Addio David (di Pierluigi Bersani)
Passato in poche settimane dal Tg1 al Parlamento europeo, una strada che aveva definito da subito senza ritorno, eletto immediatamente capo della delegazione del Pd in virtù di un record di preferenze, David Sassoli mi appariva un po’ spaesato le prime volte che, da neo segretario del Partito democratico, salivo a Bruxelles per qualche riunione. Capitava di scambiare qualche chiacchiera, sempre facile e gradevole. Ho imparato così a conoscere la sua passionaccia per la politica, a riconoscere i suoi valori cattolico democratici più connaturati che coltivati.
Ci mise poco ad ambientarsi. Passando i mesi mi accorgevo che era diventato amico di tutti, e sapeva tutto. Il sorriso, la curiosità del giornalista, la disinvoltura dell’uomo di tv, erano veri punti di forza nell’entrare in relazione con le persone.
E lui si appassionava a tutto. In poche settimane sapeva delle regole e regolette che fanno spesso la politica europea molto di più di quanto avessi mai imparato io. Ma quando era davanti a un bivio, David Sassoli non sbandava mai: prendeva sempre la strada che gli indicavano i suoi principi e i suoi valori di cattolico democratico, fino a sfiorare il volontarismo.
David era proprio uno di sinistra, senza complessi e senza ambiguità. Come lo sono certi cattolici democratici della sua generazione: i ragazzi di Zaccagnini, come si definiscono loro. Gente che non va in cerca del posizionamento tattico, che sa dove stare: dov’è sempre stata.
Era un nativo vero del Pd, in questo senso. E riuscì a sbrogliare la matassa della collocazione del partito nel Pse superando rigidità dogmatiche e resistenze identitarie, aiutando me e poi Guglielmo Epifani a concludere quel percorso. Con la forza dei suoi valori. E con quel sorriso.