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Elezioni Emilia Romagna, cosa succede adesso al governo tra PD e M5S

Immagine di copertina
Nicola Zingaretti e Luigi Di Maio

La vittoria di Bonaccini dà nuova linfa all'esecutivo giallorosso, che potrà concludere la legislatura senza minacce di "spallate" da Salvini. Ma sono ancora tanti i problemi da risolvere. E la Lega rimane più forte che mai

Elezioni Emilia Romagna 2020: cosa succede adesso al governo tra PD e M5S

Ora che sono usciti i risultati delle elezioni regionali 2020 in Emilia-Romagna e Calabria, la domanda che molti cittadini si pongono è la seguente: quali saranno gli scenari futuri per il governo M5S-Pd? Se in Calabria ha stravinto la candidata di centrodestra Jole Santelli, l’Emilia-Romagna ha ridato fiducia al governatore uscente di centrosinistra, Stefano Bonaccini.

Due risultati tra loro opposti, ma che tutto fanno pensare tranne che a un pareggio tra la Lega e il centrosinistra. Perché se il risultato in Calabria non è mai stato messo in discussione in queste settimane, quello in Emilia-Romagna (storica roccaforte rossa) è sembrato più in bilico che mai. Ma alla fine il centrosinistra è riuscito a spuntarla, respirando puro ossigeno in una fase politica in cui la Lega sembra uno schiacciasassi.

Per il Pd (e, di rimando, anche per il Movimento Cinque Stelle, nonostante il flop di queste elezioni) la vittoria in Emilia vale dunque moltissimo. Per molti motivi.

Le nuove prospettive del governo M5S-Pd

Il primo, macroscopico risultato delle elezioni regionali in Emilia-Romagna e in Calabria del 26 gennaio 2020 è che è stata scongiurata la cosiddetta “spallata” della Lega all’esecutivo giallorosso. Sebbene alla vigilia il premier Giuseppe Conte avesse rassicurato sulla tenuta del governo anche in caso di vittoria di Salvini, era inevitabile che ciò avrebbe comportato grandi riflessioni sul rapporto tra Pd e M5S.

Invece così non è stato: dem e pentastellati potranno adesso continuare a lavorare sul programma condiviso di governo. E le sfide non mancano di certo: prima di tutto la riforma della prescrizione, che si preannuncia più divisiva che mai. Al punto che la stessa Italia Viva di Matteo Renzi, che si dice fortemente contrario alla riforma, rischia di votare insieme al centrodestra.

L’esecutivo, però, dovrà anche pensare a tenere botta alle prossime offensive della Lega. Impossibile pensare, infatti, che il partito di Salvini – che rimane fortissimo in tutto il Paese – non torni presto alla carica con nuovi attacchi e polemiche. Se Bonaccini ha dimostrato che la Lega si batte non arginandola, ma contrastandola sui temi e sui contenuti, la sfida per M5S e Pd sarà di replicare l’impresa anche a livello nazionale. Mentre si avvicinano i prossimi appuntamenti elettorali di maggio-giugno, quando si voterà in altre regioni: Marche, Liguria, Campania, Puglia, Veneto e Toscana.

A tutto ciò si aggiungono le grandi sfide interna a ognuna delle due anime della maggioranza. Il M5S è atteso da due mesi di fuoco: dalle dimissioni di Luigi Di Maio da leader del Movimento fino agli Stati generali di metà marzo, i pentastellati dovranno decidere “cosa fare da grandi“. Se le elezioni in Emilia-Romagna hanno sancito il ritorno al bipolarismo, è probabile che la nuova leadership dei grillini porti a una scelta di campo più incisiva. E magari a un netto spostamento a sinistra.

Dall’altro lato il Pd si gode il successo, ma si prepara allo stesso tempo alla “grande ristrutturazione” promessa dal segretario Nicola Zingaretti. Anche perché, Emilia a parte, c’è ancora molto da recuperare.

La Lega

Nel corso della sua aggressiva campagna elettorale, Matteo Salvini ha puntato su alcuni grandi ritornelli della Lega: il caso Bibbiano, la vicenda del citofono e la minaccia di “mandare a casa il Pd”. Alla fine, però, nella regione rossa per eccellenza questa strategia non ha pagato. O meglio, per usare le parole del segretario del Carroccio, hanno fatto sì che per la prima volta “ci fosse partita” senza che il risultato fosse scontato a prescindere.

È evidente però che, anche in base alle parole spese in campagna elettorale, Salvini fosse convinto di vincere. Così non è stato. E nel day-after la Lega deve anche gestire una sconfitta, forse inattesa, proprio a Bibbiano, dove ha dominato il centrosinistra nonostante la retorica salviniana sul caso degli affidi illeciti di minori.

La Lega (e con essa la coalizione di centrodestra) rimane però saldamente il partito con il bacino elettorale più ampio in Italia. Da oggi, però, dovrà dare per scontate molte meno cose.

E le Sardine?

Dopo la vittoria di Bonaccini in Emilia, il primo a ringraziare le Sardine è stato proprio il segretario del Pd Zingaretti. Il merito del movimento creato da quattro ragazzi di Bologna e trasformatosi in poche settimane in una vera e propria favola di partecipazione e vitalità politica è stato quello di risvegliare dal torpore dell’antipolitica moltissimi elettori.

Senza l’attivismo delle Sardine, il risultato in Emilia-Romagna non sarebbe stato così scontato. E tutte le forze in campo ne sono consapevoli. Mattia Santori e compagnia, però, subito dopo la chiusura dei seggi hanno lanciato un chiaro messaggio sui social: “Non siamo nati per stare sul palcoscenico – hanno scritto – ma ci siamo saliti perché era giusto farlo. Ora è tempo di tornare a prendere contatto con la realtà e ristabilire le priorità, innanzitutto personali. Se avessimo voluto fare carriera politica l’avremmo già fatto. E invece, prima di tutto, desideriamo tornare ad essere noi stessi, elettori e cittadini, parenti e amici”.

“Per questo motivo – si legge ancora – non ci vedrete in tv o sui giornali. La nostra responsabilità è pari a quella che si è assunta ogni persona che oggi si è infilata il cappotto ed è andata a fare una croce da protagonista. È tempo di far calare il sipario e lavorare dietro le quinte per preparare un nuovo spettacolo con tutti voi che vorrete continuare a non essere spettatori qualunque. Fino ad oggi siamo stati una bella favola. Ora chiudiamo il libro e sporchiamoci le mani”.

L’appuntamento, per le Sardine, è per il Congresso di Scampia a marzo. Anche loro, un po’ come il M5S (con cui condividono proprio un inizio di esperienza politica basata sulla partecipazione popolare) dovranno decidere “cosa fare da grandi”. Con la consapevolezza che il potenziale c’è, e pure tanto. Ma con esso ci sono anche rischi di strumentalizzazioni e precoci scottature.

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