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Azzolina a TPI: “Nelle scuole 70 milioni di euro per comprare i tablet ai ragazzi che non li hanno”

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Lucia Azzolina Illustrazione: Emanuele Fucecchi

“Lavoriamo per non lasciare indietro nessuno. La scuola ha reagito prontamente all’emergenza: nella difficoltà stanno emergendo esperienze di innovazione bellissime”. Intervista di Luca Telese alla ministra dell'Istruzione Lucia Azzolina

Ministro, in queste ore molte voci preoccupate si levano sul diritto allo studio, su come garantirlo in una situazione di emergenza.
Se parliamo di preoccupazione, mi creda, fra i più preoccupati, come è giusto che sia, ci sono io, che sono pagata dai cittadini per esserlo e dare risposte. Con i colleghi di governo lavoriamo ogni giorno per contrastare un’emergenza che non ha precedenti, per mettere in campo le migliori soluzioni. Quando parliamo di istruzione è la Costituzione, che sancisce il diritto allo studio, la nostra guida per agire.

Un paese che non era preparato si è trovato impegnato nell’avventura della didattica a distanza.
Vere entrambe le cose: eravamo arretrati, nella cultura digitale. Su questo occorrerà riflettere. Si parla da anni di Piani per la digitalizzazione. Dovremo capire cosa è accaduto davvero e accelerare. Intanto, in queste settimane, abbiamo fatto passi importanti. Trasformare questa crisi in opportunità è la sfida che ci si para davanti. Dobbiamo e vogliamo vincerla.

Arretrati anche dal punto di vista scolastico intende?
Sarebbe inutile negare la condizione in cui si trovava la scuola quando l’epidemia ci ha investito. Ancora troppe disparità fra un istituto e l’altro. Ma la scuola ha saputo reagire, questo va detto. Dobbiamo esserne fieri. Ringrazio tutto il personale. Come Ministro ho voluto fortemente la didattica a distanza quando siamo stati costretti a chiudere le aule.

Decisione difficile?
C’erano tante resistenze. Per certi aspetti comprensibili: ci muoviamo su un terreno nuovo. Una pandemia così non c’era mai stata. Ma diciamolo con franchezza: non c’era nessuna vera alternativa alla didattica a distanza, tanto che l’hanno adottata anche all’Università, dove pure le lauree avvengono per via telematica in queste settimane. Si poteva sospendere tutto, non fare più nulla, abbandonare i ragazzi. Oppure provare questo salto: avviare una didattica dell’emergenza.

La rivoluzione tecnologica corre il rischio di tagliare fuori dalla didattica a distanza i più deboli.
Tutta la scuola pubblica è impegnata perché questo non accada.

C’è un problema per i più poveri.
C’è un problema con i meno digitalizzati. Che spesso, sì, sono anche i più poveri.
C’è un problema di accesso all’istruzione per chi non ha device, computer e dispositivi?
Bisogna considerare le condizioni di partenza. Lavoriamo per garantire che tutti i ragazzi abbiano una risposta.
Cosa è cambiato in queste ultime settimane?
Abbiamo stanziato risorse perché le scuole potessero intervenire direttamente.
Con che limiti?
Non ci devono essere limiti, per quel che mi riguarda. Nessuno deve restare indietro.
Se questo è l’obiettivo servono tantissimi investimenti, però.
La prima erogazione di fondi dedicati ai device è stata di 70 milioni di euro.

Sono davvero tanti dati i numeri della scuola italiana?
Queste risorse possono risolvere il problema di dotazione di oltre 300 mila alunni. Non sono pochi. Il censimento lo stiamo facendo giorno dopo giorno. Le scuole, poi, stanno dando in comodato d’uso anche i device che hanno comprato negli ultimi anni grazie anche ai fondi del Piano Scuola Digitale. Anche questi garantiranno un’importante copertura. Molte Regioni, Comuni, Associazioni, anche privati stanno facendo la loro parte. La scuola è del Paese, è giusto che tutti vogliano occuparsene. A scuola ci sono i cittadini del futuro, dobbiamo occuparci di loro come collettività. Se serviranno altre risorse le assicuro che le troveremo.

Per molti di questi ragazzi è difficile chiedere un aiuto: talvolta addirittura per pudore.
A questi ragazzi, alle famiglie, dico: abbiate fiducia nella scuola. Sono in contatto con tanti dirigenti scolastici, che ringrazio sempre per il lavoro che stanno svolgendo, che, insieme ai rappresentanti dei genitori, si stanno occupando di censire le esigenze delle famiglie.
Quindi gli insegnanti possono segnalare i casi in cui serve un tablet o un computer?
Certo. Devono farlo. Proprio per questo motivo abbiamo dato indicazioni inequivocabili alle scuole: dirigenti e docenti possono intervenire in qualsiasi momento.
Ma questi soldi quando arrivano materialmente?
Questi soldi sono già arrivati. Fondi dedicati che sono già nelle casse delle scuole.
Possibile?
Abbiamo accelerato e sono già lì.
Utilizzabili da quando?
Da subito.
E come fanno gli studenti a ritirare i tablet?
Abbiamo attivato diverse modalità: in alcuni casi sono i dirigenti scolastici a consegnare, soprattutto nei piccoli centri, altrimenti è la protezione civile che si reca a domicilio.

Casa per casa?
È uno dei problemi in cui i corpi dello Stato stanno lavorando in modo coordinato. E con successo.
Quindi alcuni apparati sono già arrivati in questo modo?
I primi dispositivi sono già nelle mani dei ragazzi e già attivi.
Quando il prossimo monitoraggio?
Stiamo preparando un nuovo monitoraggio con le scuole che ci dirà con precisione quanti sono i dispositivi in funzione e consegnati fra quelli acquistati con i nuovi fondi e quelli già in possesso delle scuole. Mi creda, lavoriamo senza sosta per questo.
Cosa le manca per essere soddisfatta? Vogliamo raggiungere più studenti possibile, più segnalazioni ci arrivano e prima raggiungeremo questo obiettivo”.

Lucia Azzolina è a lavoro anche nelle ore di Pasqua per tenere il passo di tutte le emergenze che il prolungamento della chiusa impone. Dopo il Coronavirus, e per effetto della chiusura importa dai contagi, la scuola ha iniziato a correre, come un treno che deve cambiare le sue ruote in corsa. La didattica a distanza – come abbiamo visto – impone la necessità di continui aggiornamenti per mantenere la rotta. Così il ministro dell’Istruzione – in questa intervista – racconta per la prima volta le tante difficoltà, ma anche i tantissimi segnali positivi: “Persino in mezzo alla tempesta la nostra scuola ha dimostrato di essere viva, e di reagire alle difficoltà con coraggio e – in molti casi – persino con fantasia”.

Ministro, ripeterebbe oggi le scelte più difficili che ha fatto per accelerare sulla didattica a distanza
Devo dirle che ne sono ancora più convinta oggi di quello che abbiamo deciso nei primi giorni.
Perché?
Ripeto, non c’erano alternative: o la scuola italiana provava a fare un salto per continuare a mantenere vivo e continuo il rapporto con i suoi studenti, oppure lo avrebbe perso.
Ne è convinta?
Assolutamente sì. Anche partire con poche ore di lezione in ogni classe, all’inizio, ha tenuto connesso il filo della didattica. Su quel bandolo abbiamo tessuto la tela.
Le critiche non sono mancate. Molto dicevano che la scuola non era pronta.
La prima esigenza era quella di non interrompere un servizio che è, prima di tutto, un diritto. La seconda era una percezione che in me era rafforzata dalla mia esperienza di docente…

Quale?
Non volevo che i ragazzi restassero soli. Che si sentissero abbandonati. Questa per me è una priorità.
E le critiche di chi spiegava che non si poteva fare come le ha prese?
Non polemizzo con chi era scettico.
Però vorrebbe, lo ammetta.
Non mi interessa, glielo assicuro. Ci sono problemi così importanti, oggi, le polemiche non servono.
Tanti docenti hanno ripetuto: “la didattica a distanza non è prevista nel nostro contratto”
Neanche la scuola chiusa per virus, se è per questo. Ma un professore o un maestro hanno il dovere di insegnare, per me, esattamente come un medico ha il dovere di curare. Io di questo sono profondamente convinta. E sono pronta a discuterne con chiunque. Ricevo centinaia di messaggi che mi confermano che tanti la pensano così fra genitori e docenti.

Non sempre tutto ha funzionato come doveva, lo ammette?
Sarebbe stato impossibile avere tutto e subito. Ma le obiezioni di chi diceva ‘è impossibile farlo’ sono state in parte smentite dai fatti. Lo stiamo facendo. E tutto questo nel giro di poche settimane.
Molti temevano che questo cambiamento fosse un colpo alle prerogative dei docenti.
Ma perché? Questo non lo capisco, davvero. Nessuno meglio di me sa che la didattica a distanza non può sostituire la didattica in presenza. È una soluzione per affrontare l’emergenza.  Fra l’altro l’unica possibile.
E l’aspetto psicologico la preoccupa?
La scuola era ed è per i ragazzi, soprattutto in queste ore, un potentissimo ancoraggio alla normalità.
Però c’è molta difformità nei risultati che si stanno raggiungendo in queste ore.
Abbiamo avuto una piccola idea che si rivela utile per rispondere alla sua domanda.

Quale?
Il canale Telegram ‘La scuola non si ferma’ e la relativa pagina web.
Perché è diventato la vetrina delle cose che funzionano ed è così bella che oscura il resto?
Io la vedo al contrario: è il luogo dove le esperienze individuali possono diventare modello e stimolo. Un circolo virtuoso. Tante scuole stanno chiedendo una mano a chi ce l’ha fatta. Abbiamo decine di gemellaggi in corso.
Non le piace il vocabolo “vetrina”?
No. Perché qui non si compra nulla: è una condivisione di esperienze, in cui impariamo tutti, e più velocemente”.
Perché questo canale è nato proprio su Telegram?
È nato lì perché è la prima piattaforma in cui hanno iniziato a raccogliersi tantissime esperienze e condivisioni di informazioni, in modo quasi del tutto spontaneo.

Ma i canali di comunicazione che per qualcuno sono ideali, possono essere non graditi da altri.
Tutto poi finisce anche sul sito del Ministero dell’Istruzione. Il luogo più istituzionale, anche nel mondo digitale di cui parliamo.
Come si sta svolgendo questo trasloco della didattica e delle lezioni dalle classi alla rete?
Siamo passati da una situazione di arretratezza ad una grande esperienza innovativa collettiva. E stiamo coinvolgendo anche la Rai, lanceremo a giorni una nuova programmazione dedicata.
Da dove siete partiti?
Alcuni docenti si erano già formati ad una didattica digitale. Sono stati la pattuglia che ci ha dato indicazioni e che sta trascinando tutti gli altri.
E come mai erano già pronti?
Perché avevano già fatto delle esperienze pilota. Il nucleo dei fondatori è stato costituito da chi aveva organizzato le esperienze di didattica digitale in luoghi in cui era indispensabile: penso in primo luogo agli ospedali.
E gli altri?
Si sono formati in corsa per dare risposte ai loro studenti. Alcuni addirittura da soli, prima di ricevere istruzioni. Quando avremo il tempo per ricostruirla, questa pagina avrà dei passaggi bellissimi.

Si poteva fare di più?
Noi abbiamo attivato tutti gli strumenti che avevano.
Ad esempio?
Abbiamo gemellato alcune scuole che avevano partecipato alle esperienze pilota, con altre, che erano più indietro.
E quelli che dovevano partire da zero?
Il grosso della formazione dei docenti è avvenuta da remoto, anche sulla piattaforma del sito del ministero dove insieme all’istituto di ricerca pubblico INDIRE abbiamo messo a disposizione webinar e strumenti di consulenza. I registri elettronici, che erano già attivi e utilizzati da studenti e famiglie, sono diventati il primo anello della catena. Una piattaforma che aveva dei limiti tecnologici, ovviamente, ma che si è rivelata una base preziosa.

Ma i numeri della platea dei ragazzi da coinvolgere sono enormi!
Certo. Nella scuola italiana ci sono 8 milioni e mezzo di studenti, un milione di dipendenti, e poi tutte le famiglie.
Torniamo ai problemi. La didattica a distanza era “solo opzionale”.
Nel primo decreto era così. Ci sono state diverse resistenze. Ma adesso abbiamo già cambiato la normativa: la didattica a distanza non può essere più opzionale. È un obbligo.
È stata una forzatura?
Rispetto a quale esigenza? Quando devi fare un Esame di Stato il diritto che devo garantire diventa ‘universale’, non più ‘opzionale’.
Non avete voluto cancellare l’esame di terza media. Né la maturità. Ma saranno un test complesso.
Ed è esattamente per questo motivo che lo abbiamo fatto: non potevamo vanificare il lavoro di un ciclo di studi. La tesina è un punto di partenza. Si è innestata una strada, un percorso. Con molta flessibilità, ma con un punto discriminante su cui non transigo.

Quale?
Quando si arriva al tema del diritto allo studio e all’unica via per garantirlo, non ci sono altre strade, se non questa. Fare le lezioni, fare gli esami, coinvolgere tutti.
Lei sta parlando di 70 milioni per i dispositivi potenzialmente acquistabili, ma il finanziamento è più grande.
Nel decreto abbiamo stanziato 85 milioni di euro, 5 milioni sono destinati alla formazione e 10 milioni sono serviti per le piattaforme.
Però ci sono ancora tanti problemi.
Non solo non lo nego, ma invito tutti a segnalarmeli.
Quando, dove?
Leggiamo tutte le segnalazioni che ci arrivano in tempo reale sui social e via mail. Un lavoro fondamentale.

Mi dica un problema che l’angoscia.
I giga.
I giga?
Gli studenti ci hanno iniziato a scriverci che le dotazioni finivano a velocità impressionanti.
Perché è aumentato enormemente il volume delle operazioni?
Pensate solo alla mole di compiti che si caricano ogni giorno sui registri elettronici, ai programmi di didattica che servono…
E la soluzione?
Alcune compagnie telefoniche hanno fatto un passo importante donando traffico internet gratuitamente, proprio per la didattica.
Quali?
Tutte informazioni reperibili sul sito dedicato ‘Solidarietà digitale’.
E dove non arrivano questi giga?
Studenti e famiglie segnalano alle scuole. E si interviene, esattamente come per i tablet. Perché abbiamo abilitato i fondi anche per questo tipo di acquisti.

Ma tutti questo non si basa solo sul fatto che gli studenti chiedano aiuto?
Proprio per scongiurare questo rischio abbiamo lanciato il monitoraggio per capire chi aveva i dispositivi e chi non li aveva.
Il criterio di distribuzione del finanziamento quale è stato?
Per il 70 per cento quello della povertà territoriale. Per il 30 per cento quello della popolazione studentesca.
E ha funzionato?
Fino ad oggi nessuno ha esaurito il suo fabbisogno. Ma abbiamo strumenti agili per compensare, se servisse.
E i dirigenti scolastici riescono a svolgere questo compito?
Sono stati bravissimi, e non è una frase di rito: molti di loro erano già intervenuti prima che arrivassero le nostre direttive, con i loro fondi di emergenza. E hanno fatto bene.
Ma come acquistano i dispositivi? Fanno dei bandi?
Nel decreto li abbiamo esonerati dalle procedure di gara. Altrimenti i tablet non sarebbero mai arrivati.

E la proprietà dei dispositivi di chi è?
Della scuola. Vengono dati tutti in comodato, senza limiti.
E quando i ragazzi finiscono di averne bisogno?
I dispositivi tornano alla scuola e restano nel suo patrimonio. Nulla andrà sprecato. Anzi, questi sono investimenti.
Ma tutte queste informazioni secondo lei sono arrivate agli studenti? Lo sanno che possono chiedere?
Stiamo continuando a dirlo, anche attraverso i media.
E dopo? Si immagina già come sarà tornare nelle classi?
Io quel giorno lo attendo come una liberazione. Ma in qualcosa saremo arricchiti: sul piano digitale.

E cos’altro resterà di utile?
Le famiglie stanno facendo un lavoro enorme di sostegno ai ragazzi. È stato un effetto collaterale, ma molti hanno avuto la possibilità di toccare con mano questa nuova scuola.
Sento una nota di amarezza, in questa considerazione, perché?
Prima del Coronavirus – in molti casi – c’era una immagine distorta di diversi rapporti, perché leggevamo tanti troppi articoli sulle polemiche contro i docenti…
E sente che questo clima sta cambiando?
Il fatto che le famiglie stiano collaborando, che partecipino, che seguano i loro ragazzi ha abbattuto molti steccati.

E come le è arrivato questo ritorno?
Molti genitori mi scrivono! E non sa quanti ci dicono: ‘Ministro, stiamo tornando a scuola!’. Pensi ai bimbi della primaria, che senza assistenza avrebbero enormi difficoltà.
Perché molte classi usano Zoom?
Abbiamo lasciato assoluta autonomia e libertà di scelta sulle piattaforme.
Detto così sembra un po’ anarchico.
Questa flessibilità sta funzionando. Tra tanti disagi che abbiamo dovuto subire, ci sarà il vantaggio di un percorso fatto di alfabetizzazione digitale.

Resta il tema del sostegno da dare a chi – purtroppo – non ha famiglie alle spalle.
Stiamo usando tutte le risorse che ci sono anche nella società civile. Le stiamo mettendo in rete.
Ad esempio?
A Napoli con le associazioni dei maestri di strada.
E poi?
Gli stranieri non accompagnati, anche quelli nei centri, li seguiamo con l’aiuto dell’Unicef e con Save the Children, con tante altre associazioni che sono sui territori. Abbiamo coinvolto anche il Telefono azzurro. E poi…
E poi?
Se ci sono altri soggetti che possono aiutare la porta è aperta. Non ci sono muri e recinti in questa nuova scuola.
Mi dica una cosa che l’ha colpita in questi giorni.
L’immagine di una bambina delle elementari che abbracciava il suo Pc, quando ha visto che sullo schermo c’era la sua maestra.
E poi?
La radio dei professori che è nata a Frosinone.

E l’impresa più folle?
La lezione degli studenti collegati con la NASA in diretta. Ci sono riusciti ad Alessandria, e non mi chieda come
E poi?
I tanti microcanali dedicati alla didattica che proliferano su YouTube. Tutte cose che nascono dal basso, non per decreto. Tutta ricchezza di saperi diffusi.
Sono cose che lei riesce a seguire direttamente?
In molti casi: cerco di non perdermi nulla, perché come può capire mi serve a capire dove va la nave. Il Ministero è sceso in campo e si è sporcato le mani.
Se volesse distribuire simbolicamente ‘medaglie’ ai più virtuosi?
Ci sono migliaia di esempi. C’è un insegnante di matematica di Trieste che ho chiamato per congratularmi per le sue lezioni, di livello straordinario. Gli studenti del liceo Turrisi Colonna di Catania che hanno montato dei video solo con i loro telefonini. O il lavoro fatto per la Giornata sull’autismo del 2 aprile. Gli istituti hanno prodotto davvero di tutto, dalle canzoni ai quadri. Abbiamo collegato gli studenti di Studenti di Brindisi e Codogno… Il Rossellini di Roma ha illuminato il Ministero proiettando un video sulla nostra facciata di viale Trastevere… ci sono poi dei record.

Quali?
Il record di presenze in un incontro a cui ho partecipato: 250 ragazzi connessi tutti insieme, in una assemblea scolastica della provincia di Bergamo. Un’esperienza che abbiamo realizzato anche con Vo’ Euganeo.
Scusi, lei una docente, dia un voto a questa scuola.
Io le darei un bell’otto. Un buon insegnante deve valutare i risultati anche nelle condizioni in cui si producono.
Non sarà troppo generosa?
E’ un voto per questa grande energia che arriva dal basso. Dalla scuola di base italiana. Pubblica. Tenace, coraggiosa, diffusa.

Crede al dato Istat secondo cui il 22% di studenti non hanno apparati digitali?
Il problema esiste anche se più del 90 per cento degli studenti ha uno smartphone. So di molti che stanno usando quello per la didattica.
Non è lo strumento ideale.
Non lo è infatti. Servono tablet e Pc. Ma credo anche che questa soluzione sia un paracadute mentre lavoriamo per raggiungere tutti.
Ma arriveranno anche proteste e lamentele!
Ovvio. Io leggo tutto quello che arriva, anche le cose più critiche, per capire ogni giorno come muoversi.
Il bicchiere di questa scuola di emergenza e di anticipazione, per lei, è mezzo vuoto o mezzo pieno? Sia sincera.
Bisogna sempre guardare il contesto generale. Io vedo un quadro che si anima: pieno o vuoto che fosse, è un contenitore che si sta riempendo molto velocemente. Per nostra fortuna”.

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