Salva Roma, cosa prevede la norma che rischia di far cadere il governo
Il decreto Salva Roma è l’ultimo tema, in ordine di tempo, su cui la maggioranza giallo-verde non riesce a trovare un accordo. O meglio, su cui le dichiarazioni dei due leader, Matteo Salvini e Luigi Di Maio, sono più agli antipodi che mai.
La polemica tra Lega e Movimento Cinque Stelle è iniziata lo scorso 4 aprile, quando la sindaca di Roma Virginia Raggi e la viceministra all’Economia Laura Castelli hanno presentato la norma. L’obiettivo è quello di cancellare il debito storico di Roma, che sfiora i 12 miliardi di euro.
Il dibattito tra Salvini e Di Maio è partito già sul nome del decreto. Il Movimento Cinque Stelle, infatti, lo chiama volutamente Salva Italia, a sottolineare la portata nazionale del provvedimento. Salvini, invece, continua a chiamarlo Salva Roma, dal momento che per il leader della Lega si tratta solo di un modo per salvare Raggi e la sua città, che “la sindaca non è in grado di amministrare“.
Altro elemento di discordia è la volontà del M5s di inserire la norma nel decreto Crescita. Una prospettiva che vede la totale contrarietà di Salvini: “Non ci può essere un intervento salva-Raggi – ha dichiarato il segretario del Carroccio in più occasioni – quando ci sono tanti comuni italiani in difficoltà e che hanno bisogno. O si aiutano tutti, oppure non ci sono cittadini di serie A o di serie B, così come non ci sono sindaci di Serie A e di Serie B”.
Il 23 aprile 2019, al termine di un Consiglio dei ministri al veleno, il Salva Roma è stato stralciato dal decreto Crescita.
La norma prevede la chiusura, nel 2021, della struttura commissariale dipendente da Palazzo Chigi, che gestisce da anni tutti i debiti accumulati da Roma fino al 2008. Per un totale, come già anticipato, di 12 miliardi.
Il M5s insiste sul fatto che il Salva Roma non solo non comporterebbe oneri maggiori per lo Stato e per gli italiani, ma produrrebbe anche dei risparmi e delle risorse in più.
Come funzionerebbe il Salva Roma? La viceministra Castelli l’ha definita “un’operazione win-win“, visto che “lo Stato si accolla una parte del debito finanziario e riduce i costi che dà alla gestione commissariale”.
“I cittadini italiani non pagheranno l’operazione – ha continuato Castelli – o in caso contrario ci saremmo trovati nel 2022 con una crisi di liquidità fortissima che avrebbe soffocato la città”.
Allo stato attuale, per ripagare i debiti di Roma nella gestione commissariale confluiscono alcuni fondi statali, pari a 300 milioni di euro l’anno. Ma anche fondi comunali (pari a 200 milioni).
Con la chiusura della gestione, sarebbe il Comune stesso a occuparsi dei debiti di Roma. Il risparmio per le casse del Campidoglio – stimato in 2 miliardi e mezzo – deriverebbe dalla rinegoziazione dei mutui con le banche da parte dello Stato e da una ricognizione del piano di rientro del debito.
Un risparmio che, nelle intenzioni di Virginia Raggi, potrebbe contribuire a una riduzione dell’aliquota Irpef.
Per scongiurare la crisi di liquidità della gestione commissariale prevista a partire dal 2022, con possibili ripercussioni sul bilancio di Roma Capitale, lo Stato si farebbe carico di una parte dei debiti finanziari compensandoli “con una riduzione minima del contributo statale destinato ogni anno al ‘commissario'”.
Entro il 2021, quindi, verrebbe fissato in via definitiva il debito residuo. Poi si procederebbe alla chiusura della gestione commissariale.