Dpcm e decreto legge: qual è la differenza tra i due tipi di provvedimenti usati per le misure anti-Covid
Il Consiglio dei ministri ha approvato oggi, venerdì 12 marzo, un decreto legge che andrà a sostituire il Dpcm attualmente in vigore e che contiene ulteriori restrizioni anti-Covid imposte per contrastare l’aumento dei contagi registrato negli ultimi giorni (qui le misure decise dal governo, che interesseranno anche il periodo di Pasqua). A differenza di quanto avvenuto negli scorsi mesi, per dettare le regole anti-contagio il governo ha preferito adottare un decreto legge, e non invece un Dpcm (decreto del Presidente del Consiglio dei ministri). I due provvedimenti, per quanto destinati allo stesso scopo – quello di imporre delle restrizioni che limitino la diffusione del Covid-19 – sono profondamente diversi dal punto di vista giuridico, per tipologia e caratteristiche. Vediamo quindi cos’è un Dpcm, cos’è il decreto legge e quali sono le differenze tra i due tipi di provvedimenti.
Cos’è il Dpcm
Il Dpcm è un particolare tipo di decreto ministeriale che, come indica il nome stesso, è adottato dal presidente del Consiglio dei ministri. Non si tratta di una legge (non necessita infatti dell’approvazione del Parlamento), ma è un atto meramente amministrativo. In quanto tale, nella gerarchia delle fonti normative è di grado inferiore rispetto alla legge. Questo vuol dire che non può prevedere qualcosa che sia contrario alla legge stessa, né tantomeno alla Costituzione.
Il Dpcm ha il merito di essere di rapida adozione, per questo è particolarmente adatto alle situazioni di emergenza. Dall’altro lato, tuttavia, dal momento che non coinvolge il Parlamento, resta espressione della volontà della sola maggioranza politica.
Cos’è il decreto legge
Il decreto legge è disciplinato dal secondo comma dell’articolo 77 della Costituzione, che prevede che “in casi straordinari di necessità e d’urgenza, il Governo adotta, sotto la sua responsabilità, provvedimenti provvisori con forza di legge, deve il giorno stesso presentarli per la conversione alle Camere che, anche se sciolte, sono appositamente convocate e si riuniscono entro cinque giorni”. Nel comma successivo si legge che “I decreti perdono efficacia sin dall’inizio, se non sono convertiti in legge entro sessanta giorni dalla loro pubblicazione”.
Il decreto legge è quindi un atto che ha immediatamente forza di legge, ma che deve necessariamente essere approvato dal Parlamento entro 60 giorni, per essere convertito in legge a tutti gli effetti, altrimenti il provvedimento perde tutti i suoi effetti sin dall’inizio.
Quali sono le differenze tra Dpcm e decreto legge
Le differenze tra il Dpcm e il decreto legge sono molte, e riguardano sia l’iter di formazione e discussione del provvedimento, sia i suoi requisiti e, infine, anche la sua efficacia. Sull’iter di formazione, abbiamo già visto che il Dpcm è adottato dal Presidente del Consiglio, mentre il decreto legge è approvato dal Consiglio dei ministri.
Entrambi entrano immediatamente in vigore, ma il decreto legge deve essere approvato entro 60 giorni dal Parlamento. Durante questo passaggio, entrambe le Camere possono apporre emendamenti modificativi o aggiuntivi e stimolare il coinvolgimento dell’opposizione, che, altrimenti, resterebbe esclusa. Questo vuol dire che il testo di un decreto legge può essere convertito in legge anche con alcune modifice.
Infine, mentre il Dpcm può avere contenuto e ragioni diverse (ad esempio può contenere una nomina), il decreto legge può essere approvato, come stabilisce la Costituzione) solo in casi straordinari di necessità e d’urgenza (anche se negli ultimi anni questa regola viene sempre meno rispettata, come ha sottolineato anche la Corte Costituzionale in varie sentenze). Sicuramente, una pandemia come quella del Covid rientra tra queste situazioni.
Durante questo anno di pandemia, il governo Conte ha privilegiato il ricorso al Dpcm, ricorrendo al decreto legge solo in alcuni casi, come ad esempio l’introduzione del blocco della circolazione tra le Regioni. In questo caso, infatti, un atto amministrativo (che non ha forza di legge) non sarebbe probabilmente stato sufficiente.
Il governo Draghi ora ha deciso di cambiare strada, ricorrendo a un decreto legge. Probabilmente, dietro la scelta c’è una maggiore volontà di coinvolgere il Parlamento, a cui si aggiungono i forti dubbi da parte dei giuristi sulla legittimità dei Dpcm per limitazioni che incidono profondamente sulle libertà dei cittadini, protette dalla Costituzione. Anche i tribunali, d’altra parte, hanno iniziato a esprimere forti perplessità in merito.
La sentenza del tribunale di Reggio Emilia e il Dpcm “illegittimo”
Proprio ieri è uscita la notizia di una sentenza del Tribunale di Reggio Emilia che ha assolto un uomo e una donna che avevano presentato alle forze dell’ordine un’autocertificazione falsa a marzo del 2020, violando le restrizioni anti-Covid. I due avevano scritto che la donna doveva fare delle analisi e voleva essere accompagnata. In realtà, come accertato dalle forze dell’ordine, i due non erano stati in ospedale quel giorno: da qui la denuncia e il processo. A gennaio 2021, per la coppia, è arrivata l’assoluzione “perché il fatto non costituisce reato”.
Il tribunale di Reggio Emilia ha stabilito l’illegittimità del Dpcm, che “non può imporre l’obbligo di permanenza domiciliare, neanche in presenza di un’emergenza sanitaria”. Infatti, l’obbligo di permanenza domiciliare è “una sanzione penale che può essere decisa dal magistrato per singole persone per alcuni reati, e soltanto all’esito del giudizio”, e non da un atto regolamentare come il Dpcm.
Questa tipologia di atto può, probabilmente, imporre a qualcuno di non recarsi in zone infette, nel caso in cui vi siano dei focolai, ma un divieto generalizzato non è legittimo. In virtù di queste considerazioni, il tribunale ha ritenuto nullo l’obbligo di compilare l’autocertificazione per giustificare l’uscita di casa, con il conseguente venir meno del presunto reato di falso ideologico.
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