Ddl Spazio, Casu (Pd): “Oggi abbiamo dimostrato che il Parlamento non è il giocattolo di Starlink, Stroppa e Musk se ne facciano una ragione”

Il deputato del Pd risponde al rappresentante in Italia del patron di Starlink, esprimendo solidarietà ai parlamentari di FdI e negando ogni inciucio: “Toni inaccettabili. Meloni dimostri di non essere ricattabile. La maggioranza voti le proposte dell’opposizione, che non vanno contro nessuno ma puntano alla difesa dell'interesse nazionale ed europeo”
«Il Parlamento italiano non è il giocattolo di Starlink». Così il deputato Andrea Casu del Partito democratico risponde al rappresentante in Italia del patron di Starlink, Elon Musk, che ieri aveva criticato “l’intesa tra Pd e Fratelli d’Italia” sul Ddl Spazio alla Commissione attività produttive della Camera, dove erano passati due emendamenti proposti dall’opposizione a salvaguardia dell’interesse nazionale e del ritorno industriale per il sistema Paese. «Agli amici di FdI: evitate di chiamarci per conferenze o altro», aveva scritto Stroppa sui social. «Il Pd ha impostato il suo contributo alla legge come una crociata anti Musk e FdI gli è andata dietro», aveva poi aggiunto in un altro tweet. «Starlink non è il giocattolo della politica».
«Il Parlamento italiano non è il giocattolo di Starlink», ha risposto Casu in un’intervista a TPI. «Sono molto preoccupato per questi toni perché colpiscono non solo il Pd ma anche Fratelli d’Italia e lo fanno in un modo molto pericoloso: cosa significa: non chiamateci più “per altro”? Ora la Presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha l’occasione per dimostrare nei fatti qualcosa che ha sempre rivendicato a parole: di non essere ricattabile».
C’è un inciucio tra Pd e Fratelli d’Italia contro Elon Musk, come denuncia Stroppa?
«Il Parlamento sta facendo il suo dovere. È inquietante che qualcuno possa definire “inciucio” un confronto parlamentare alla luce del sole su un disegno di legge che si occupa di un tema così importante come lo spazio».
Ma cosa è successo allora?
«Come Partito Democratico abbiamo presentato una serie di emendamenti all’articolo 25, che si occupa della “riserva di capacità satellitare”, cioè dell’idea che l’Italia si doti di una scorta di emergenza per garantire comunque la connettività del Paese, anche in caso di calamità naturale, conflitto o attacco hacker qualsiasi altro problema che blocchi le normali connessioni».
Non sembra un tema su cui si possa far polemica.
«È un tema cruciale ma che interroga anche il modo in cui questo servizio possa e debba essere garantito».
Cosa ha chiesto il Pd?
«Abbiamo chiesto di inserire una serie di paletti per garantire la sicurezza nazionale e il ritorno industriale per il sistema Paese e assicurare che la scelta del soggetto interessato possa prioritariamente essere indirizzata verso l’Italia e i Paesi europei e, solo in caso di comprovata impossibilità, verso soggetti degli altri Stati membri della Nato. Abbiamo poi presentato anche altri emendamenti per chiedere che questo confronto veda protagonisti soggetti istituzionali e non solo i privati. Abbiamo presentato alcune proposte per inserire nella norma le stesse priorità che, a parole, Giorgia Meloni e il ministro Adolfo Urso sottolineano sempre nelle loro dichiarazioni e che sono già normalmente adottate in tutti gli acquisti rilevanti che vengono realizzati nel comparto della Difesa. Su questo si è aperto un confronto. Tutti i rappresentanti delle opposizioni sono intervenuti e hanno sottoscritto i nostri emendamenti. La maggioranza ne ha bocciati alcuni e su altri ha preso tempo per un maggiore approfondimento. I relatori poi hanno presentato delle proposte di riformulazione che vanno almeno nella direzione di riconoscere la necessità di garantire la sicurezza nazionale e il ritorno industriale per il sistema-Paese».
Com’è andata a finire?
«Questi testi sono stati approvati all’unanimità da tutte le forze politiche. Sentirsi offesi dal fatto che tutto il Parlamento voti degli emendamenti nell’interesse della sicurezza nazionale non è certo un problema dei deputati che hanno votato e sottoscritto queste proposte. Anzi, ritengo che le parole di Stroppa colpiscano sicuramente il Partito Democratico ma offendano anche i parlamentari di Fratelli d’Italia che hanno legittimamente scelto, insieme agli altri deputati della maggioranza, di votare degli emendamenti a una legge che, ripeto, non erano contro qualcuno ma mirano a difendere l’interesse nazionale».
Il Ddl Spazio è stato licenziato dal Consiglio dei ministri a giugno, presentato alla Camera a settembre e in Commissione a fine ottobre. Perché è nata una così forte polemica dopo un esame così lungo?
«Il Ddl Spazio è nato in un’altra era geopolitica. Se pensiamo che in queste ore il presidente Usa Donald Trump minaccia di imporre dazi del 25% all’Europa, ci rendiamo conto quanto è cambiato lo scenario. Proprio per questo oggi più che mai nella norma devono esserci dei punti fermi».
Quali?
«Inserire nell’articolo 25 del Ddl Spazio questa capacità di backup del sistema di connessioni satellitari nel momento in cui l’Italia e l’Europa non sono in grado di fornire tali servizi, significa di fatto configurare uno strumento che rischia di regalare tale opportunità ad altri soggetti. Come Pd non ci siamo sottratti a un confronto di merito e ai colleghi della maggioranza abbiamo detto: se questo decreto ha l’obiettivo di promuovere un’accelerazione satellitare dell’Italia per riscoprire un ruolo da protagonista dell’Europa e non quello di consegnarci mani e piedi a Starlink, dimostriamolo scrivendo norme che vadano in questa direzione. Abbiamo presentato, ad esempio, altri emendamenti anche all’articolo 23, chiedendo di considerare prioritario il partenariato d’investimento pubblico-privato per le imprese italiane ed europee. Ma l’abbiamo fatto non per ostacolare qualcuno, ma perché vogliamo scrivere leggi che aiutino il sistema delle nostre imprese a crescere».
Come si spiega allora la reazione dell’entourage di Musk?
«La domanda è: perché qualcuno dovrebbe essere così contrario a un ritorno industriale per il sistema-Paese da intervenire nel modo scomposto che abbiamo visto in queste ore?».
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Cosa risponde Lei?
«Evidentemente c’è qualcuno che, da un’eventuale gestione di questi servizi, non prevede di destinare alcun ritorno industriale all’Italia. Ma noi siamo un grande Paese: non possiamo comprare pacchetti chiavi in mano in cui qualcun altro ha il controllo della sicurezza e della ricchezza generate da un servizio pagato con i soldi dei contribuenti. Tale reazione è la cartina di tornasole della volontà di ottenere spazi, senza sottostare ad alcune regole».
Non è la prima volta che vi scontrate con Starlink però.
«Nel caso del Piano Italia a 1 Giga abbiamo aspramente contrastato il ricorso alle risorse del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr) per finanziare una connessione satellitare attraverso Starlink. Lo abbiamo fatto per la semplice ragione che il bando prevedeva degli standard minimi di connessione che non possono essere garantiti da un sistema via satellite, né tanto meno da Starlink. Abbiamo spiegato in ogni sede che non era possibile modificare un bando e rendere un servizio peggiore rispetto a quello che si doveva realizzare esclusivamente per consentire a un soggetto di beneficiarne. Da questo punto di vista bisogna dire che le ultime dichiarazioni del Governo sono andate nella direzione della salvaguardia dell’obiettivo originario del piano».
Che differenza c’è rispetto a quanto sta accadendo oggi?
«Con la stessa determinazione, se guardiamo alle infrastrutture satellitari, non stiamo andando contro qualcuno ma chiediamo al Governo di garantire l’interesse nazionale. Se mai l’Italia fosse costretta a ricorrere a tecnologie extra UE deve farlo sempre nella prospettiva di poter diventare autonoma quanto più rapidamente possibile, se come italiani ed europei non saremo in grado di costruire un’alternativa, chi oggi guida la corsa nello spazio si trasformerà in monopolista, e rinunceremo per sempre ad avere un ruolo nel futuro. Se i nostri alleati lo sono veramente per loro questo non dovrebbe essere un problema, come non lo è stato nel passato.».
Con il rischio che ce li sottraggano per decisione politica.
«Chi sta provando a strumentalizzare tutto questo per il proprio tornaconto, ha sbagliato indirizzo nel rivolgersi in questo modo e con questo tono al Parlamento italiano. È chiaro che questa è la reazione che abbiamo noi. Ci auguriamo che nelle prossime ore sia altrettanto forte la reazione da parte della maggioranza, di Fratelli d’Italia e della Presidente del Consiglio. Che cosa significa dire: se votate in Parlamento degli emendamenti che chiedono di garantire la sicurezza nazionale e il ritorno industriale per il sistema-Paese, scordatevi di noi? Cosa significa: non chiamateci più per i convegni? Cosa significa: non chiamateci più per altro? Cosa si intende per altro? Di fronte a tutto questo, la Presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha l’occasione per dimostrare, nei fatti, qualcosa che ha sempre rivendicato a parole: di non essere ricattabile. La maggioranza voti l’intero pacchetto di emendamenti dell’opposizione, non solo quelli approvati in Commissione Attività Produttive alla Camera, ma anche gli altri presentati in aula, che non vanno contro nessuno ma sono per la difesa dell’interesse nazionale ed europeo. Dimostri nella pratica che questa norma serve a rafforzare il nostro Paese in una rincorsa satellitare a livello dell’Unione. Se lo farà, Meloni darà la migliore dimostrazione di non essere ricattabile e dimostrerà che chi in queste ore ha provato a inquinare un sereno confronto politico con toni tanto minacciosi, farebbe meglio concentrare altrove la propria attenzione, se intende lavorare con questo metodo. Perché si tratta di un metodo inaccettabile per un grande Paese e per una democrazia».
La discussione in aula del Ddl Spazio è calendarizzata per lunedì 3 marzo. Che succede adesso?
«Sarà l’occasione per un confronto parlamentare su ciascuno di questi temi. La votazione dei due emendamenti che abbiamo riformulato con la maggioranza per salvaguardare la sicurezza nazionale e garantire un ritorno industriale per il sistema-Paese è stato un segnale di apertura importante, che voglio sottolineare e registrare. Restano però ancora in piedi le questioni che abbiamo posto sulla priorità per la strategia italiana ed europea e sul ricorso ai soggetti degli altri Paesi Nato solo in caso di comprovata impossibilità. Non abbiamo presentato emendamenti che escludono categoricamente la possibilità di dialogare con soggetti come Space X. Ma abbiamo abbiamo posto un tema: se c’è una comprovata impossibilità di poter soddisfare determinate necessità con strumenti italiani ed europei e si è obbligati a rivolgersi ad altri soggetti, che vengano almeno garantiti degli standard minimi: la sicurezza nazionale; la salvaguardia dei nostri dati e del ritorno industriale per il sistema-Paese; e la compartecipazione di istituzioni pubbliche che assicurino che ciò avvenga regolarmente. Queste garanzie minime non possono essere derogate. Chi ha a cuore la patria, di fronte a un attacco così grave a quella che è la nostra autonomia e addirittura la nostra indipendenza dovrebbe avere un sussulto d’orgoglio e dire che noi siamo l’Italia: non ci pieghiamo e non ci inginocchiamo. Noi, insieme agli altri Paesi europei, concorriamo per assicurare i migliori servizi ai nostri concittadini e per attrezzarci in quei settori dove siamo ancora in ritardo. Ma per andare avanti non per consegnarci a qualcuno e smettere di essere competitivi per sempre. Da questo punto di vista i nostri emendamenti parlano una lingua molto chiara. Alcuni sono passati ed è un buon segnale. Speriamo veramente che sulle altre questioni si possa mettere un punto inequivocabile in aula».
Come?
«Faccio un esempio: rispetto al testo originario in Commissione si è posta un’attenzione, da parte dei relatori, sulla differenza tra alcuni Paesi con cui abbiamo rapporti tramite l’Esa e altri Stati. È un tema vero e se è necessario siamo disponibili a intervenire per accogliere le eccezioni di merito emerse dal confronto parlamentare, dalle audizioni e dai contributi arrivati su tanti altri temi. Parliamo di un provvedimento che ha decine di articoli e su tanti altri sono arrivati diversi spunti che fino adesso non sono stati raccolti, come ad esempio sul ruolo delle start-up. Si chiama Parlamento proprio per questo, perché è un luogo dove, dal confronto fra le varie forze politiche, i testi di legge possono essere migliorati. Non ci può essere nessuno che, con un messaggio sui social, può immaginare di fermare il confronto tra i legittimi rappresentanti votati dai cittadini italiani. Nel momento in cui un messaggio mandato sui social dal rappresentante di un’impresa straniera varrà più della voce dei parlamentari eletti democraticamente dagli italiani, non saremo più una democrazia ma saremo diventati qualcos’altro».
A proposito di messaggi sui social, Stroppa ha scritto: “Starlink non è il giocattolo della politica”.
«Forse Stroppa non ha capito che il Parlamento italiano non è il giocattolo di Starlink».