Altro che Semplificazioni, il decreto contro la burocrazia rallenta (ancora) il governo
Pd e M5S divisi su Codice degli appalti e opere pubbliche
Semplificazioni, il decreto rallenta il governo
Se c’è un provvedimento che oggi può mettere in evidenza meglio di altri le contraddizioni di una maggioranza parlamentare nata nel segno della responsabilità nazionale ma sostenuta da forza politiche geneticamente diverse, quello è il decreto semplificazioni, nei mesi scorsi annunciato da Giuseppe Conte come la madre delle riforme e ora slittato per i distinguo tra Pd e Movimento 5 Stelle su opere pubbliche e codice degli appalti.
Lo stop dell’azione di governo è significativo, se si considera che arriva dopo la consegna del piano Colao e gli Stati generali sull’economia, e ricorda al premier e ai partiti che lo appoggiano quanto l’intesa sulle norme sia tutt’altra faccenda rispetto ai proclami da prima pagina su accordi di massima e buone intenzioni. Al governo c’è chi parla di uno slittamento alla settimana prossima, mentre tra i grillini qualcuno indica la prima settimana di luglio. Ritardi che vanno nella direzione opposta a quella auspicata dal presidente del Consiglio, che dopo i summit di Villa Pamphilj aveva fatto capire ai referenti della sua maggioranza di non voler trascinarsi i dossier. Conte non intende vivacchiare e ha bisogno di chiudere quanto prima su Autostrade, ex Ilva, Alitalia, e sul decreto legge semplificazioni, appunto.
Il dl della discordia ruota intorno a tre punti cardine: l’intervento sui cantieri e sugli appalti relativi alle opere pubbliche, la sburocratizzazione della Pubblica amministrazione e lo sblocco degli investimenti. Ed è il primo dei tre a franre il governo. Il Partito Democratico preme per apportare solo leggere modifiche al Codice degli Appalti, varato quando alle Infrastrutture c’era Graziano Delrio, nel 2016. I pentastellati invece vogliono una deregulation sul modello Genova, con sospensione del Codice per tre anni, gare da chiudere in massimo 45 giorni e autorizzazioni ambientali entro 60.
Di Maio nei giorni scorsi lo ha ribadito a chiare lettere: “Per me la cosa ideale sarebbe dire: sospendiamo il Codice degli appalti per tre anni, lasciamo la direttiva europea, i controlli antimafia, i controlli anti corruzione”. Il ministro degli Esteri vorrebbe smantellare “un sistema burocratico che anche durante la pandemia ha messo in evidenza tutti i suoi limiti”, mostrando tutta la sua distanza con il sistema “un commissario per ogni opera”, che invece è gradito a Dem e Italia Viva. Delrio non ha fatto attendere una sua risposta: “Noi vogliamo una discussione sui dati e questi dimostrano che il Codice degli appalti ha funzionato bene”.
Il guaio, per il governo, è che le posizioni grilline trovano la sponda del centrodestra, che in questi giorni è anche rinvigorito da una tenuta della coalizione nei sondaggi, dai cambi di casacca in Parlamento e da voci di possibili ulteriori passaggi nel proprio campo. Salvini definisce il Codice una “boiata che sta rallentando lo sviluppo del Paese” e rilancia il modello Genova da applicare “per rialzarsi senza ritardi, senza incidenti, senza tangenti e senza truffe”.
La riflessione interna logorerà o meno il governo e la sua maggioranza? A dare una risposta sarà anche il decreto Rilancio, che proprio ieri, la Conferenza dei capigruppo della Camera ha deciso di far approdare in Aula non più lunedì prossimo ma venerdì 3 luglio.