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Non solo congiunti: “Ecco come lo Stato calpesta i diritti delle nuove famiglie”

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Credits: Imagechef

Intervista a Nausica Palazzo, esperta di regolamentazione giuridica delle famiglie: "Esistono unioni poliamorose, ma anche di mutuo aiuto senza componente sessuale. Ma in Italia si seguono ancora solo i binari tradizionali"

Non solo congiunti: lo Stato calpesta i diritti delle nuove famiglie. Intervista a Nausica Palazzo

Non solo congiunti: in Italia e nel mondo sono tante le famiglie che si riconoscono in questo termine, tornato in auge con l’ultimo Dpcm sul Coronavirus, ma non appartengono giuridicamente ad alcuna famiglia. Non si tratta solo di relazioni omoaffettive, ma anche di relazioni non coniugali, relazioni poliamorose e altre tipologie. TPI ha intervistato Nausica Palazzo, assegnista di ricerca presso l’Università di Trento e il Centro per le scienze religiose della Fondazione Kessler, specializzata nella regolamentazione giuridica delle nuove famiglie.

Qual è l’approccio del diritto alle nuove famiglie?

Spesso le ignora o le costringe nei binari più tradizionali, come quella classica, nucleare, quindi collegata a dei figli, basata sull’amore di due persone, esclusivo e romantico.

Però esistono altri tipi di famiglie. 

Ci sono molti tipi di famiglie, cominciano ad accorgersi anche in Europa, mentre questo è sempre più evidente in paesi come Canada e USA.

Quali sono le nuove famiglie a cui facciamo riferimento?

Parlo di comunità poliamorose, ma anche di unioni di mutuo aiuto, chiamate “non conjugal” in ambiente anglosassone, ovvero che non presentano una componente sessuale: coppie di parenti, o anche di amici, ma che si riconoscono come famiglia, quindi magari convivono, si supportano vicendevolmente dal punto di vista affettivo e materiale.

C’è qualche caso anche in Italia?

Comunità poliamorose sono molto attive, in particolare a Milano, Torino, Bologna. Rispetto alla tematica non conjugal c’è il famoso caso della scrittrice Susanna Tamaro, che convive da 27 anni con la sua compagna di vita (la scrittrice Roberta De Falco), con cui ha una relazione solidaristica priva di una componente sessuale dichiarata (e quindi “politica”). Ci sono molte persone in questa condizione: chi dice di riconoscersi in una famiglia, ma non riceve benefici fiscali, sociali… pur pagando le tasse.

Ha senso continuare a legare questi benefici a una famiglia tradizionale, che è quella sposata o unita civilmente?

C’è un movimento di pensiero che dice che le unioni civili non mettono in alcun modo in discussione il paradigma di famiglia del matrimonio. Le unioni civili sono unioni di persone dello stesso sesso, ma comunque romantiche, domestiche, diadiche e a vita. Mentre in questi casi parliamo di famiglie basate su principi diversi.

C’è chi ritiene che lo Stato dovrebbe abolire il suo ruolo di regolatore delle unioni, e stare fuori da tutte le questioni affettive, è d’accordo?

Io non sono a favore, perché è una questione di pluralismo, di varietà di strumenti giuridici che esistono. Perché devo ridurre il ventaglio delle opzioni, se posso ampliarlo?

Coppie non-conjugal. C’è qualche caso che può permettere di capire meglio questo tipo di famiglia?

C’è un caso che nel 2005 è stato portato davanti alla Corte europea dei diritti umani. Si trattava di due sorelle che non si erano mai sposate e avevano vissuto insieme per molti anni. Alla morte di una delle due avrebbero dovuto pagare una imposta di successione molto alta, che le persone sposate non sono invece costrette a pagare. Si erano quindi rivolte alla Corte per avere la stessa esenzione d’imposta dei coniugi. La rivendicazione era: mi stai discriminando perché non posso accedere all’unione civile, ma noi di fatto siamo una famiglia. La CEDU ha negato questo diritto, ma il dibattito è andato avanti.

Qual è la situazione in altri Paesi europei?

In Belgio c’è un registro aperto a famiglie “non-conjugal”, dove ti puoi registrare se sei amico, fratello, o parente, beneficiando di molti diritti connessi al matrimonio, per esempio manca la pensione di reversibilità ma c’è quasi tutto il resto.

In Italia quale potrebbe essere la riforma che viene incontro alle esigenze delle persone?

Può esserci un approccio incrementalista, che prevede di compiere un piccolo passo, con un registro aperto a tutte le unioni di due persone, indipendentemente da che siano a carattere affettivo-sessuale, dicendo: “Ci si registra per avere questa serie di benefici, indipendentemente dal tipo di unione”.

Altre proposte?

La proposta più radicale che stanno promuovendo in Nord America e in Belgio è quella di prevedere e assegnare diritti “per moduli”, a seconda delle funzioni familiari. Ad esempio una persona A potrebbe avere un figlio da B, e quindi voler essere riconosciuta come genitore con B. Ma al tempo stesso potrebbe essere supportata economicamente da un’altra persona C, con cui condivide casa, spese, conto in banca ecc..

Qual è l’impostazione che viene chiesta in questi casi?

Il diritto, per avere un appeal per queste associazioni di umani, dovrebbe essere più flessibile, agevolare ogni persona ad esprimere la sua concezione di famiglia attraverso un diritto leggero, anziché imporne una.

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