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Draghi: “La difesa comune Ue è un passo obbligato, il riarmo va finanziato con eurobond”

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Mario Draghi, presidente del Consiglio tra il 2021 e il 2022. Credit: AGF

L'ex premier parla davanti ai parlamentari italiani: "Molti mi chiedono, bisogna cedere sovranità? Beh certo. I dazi? La guerra commerciale non ci fa bene"

Mario Draghi dice sì al riarmo, ma solo nell’ambito di un piano che porti alla realizzazione di una difesa comune europea. E che sia finanziato non solo dai singoli Stati, ma anche con l’emissione di titoli di debito europei e con il ricorso a capitali privati. L’ex presidente del Consiglio – oggi consulente speciale della presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen – dice la sua intervenendo in audizione davanti alle Commissioni Unione europea, Bilancio e Industria e Agricoltura del Senato e Bilancio, Attività produttive e Politiche dell’Unione europea della Camera.

Draghi viene sentito dai parlamentari italiani in merito al Rapporto sulla competitività europea che lui stesso ha firmato e che è stato pubblicato lo scorso settembre. Da allora, nota l’ex premier ed ex presidente della Banca centrale europea, c’è stato “un mutamento dell’ordine internazionale in parte annunciato, in parte improvviso per la rapidità con cui tutti questi cambiamenti sono stati annunciati o attuati”, ma il Rapporto, assicura Draghi, “non è obsoleto”: anzi, è “ancora più urgente” perché se “non riusciamo a focalizzarci di più sui settori” che aumentano maggiormente la crescita come il digitale e “a fare crescere l’industria tradizionale, non riusciremo neanche a soddisfare questi nuovi bisogni”.

Rispetto al tema della difesa, l’economista, auspica che venga al più presto definita “una catena di comando di livello superiore che coordini eserciti eterogenei per lingua, metodi, armamenti e che sia in grado di distaccarsi dalle priorità nazionali operando come sistema della difesa continentale”. Secondo Draghi, “occorrerebbe che l’attuale procurement europeo per la difesa, pari a circa 110 miliardi di euro nel 2023, fosse concentrato su poche piattaforme evolute invece che su numerose piattaforme nazionali, nessuna delle quali veramente competitiva perché essenzialmente dedicata ai mercati domestici”.

“L’effetto del frazionamento – sottolinea l’ex presidente del Consiglio – è deleterio: a fronte di investimenti complessivi comunque elevati, i Paesi europei alla fine acquistano gran parte delle piattaforme militari dagli Stati Uniti. Se l’Europa decidesse di creare la sua difesa e di aumentare i propri investimenti superando l’attuale frazionamento, invece di ricorrere in maniera così massiccia alle importazioni, essa ne avrebbe certamente un maggior ritorno industriale, nonché un rapporto più equilibrato con l’alleato atlantico anche sul fronte economico”.

“La difesa comune dell’Europa – insiste Draghi – diventa un passaggio obbligato per utilizzare al meglio le tecnologie che dovranno garantire la nostra sicurezza. Persino la nostra valutazione dell’investimento in difesa, oggi basata sul computo delle sole spese militari, andrà modificata per includere gli investimenti su digitale, spazio e cybersicurezza che diventano necessari alla difesa del futuro”.

Occorre insomma “iniziare un percorso che ci porterà a superare i modelli nazionali e a pensare a livello continentale. Tutto questo riguarda non solo la nostra sicurezza ma anche la presenza dell’Europa tra le grandi potenze”, conclude l’ex premier. “Molti mi chiedono, bisogna cedere sovranità? Beh certo”.

Quanto alle forme di finanziamento, l’ex numero uno della Bce rileva che “gli angusti spazi di bilancio non permetteranno ad alcuni Paesi significative espansioni del deficit”. “Né – aggiunge – sono pensabili contrazioni nella spesa sociale e sanitaria: sarebbe non solo un errore politico, ma soprattutto la negazione di quella solidarietà che è parte dell’identità europea, quell’identità che vogliamo proteggere difendendoci dalla minaccia dell’autocrazia. Il ricorso al debito comune è l’unica strada”, sentenzia Draghi. Che però sottolinea anche l’importanza di “coinvolgere di più il settore privato”.

Nel suo discorso, Draghi parla anche della politica dei dazi intrapresa dal neo-presidente degli Stati Uniti Donald Trump. “Si capiva già . dice – che saremmo andati verso una guerra commerciale e l’Europa è più vulnerabile di tutti gli altri, perché” avendo buona parte del proprio Pil generato dalle esportazioni “ci colpiscono di più di quanto possiamo fare noi a loro”.

“Gli Stati Uniti hanno fondamentalmente progressivamente operato uno stacco dal sistema cinese: gli investimenti diretti americani in Cina si sono completamente fermati già da diversi anni, mentre invece i nostri sono continuati”, osserva Draghi. “Allora si è creata questa situazione in cui ci sono delle fortissime interdipendenze tra l’Europa e la Cina, tra la nostra struttura industriale e quella cinese. L’atteggiamento dell’amministrazione americana finora è stato quello di lasciarci navigare in questa situazione, nel senso che quello che ci si chiedeva di fare è di stare attenti che queste interdipendenze non toccassero dei settori ad alta tecnologia, dei settori delicati per la sicurezza e via”.

Ora, prosegue l’economista, “se questo non avviene noi dovremmo seriamente considerare quale sarà il nostro posizionamento in futuro, perché gli interessi soprattutto di altri Paesi, non tanto quelli italiani, sono fortemente integrati con la Cina. Il reddito degli investimenti diretti della Germania in Cina è cresciuto del 50% negli ultimi 6-7 anni. La Svezia per esempio ha completamente chiuso, in Svezia non ci sono più proprietari svedesi delle fabbriche di automobili. Questo è un problema, è una questione che dovremmo affrontare, ma questa e tutte le altre sono tutte cose che si affrontano insieme. L’idea di soluzioni bilaterali è quello in fondo che vogliono i nemici dell’Unione europea, ma non sono per niente sicuro che sia quello che fa bene a noi: anche come potere contrattuale, se si sta insieme si ha più potere contrattuale che se si sta da soli”.

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LEGGI ANCHE: Com’è profondo il Mario: luci e ombre del Rapporto Draghi sulla competitività Ue

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