Elezioni amministrative: Elly Schlein è attesa al varco delle roccaforti rosse (soprattutto in Toscana)
La sconfitta a Siena e Pisa nel 2018 fu una batosta per il centrosinistra. Dopo cinque anni le due città tornano alle urne con una nuova leader alla guida del Pd, che punta a riconquistare quel pezzo d’Italia un tempo feudo indiscusso del Pci
Brutta insidia quella di trovarsi attaccati l’etichetta di roccaforte rossa nel 2023. In una politica in cui il voto per appartenenza è venuto meno da tempo, in cui sempre più italiani scelgono chi votare di volta in volta, il concetto stesso di roccaforte elettorale è sempre più aleatorio e la contendibilità si basa su altri elementi. Se a questo aggiungiamo che la geografia elettorale italiana ha subito profondi cambiamenti che hanno portato la sinistra a perdere terreno in molte aree d’Italia e guadagnarne in primis nei centri delle grandi città, è sempre più difficile tracciare un confine per le regioni rosse. Certo è che immaginare questo concetto senza inserirvi Toscana ed Emilia-Romagna risulta difficile, ma è anche vero che trovarsi tale etichetta addosso nella politica di oggi rischia di essere causa di grandi delusioni.
Anche per questo, nella primavera del 2018 suonò quantomai sorprendente la notizia che in due storiche roccaforti della sinistra italiana, Pisa e Siena, avevano vinto candidati del centrodestra a trazione leghista. Era un momento difficile per il Partito Democratico: il voto del marzo di quell’anno lo aveva visto al minimo storico e le elezioni erano state dominate dal centrodestra, trainato da una Lega divenuta a sorpresa primo partito della coalizione, e dal Movimento Cinque Stelle, trionfatore assoluto in tutto il Meridione, prima lista a livello nazionale. Al Nazareno non c’era più Renzi, dimessosi dopo la sonora sconfitta, ma Maurizio Martina, che avrebbe guidato il partito in quella difficile transizione, resa poi ancora più complessa da quella tornata di amministrative.
Un Pd debole e una Lega forte che stava rompendo il tradizionale argine del Nord, il cinismo dei ballottaggi, che nella regione che ha inventato guelfi e ghibellini sanno essere ancora più cinici, fecero il resto e a Pisa a sorpresa arrivò la vittoria del leghista Michele Conti, mentre a Siena vinse Luigi De Mossi, avvocato sostenuto dal centrodestra. Per il centrosinistra una batosta. Oggi, a cinque anni di distanza, le due città sono nuovamente chiamate al voto e starà al Pd, fresco della nuova segreteria a guida Elly Schlein cercare la “reconquista” delle sue vecchie roccaforti, permettendoci di capire se la vittoria del centrodestra è stata una meteora o siamo di fronte a un cambiamento più strutturale.
Obiettivo rivincita
La vittoria di Elly Schlein alle primarie del Pd è stata accolta da molti osservatori come una svolta a sinistra e un modo per cercare di ricucire con un elettorato storico che nel tempo si era allontanato. Buoni propositi a parte, la neo-segretaria dovrà mostrare di essere in grado di ricostruire questo dialogo che sembra essersi rotto in molte parti d’Italia che furono feudi del Pci. E ha ancora tutto da dimostrare: il suo consenso alle primarie è arrivato alle stelle proprio nei centri storici delle grandi città, quelle Ztl divenute il simbolo di un cambiamento antropologico della sinistra che ha lasciato le periferie e le fabbriche, sempre più preoccupate da pensioni, salari e immigrazione, in favore dei ceti più abbienti.
La sua vera sfida sarà mostrarsi credibile a questo pezzo d’Italia in tema di diritti sociali, non solo di diritti civili, e questa sfida passerà anche dalla Toscana, una regione in cui alle ultime primarie del Pd l’emorragia di elettori si è sentita e in cui alle scorse politiche il centrosinistra ha perso collegi che un tempo avrebbe vinto in scioltezza, come Livorno o Prato. O come Siena e Pisa, dove essere arrivati primi nel voto nei singoli comuni a dispetto del dato nell’intero collegio non deve far dormire il Pd su presunti allori.
Per chi pende la Torre a Pisa
Cep è una sigla che sta per Centro di edilizia popolare. È il nome di un quartiere situato nella zona ovest di Pisa, il cui nome non nasconde l’origine e la vocazione. Qui il Pci otteneva percentuali bulgare, qui nel 2018 ha vinto il candidato leghista Michele Conti. Anche a Sant’Ermete, quartiere pisano teatro di lotte per le case popolari, aveva vinto Conti.
Nulla di diverso da quanto si è visto al Tiburtino III a Roma, a Sesto San Giovanni o in numerose altre periferie e quartieri operai d’Italia e che mostra come le storiche “regioni rosse” non siano esenti dal fenomeno, in un’epoca storica in cui le sezioni di partito e le feste dell’Unità hanno perso la loro funzione politica tradizionale e in cui le forme dell’impegno politico sono sempre più liquide.
A Pisa, alle politiche dell’anno scorso, il Pd aveva candidato il costituzionalista Stefano Ceccanti, uscito sconfitto di circa cinque punti dal leghista Edoardo Ziello a livello di collegio, ma avanti di quasi dieci nel solo territorio comunale. Per riprendere in mano la città della Torre pendente, il centrosinistra candida l’ex presidente delle Acli Paolo Martinelli, puntando su questo dato e sull’allargamento della maggioranza delle politiche al Movimento Cinque Stelle (ma non al Terzo Polo, che corre da solo). Ma il sindaco Michele Conti sembra determinato a mostrare che la sua vittoria del 2018 non è stata una meteora, e stando agli ultimi sondaggi prima del silenzio i due sembrano destinati a vedersela in un ballottaggio che non sarà una passeggiata per nessuno.
Starà a loro, nel caso, intercettare il voto degli altri candidati, che sono Ciccio Auletta, sostenuto da Unione Popolare e da una civica, che nel 2018 prese il 7,8 per cento, Rita Mariotti, sostenuta da Italia Viva, Azione e Psi, l’avvocato Edoardo Polacco del Comitato Libertà Pisa e il candidato civico Alexandre Dei.
All’ombra di Mps
Andando in giro per Siena si può ancora trovare qualcuno arrabbiato con l’aretino Amintore Fanfani, ritenuto il responsabile della scelta di far passare l’A1 da Arezzo e non dalla città del Palio. Non è stata però questa la rabbia che ha portato i senesi cinque anni fa a scegliere per la prima volta un candidato non legato al centrosinistra, facendo vincere l’avvocato Luigi De Mossi, sostenuto dal centrodestra. A Siena, infatti, la politica locale è stata per anni strettamente legata al Monte de’ Paschi di Siena, come ben racconta il giornalista David Allegranti nel suo libro “Siena Brucia“, e i problemi finanziari che hanno riguardato la banca hanno impattato sulla città ben più del mancato passaggio dell’A1.
Non solo l’istituto è stato toccato direttamente, ma anche molte delle iniziative che sosteneva: dalle squadre di basket e di calcio a numerose attività cittadine, e complice un sostegno tutt’altro che convinto del Pd locale al sindaco uscente Bruno Valentini, i cittadini senesi hanno manifestato la loro preoccupazione nel più tradizionale dei modi: in cabina elettorale. Fu così che, con somma sorpresa dei più, a essere eletto sindaco fu De Mossi.
Oggi però la situazione delle comunali di Siena è ben diversa e molto più frammentaria rispetto a Pisa. Il sindaco De Mossi, infatti, in rotta con la sua coalizione non solo ha scelto di non ricandidarsi, ma di sostenere con una propria lista, affiancato da altre civiche e Italia Viva, il candidato Massimo Castagnini. Il centrodestra, pur privo del sindaco con cui appena cinque anni fa aveva scritto la storia elettorale del comune, corre comunque unito nel suo formato tradizionale, sostenendo l’ex rettrice del Magistrato delle contrade Nicoletta Fabio, mentre il Pd, affiancato da Sinistra Italiana, schiera l’ex assessora alle Politiche sociali Anna Ferretti. A rendere ancora più frammentaria la sfida c’è anche Fabio Pacciani, dentista ed ex capitano di contrada del Bruco, sostenuto da ben sette liste civiche. Corsa solitaria invece per il Movimento Cinque Stelle, che sosterrà Elena Boldrini, così come Azione, che candida Roberto Bozzi, e Unione Popolare con Alessandro Bisogni, cui si aggiunge il civico Emanuele Montomoli.
Il colore di una regione
Di fronte alle rumorose cadute delle roccaforti rosse di Pisa e Siena, nel 2018 aveva destato minore attenzione un altro caso di capoluogo toscano passato a destra, ovvero Massa. Il voto di quell’anno aveva infatti fatto pensare che alle regionali, in programma due anni dopo, non sarebbe stato impossibile ipotizzare una vittoria del centrodestra, episodio che avrebbe avuto una portata incredibile. Così non è stato, perché Eugenio Giani è riuscito nel 2020 a sconfiggere Susanna Ceccardi con circa otto punti di vantaggio: lo scarto minore da quando esiste l’elezione diretta del presidente di regione, ma un margine sufficiente da non definire la regione in bilico.
Tuttavia, guardando le ultime mappe elettorali toscane, vediamo come ci siano zone che ormai tendono a non votare più per il centrosinistra: non solo Lucca, unica area in cui il Pci non riusciva a vincere ai tempi della Prima repubblica, ma anche ad esempio Arezzo e Grosseto.
Non è un caso che i due capoluoghi siano attualmente governati da sindaci di centrodestra entrambi al secondo mandato, e che insieme a Pisa, Siena, Massa e Pistoia rappresentino sei capoluoghi toscani governati dal centrodestra, contro gli altri quattro in mano al centrosinistra. E non è un caso che nel 2022, complice la corsa separata tra Pd, Terzo Polo e Movimento Cinque Stelle, il grosso dei collegi uninominali della regione siano stati vinti dal centrodestra.
Starà al Pd fare le riflessioni del caso. Il corso degli eventi ci mostrerà se questi dati sono parte di un processo più ampio o una meteora e se il centrosinistra avrà gli attributi, le idee e i candidati adatti per mettere in atto una “reconquista”, facendo in modo che la Toscana continui a essere una regione rossa.