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Retroscena: Draghi vuole il Quirinale. Se non lo ottiene è pronto a dimettersi da premier

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Mario Draghi, presidente del Consiglio. Credit: ANSA

Il limite per la convivenza allargata del M5S nel governo “è nelle misure, nelle riforme che fanno bene al paese: questo è l’unico metro di giudizio. Finché si fanno riforme che migliorano il paese, lo caratterizzano dal punto della vista della transizione ecologica e digitale, noi saremo convintamente a sostenere questo governo”. Parole del capo politico del M5S Giuseppe Conte, alla festa del Fatto Quotidiano.

Parole che non suonano certo nuove alle orecchie del Presidente del consiglio Mario Draghi, anche perché Conte non è l’unico a pensarle (è solamente l’unico a dirle esplicitamente). Ma il vero discrimine della legislatura e del suo futuro sarà quello dell’elezione del nuovo Presidente della Repubblica: Mario Draghi, checché ne dicano i “mainstream” che stanno facendo di tutto per dissuaderlo, al Colle ci vuole andare eccome e non ne fa mistero con i suoi più stretti collaboratori.

D’altra parte è difficile pensare che un personaggio del calibro dell’ex presidente BCE abbia accettato la Presidenza del Consiglio a legislatura già ampiamente iniziata e già con due governi sul groppone senza avere avuto garanzie anche per il “post”. L’ambizione è sempre stata quella di fare come il suo maestro Carlo Azeglio Ciampi: prima al governo e poi al Quirinale. Ma se ciò non dovesse accadere, se i partiti e le istituzioni italiane dopo averlo acclamato a gran voce ed averne usufruito dei servigi (a cominciare dall’indiscusso prestigio internazionale) dovessero mollarlo sul più bello, lui sarebbe prontissimo a tornare sui suoi passi e lasciare anche l’incarico della Presidenza del Consiglio.

Con buona pace di chi pensa di poter disporre di Mario Draghi ininterrottamente fino al 2023. “Non aveva certo bisogno di fare il Presidente del Consiglio per chiudere in bellezza una carriera straordinaria” spiega un politico di lungo corso molto vicino alla Presidenza del Consiglio. Tradotto significa che se non dovesse salire al Colle non avrebbe problemi, una volta raggiunti i due obiettivi previsti dal programma di governo (mettere in sicurezza il paese dal punto di vista sanitario con i vaccini e dal punto di vista economico “mettendo a terra” il Recovery) a lasciare l’incarico e ritirarsi, come già accaduto dopo la fine dell’incarico in Bce, nella sua amatissima Città della Pieve. “Anche prima della scadenza della legislatura” chiosa chi lo conosce bene.

Insomma, partiti e istituzioni sono avvisati: se vorranno utilizzare i “servigi” di Mario Draghi anche in futuro dovranno farlo dal Quirinale, altrimenti sarà veramente molto difficile convincere l’ex presidente della BCE a continuare ad andare avanti a Palazzo Chigi per portare il paese al voto nel 2023. Come ha giustamente notato uno stratega politico del calibro di Goffredo Bettini “tirare troppo la corda con un governo di questo genere è un rischio anche per Draghi, un rischio che può scalfire la sua forza e la sua funzione repubblicana”.

Il rischio è quello del logoramento. E Draghi lo ha capito meglio di chiunque altro: non vuole fare la fine di San Sebastiano restando troppo a lungo a Palazzo Chigi.

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