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“Zone rosse di serie A e di Serie B, a noi nessun fondo. Il governo ci discrimina”: parla il sindaco di Treviso

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Decreto rilancio, il sindaco di Treviso Mario Conte a TPI

L’esclusione “a sorpresa” di quasi tutte le zone rosse istituite durante l’emergenza Covid dal fondo di 200 milioni destinato ai comuni più colpiti dall’epidemia, creato con il decreto rilancio, ha innescato l’ennesimo braccio di ferro tra governo e Regioni. Il maxi provvedimento da 55 miliardi approvato lo scorso 13 maggio aveva previsto che la misura includesse tutti i comuni dichiarati ‘zona rossa’ per almeno 30 giorni nei mesi di emergenza, ma una rettifica pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale ha modificato l’articolo 112 relativo al fondo. Che ora dovrebbe essere devoluto solo alle province di Bergamo, Brescia, Cremona, Lodi e Piacenza, escludendo alcuni dei focolai più caldi dell’epidemia e provocando l’ira di sindaci e governatori.

Tra questi anche Mario Conte, primo cittadino leghista di Treviso e presidente dell’Anci Veneto, che commenta a TPI: “È incredibile, grottesco. Le province del Veneto sono state tra le prime a diventare zona rossa, il conto da un punto di vista di persone è pari a 1.820 morti e 4.500 ricoverati, non mi sembrano numeri irrisori o che non certifichino il fatto che il Veneto sia stata tra le zone più colpite. Il case history a livello europeo si chiama Vo’ Euganeo, in provincia di Padova, nonostante tutto questo noi siamo stati esclusi dalla ripartizione di quei 200 milioni giustamente stanziati per le zone rosse. Anzi, siamo stati prima inseriti nel decreto, poi esclusi all’ultimo momento dalla pubblicazione: così è anche peggio”, dichiara. E promette battaglia. “Anche noi abbiamo patito e subito la scelta responsabile di istituire le zone rosse, non capisco perché dobbiamo essere esclusi, come se fossimo di serie B. Ma adesso ci batteremo su tutti i tavoli”.

Che idea si è fatto delle motivazioni che hanno spinto l’esecutivo a includere solo le province di Bergamo, Brescia, Cremona, Lodi e Piacenza nei 200 milioni? 

Non ci sono giustificazioni. Francamente è una scelta talmente strana e atipica che non mi so dare una spiegazione. Sono convinto che questo governo sin dalle prime azioni abbia fatto male i conti, e quindi probabilmente la coperta che ha deciso di mettere a disposizione di questa emergenza è troppo corta. Subiscono pressioni, non so da parte di chi, per svantaggiare qualche zona. Ma sono stanco che tra quelle svantaggiate ci sia sempre il Veneto. Capisco che abbiamo dato dimostrazione, grazie al governatore Zaia, di saper gestire in modo eccellente l’emergenza, di essere stati i primi ad entrarci e a uscirne, ma se una zona dell’Italia ha questa dote non significa però che non debbano essere riconosciuti i danni e gli sforzi economici fatti da tutta la comunità. Continueremo a batterci su tutti i livelli.

Il governo secondo lei discrimina il Veneto?

Francamente comincio ad avere questo sospetto. Il lavoro di Luca Zaia ha fatto scuola, è stato una sorta di stella cometa nella gestione Covid. Questo è un valore aggiunto per l’Italia, non deve suscitare uno spirito di competizione da parte di altri. Se da sindaco trovo un altro sindaco vicino a me che riesce a gestire bene l’emergenza e fa iniziative positive non faccio altro che copiarle, non capisco perché in Italia bisogna guardare agli altri come se fossimo in una competizione. Chiedo ai tanti veneti che siedono in Parlamento di fare asse perché sia riconosciuto quanto tolto.

Quali sono state le perdite economiche legate all’istituzione della zona rossa a Treviso dall’8 al 26 marzo?

Al comune di Treviso l’emergenza Covid ha sottratto dai 10 ai 12 milioni. È avvenuto lo stesso ai colleghi delle città capoluogo: Venezia ha un danno di 115 milioni, Verona di 50 milioni, Padova altrettanti. Stiamo parlando ci cifre altissime tra mancati introiti e danni legati al turismo e a tutto quello che ne consegue. Ci spetta ogni capitolo di risarcimento, e non perché siamo capricciosi. Ogni euro che viene trasferito dallo stato ai comuni, e che oggi corrisponde a zero, significa servizi ai cittadini, non vogliamo avere il portafoglio pieno. Noi dobbiamo erogare servizi.

Eppure Luigi Di Maio ieri ha promesso un aggiustamento del decreto in sede di conversione, subito confermato da un emendamento lanciato oggi da Pd, Iv e Leu.

Siamo arrivati quasi a conclusione del terzo mese di emergenza, delle parole e delle promesse comincio a essere un po’ stanco, qui abbiamo bisogno di fatti. E i fatti sono che in fase di pubblicazione siamo stati tolti dal fondo per i comuni più colpiti: invece di promettere, ci inseriscano. Dobbiamo essere sempre i cani da guardia di questo governo. Ma noi dobbiamo gestire le comunità, non possiamo avere sempre la preoccupazione che lo stato ci freghi. Così non si può andare avanti. Tenga conto che da un mese i sindaci del Veneto chiedono un appuntamento con il presidente del Consiglio e da un mese lui non si degna nemmeno di rispondere. Allora un sospetto comincia a venirci.

Sospetto di cosa?

Sospettiamo che questo governo abbia qualcosa contro il Veneto, se ogni azione ci vede penalizzati. Chiediamo un appuntamento e i veneti non vengono ascoltati, qualcuno ci deve spiegare cosa abbiamo fatto di male in questo Paese. Forse aver votato a favore dell’autonomia.

Ma anche i comuni ex zone rosse della Campania e di altre Regioni sono stati esclusi dal fondo, questo lascia pensare che la manovra non risponda alla volontà di discriminare il Veneto.

Non lo saprò fin quando non avrò modo di confrontarmi con questo governo. Abbiamo proposto con spirito costruttivo di scambiare due parole in video conferenza ma non si riesce. Volevamo portare delle proposte per la fase due, quando dicevamo che eravamo pronti a riaprire, ma non abbiamo ricevuto né un si né un no, nessuna risposta. Non si riesce a comunicare. Purtroppo la nostra rappresentanza a livello di governo è minima se non quasi nulla, c’è il ministro D’Incà (M5S, ndr) che non ho mai sentito in questa emergenza. Ci affidiamo soltanto al governatore Zaia, l’unico che in questo momento ha dimostrato vicinanza al territorio. Da parte nostra però la porta del dialogo rimane aperta.

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