da qualsiasi forza politica, qui in Emilia come nei Comuni terremotati di Lombardi a Veneto”. “Da oltre sette anni viviamo in una situazione di forte disagio psicologico: è aumentato del 60% il numero di persone che hanno iniziato a far ricorso a psicofarmaci”.

Uno dei maggiori centri colpiti da quel terremoto è stato Mirandola: 23mila abitanti in provincia di Modena. Qui la sinistra ha governato ininterrottamente per più di settant’anni. Fino al giugno 2019, quando è diventato sindaco Alberto Greco, 68 anni, avvocato, leghista. “Nella ricostruzione il nostro centro storico è stato dimenticato e questo ha sicuramente pesato nella mia elezione”, osserva. “Ma i temi principali che hanno determinato questo risultato sono stati il depotenziamento dell’ospedale, passato da 200 posti letto a 120, e la viabilità: qua si produce il 2,5% del Pil nazionale, ma manca un’autostrada e c’è unica strada per raggiungere il primo casello, quello di Modena, lontano 30 chilometri”.

L’immagine dell’Emilia-Romagna come roccaforte rossa ha iniziato a scricchiolare vent’anni fa. Alle elezioni comunali del 1998 fece grande scalpore la vittoria del centrodestra a Bologna e a Parma. Era la prima volta che in Emilia la sinistra perdeva. A Bologna la rivoluzione durò un solo mandato, a Parma è tutt’ora in corso. Anzi, a Parma la vera rivoluzione oggi sarebbe un ritorno al potere dei dem. Dopo dodici anni di centrodestra, da otto la città è guidata da Federico Pizzarotti, diventato sindaco con il Movimento 5 Stelle, con il quale poi ha polemicamente rotto per passare a un civismo di centrosinistra.

 

 

“Alle elezioni regionali sostengo Bonaccini, con cui abbiamo sempre avuto un rapporto di reciproca stima”, mi spiega il sindaco. “La Lega non propone nessun programma alternativo: dice che in Emilia-Romagna dobbiamo cambiare tanto per cambiare, ma non offre un’alternativa”.

L’ex pentastellato Pizzarotti oggi si muove nell’ampio fronte del centrosinistra, eppure alle ultime elezioni comunali, nel 2017, il suo principale rivale – Paolo Scarpa – non era del centrodestra ma del Pd. O meglio: era un indipendente scelto e sostenuto dai dem. A Parma da vent’anni “il partito” è alla disperata ricerca di un candidato vincente. Manca la classe dirigente. E anche qui alle europee la Lega ha fatto il botto: 31,6% contro il 29,5 del Pd.

“È cambiato tutto”, racconta Paolo, parmigiano sessantenne ex militante deluso. “Il partito è stata la mia seconda famiglia, ho vissuto in sezione la prima metà della mia vita: da bambino andavo casa per casa a vendere L’Unità, il mio era un quartiere di case popolari e il Pci prendeva il 60%, la politica era tutto per noi. Gli anni Ottanta sono stati lo spartiacque: le sezioni hanno iniziato a svuotarsi e da allora c’è stato un distacco progressivo”. “Oggi se chiedi in giro chi è il segretario provinciale del Partito democratico nessuno ti saprebbe rispondere”. Paolo fa parte del popolo degli astenuti: da anni vota scheda bianca. E alle regionali? “Questa volta voterò Bonaccini”, allarga le braccia. “Ma solo per evitare che vinca la Lega”.

Lo “spauracchio” del Carroccio è all’origine anche del nuovo inedito protagonista di questa campagna elettorale: le Sardine, un movimento di piazza  partito da Bologna e dalle elezioni regionali dell’Emilia-Romagna e poi allargatosi a tutta Italia. Tanto che ora ci sarà anche un vero e proprio congresso nazionale. ”Abbiamo dimostrato che non c’è bisogno della Lega per riempire una piazza”, spiega il portavoce del movimento, Mattia Santori. “Abbiamo cercato di dare una risposta a chi ragiona con la testa ma negli ultimi anni non ha avuto nessun interlocutore”.

Le Sardine sono un fenomeno nuovo, per certi versi inatteso, e in questo momento sono loro il vero avversario di Salvini sulla scena politica italiana. “Il messaggio è che la politica e la società sono qualcosa di molto più complesso di quello che vogliono farci credere, dobbiamo tornare ad appropiarci di uno spazio fisico, come la piazza, e anche intellettuale per fare in modo che la politica cambi”, sottolinea Santori.

Riusciranno, dunque le Sardine, a spostare voti?  Chi vincerà queste attesissime elezioni regionali? Lo chiedo al politologo Gianfranco Pasquino, professore emerito di Scienza politica nell’Università di Bologna. “La partita è aperta perché la destra è cresciuta in questo paese e, in maniera un po’ sorprendente, anche in Emilia-Romagna”, risponde. “C’è un leader trascinante al quale piace fare campagna elettorale, Salvini, e c’è l’aspettativa che lui riesca a sconvolgere gli equilibri dell’Emilia-Romagna all’insegna di uno slogan ben scelto: ‘Liberate l’Emilia-Romagna dal controllo esercitato sulla regione prima dal Partito comunista e poi dal Partito democratico’”.

Difficile però fare previsioni. “Negli ultimi dieci anni l’elettorato è diventato estremamente volatile, per non dire volubile e quindi cambia il suo comportamento di voto, anche negli ultimi giorni”, sottolinea Pasuino. “Vince chi commette meno errori negli ultimi giorni”.

 

 

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