Retroscena TPI: Copasir, la sfida tra Salvini e Meloni rischia di finire al Quirinale o alla Consulta
Copasir, a che punto è la notte? La partita ieri ha segnato una prima vittoria da parte della Lega di Matteo Salvini nei confronti del partito di Giorgia Meloni, Fratelli d’Italia (FdI). Ma la sfida tra i due alleati-rivali rischia di non finire qui perché anche se la linea di FdI mira a tenere un profilo “istituzionale” e quindi a non fare troppo rumore mediatico sulla vicenda (pur di non spezzare quel poco che rimane di unità nel centrodestra) certamente tra i vertici del partito non è stata presa bene la decisione dei presidenti di Camera e Senato di “non decidere” o meglio di lasciar fare ai gruppi in merito alla Presidenza del Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica.
Per non parlare poi delle chat, a dir poco infuocate (è un eufemismo). Ma, come dicevamo, la partita è lungi dall’essere conclusa. Ora, spiegano fonti molto bene informate sui fatti, “due ordini di problemi si sovrappongono: la questione istituzionale e quella parlamentare“.
Già, perché la questione istituzionale potrebbe addirittura arrivare a coinvolgere il Presidente della Repubblica in qualità di garante della Costituzione. Insomma, si starebbe pensando a un appello al Quirinale per far valere i diritti dell’opposizione.
Poi c’è la questione parlamentare: dalle parti di Fratelli d’Italia starebbero ragionando anche in merito a un’eventuale “ricorso” di fronte alla Corte Costituzionale per possibili conflitti di attribuzione. “Il singolo parlamentare è legittimato a sollevare conflitto di attribuzione davanti alla Corte costituzionale in caso di violazioni gravi e manifeste delle prerogative che la Costituzione attribuisce loro”, scrisse la Consulta nel 2019 a proposito della Legge di Bilancio.
Insomma, la partita del Copasir, è ancora tutta da giocare. E se l’attuale presidente Volpi fa sapere che domani convocherà il comitato di Presidenza alle 14, Fabio Rampelli, uno dei pesi massimi di Fratelli d’Italia, fa sapere a TPI che “sarebbe disonorevole per la Camera e per il Senato se i loro presidenti si rifiutassero di far valere le leggi degli organi che essi stessi rappresentano”. “Si tratterebbe di un vulnus che metterebbe a rischio lo Stato di diritto”.
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