L’arrivo del Coronavirus nelle carceri sarebbe una tragedia, ma il governo non fa abbastanza per i detenuti
La pandemia sta danneggiando gravemente anche il sistema penitenziario italiano, ma dalla prima rivolta esplosa il 7 marzo a Salerno, gli interventi previsti dal governo non sono stati sufficienti a limitare il rischio di contagio in carcere
Coronavirus nelle carceri, il governo deve fare di più
La pandemia di Coronavirus è una tragedia che sta danneggiando gravemente anche il sistema penitenziario italiano: sono 10 i casi accertati nelle carceri al 17 marzo, e il governo dovrebbe fare di più per limitare il contagio. Il Coronavirus può colpire persone detenute, poliziotti penitenziari, operatori sanitari, educatori e direttori. L’avvicinamento forzato genera paura, solitudine, sovraffollamento e esposizione al contagio. E quando il virus è entrato in carcere non ha risparmiato nessuno: né detenuti, né agenti della polizia penitenziaria, né medici.
Il Presidente della Repubblica Mattarella, in una lettera pubblicata il 23 Marzo sul quotidiano Il Gazzettino, ha risposto ad un appello dei detenuti delle carceri di Venezia, Padova e Vicenza. Mattarella ha dichiarato che si adopererà, per quanto nelle sue possibilità, “per sollecitare il massimo impegno al fine di migliorare la condizione di tutti i detenuti e del personale della Polizia penitenziaria che lavora con impegno e sacrificio”.
Il sistema carcerario italiano è pronto per ospitare poco meno di 51mila detenuti. A fine febbraio 2020, i detenuti presenti nelle carceri italiane erano però più di 61mila. Come in tutto il paese, anche in carcere l’escalation di preoccupazione per il contagio da Coronavirus arriva il week end dell’8 Marzo. In carcere il distanziamento sociale è una pratica quasi impossibile da applicare. A partire da quel giorno 50 istituti del sistema penitenziario italiano saranno coinvolti in proteste.
Alcune di queste sfociano in manifestazioni violente dopo che il Governo, con il decreto legge emanato l’8 marzo (d.l. 8 marzo 2020, n. 11, art. 2 co. 8 e co. 9) impone restrizioni alle visite dei familiari. Il bilancio di questa tragedia sarà molto pensate. Almeno 14 morti e diverse persone detenute in ospedale in condizioni critiche. Le proteste scoppiano sabato 7 marzo nel carcere di Salerno. A partire dall’8 Marzo si estendono a tutto il sistema penitenziario. Nove persone muoiono nel carcere di Modena, tre nel carcere di Rieti.
Settantasei detenuti riescono ad evadere dal carcere di Foggia. Anche nel carcere di Milano e Pavia scoppiano rivolte. I detenuti escono in massa dalle celle e si barricano sui tetti. A Pavia le indagini dovranno stabilire se questo è stato possibile perché due agenti della polizia penitenziaria sono stati effettivamente sequestrati e percossi, o se è bastata far circolare questa voce per permettere alla protesta di avere luogo. Violente proteste sono scoppiate anche nel carcere di Bologna e di Siracusa.
Nelle carceri di Verona ed Alessandria due detenuti vengono trovati senza vita a causa di una orverdose di psicofarmaci che avrebbero sottratto alle infermerie del carcere nel corso delle proteste, mentre l’11 Marzo una dinamica simile avrebbe portato alla morte di due detenuti nel penitenziario di Bologna. Il primo intervento governativo impone di fatto che i colloqui con i detenuti avvengano ‘da remoto’ e l’ipotesi di sospendere permessi-premio e semilibertà fino al 31 maggio 2020. Un tentativo di combattere l’epidemia sigillando il carcere e provando a contenerla dal suo interno che appare però insufficiente.
Tant’è che a distanza di dieci giorni arriva il nuovo intervento, contenuto nel decreto Cura Italia, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 17 marzo 2020, in cui ci sono due disposizioni precise che riguardano il sistema penitenziario (gli articoli 123 e 124). L’intervento nel complesso è volto a limitare il più possibile l’ingresso nel carcere, per diminuire il rischio di portarvi il virus: un mix di misure alternative (detenzione domiciliare e semilibertà) e procedure semplificate per ridurre il numero dei detenuti.
La prima disposizione allarga le maglie della cosiddetta legge “svuota carceri” voluta dal governo Berlusconi nel 2010 (legge n. 199 del 2010). Aumentano i casi nei quali sarà possibile scontare gli ultimi 18 mesi di pena presso il proprio domicilio tramite uno snellimento burocratico. Questo ampliamento viene bilanciato con più strette preclusioni di carattere disciplinare. Sono esclusi dalla misura, perciò, i delinquenti abituali e coloro che sono sottoposti al regime di sorveglianza particolare. Anche i detenuti che hanno preso parte alle sommosse a partire dal 7 marzo sono esplicitamente esclusi da questa misura, insieme ai condannati per maltrattamenti contro familiari e conviventi, per atti persecutori o che non possono accede alla libertà provvisoria per tutelare le persone a cui hanno recato danno in passato.
Se da una parte tra il 2010 e il 31 dicembre 2019 sono usciti dalle carceri più di 26mila detenuti per effetto dello “svuota carceri” alla quale si ispira questa misura, è anche vero che oggi la sua efficacia dipende dalla disponibilità di braccialetti elettronici, che in Italia scarseggiano. Il secondo intervento riguarda le licenze per i detenuti in semilibertà. Con il decreto Cura Italia queste possono essere concesse, senza limiti, fino al 30 giugno 2020. Lo scopo è fare in modo che chi di giorno esce dal carcere non debba tornare la sera aumentando il rischio di contagio.
Una misura che verosimilmente impatterà sulla riduzione dei rischi della salute collettiva, ma non sul contenimento della popolazione carceraria. Al metà febbraio 2020, infatti, i casi di semi libertà erano poco più di mille tutta Italia, quando il sovraffollamento coinvolge 10.000 detenuti. Lo scoppio di una pandemia nelle carceri potrebbe rappresentare una vera tragedia. Una tragedia che andrebbe ed aggiungersi alle altre piccole grandi tragedie che insieme compongono il dramma che la società italiana sta vivendo. Gli interventi più evidenti per contenere gli effetti della pandemia effettuati dal governo si sono concentrati nel settore sanitario e in quello economico. In molti oggi si augurano che il prossimo settore nel quale ricalibrare l’intervento sarà quello penitenziario.
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