Conte e la trattativa sul Recovery Fund: i nodi ancora da sciogliere
Conte e Recovery Fund: i nodi da sciogliere
I messaggi rassicuranti del premier Giuseppe Conte sul Recovery Fund fanno da contraltare agli interrogativi e ai rischi di una trattativa con gli altri Paesi Ue che deve essere per buona parte ancora scritta. Sul piatto c’è il piano da 750 miliardi di euro (500 di sussidi e 250 di prestiti) che sarà agganciato al Bilancio Ue 2021-2027 da 1.100 miliardi e un’intesa che sembra tutt’altro che agevole. Se da una parte Francia e Germania premono per una chiusura entro luglio, i Paesi ‘frugali’ del Nord mantengono vivo tutto il loro scetticismo, con un’opposizione rimasta salda anche dopo il primo summit tra Capi di Stato e di governo che si è tenuto ieri in videoconferenza.
Le parole che più di qualsiasi altra manifestano lo stallo del momento sono proprio quelle pronunciate dal Presidente del Consiglio europeo Charles Michel. “Adesso comincia il negoziato”, ha detto al termine del vertice annunciando che a metà luglio ci sarà un nuovo vertice, stavolta fisico. Le sue dichiarazioni sono state il chiaro segnale di un nulla di fatto e nodi ancora tutti da sciogliere.
La partita vede l’Italia al centro del gioco. Il nostro Paese, maggiormente colpito dall’epidemia, è il primo beneficiario del Recovery con 172 miliardi (di cui 81 a fondo perduto). Dalla parte del Bel Paese ci sono innanzitutto Francia e Germania. La cancelliera tedesca Angela Merkel ha affermato che l’Ue sta affrontando “la recessione più grave dalla Seconda guerra mondiale e ha tutto l’interesse a varare il Recovery entro fine estate”. I falchi del Nord frenano. Il premier svedese Stefan Lovfen ieri ha affermato che le posizioni “sono ancora lontane”, la finlandese Sanna Marin si è spinta a definire il testo “inaccettabile”, l’olandese Mark Rutte ha detto di non sapere “se chiuderemo prima della pausa estiva”.
In un simile scenario non è chiaro se il vertice di luglio a Bruxelles basterà o servirà un altro incontro a ridosso di agosto. “Sul Recovery fund e il bilancio c’è un consenso emergente ma allo stesso tempo non dobbiamo sottostimare le differenze di visione sui diversi punti”, ha ammesso Michel. Una differenza di visione, quella che indica il presidente del Consiglio Ue, che non riguarda solo l’ammontare delle risorse ma anche il rapporto tra prestiti e sovvenzioni, la condizionalità e i criteri di distribuzione.
Come Conte, si mostra fiducioso anche Enzo Amendola, che tuttavia non nasconde “che persistono ancora interessi differenti su bilancio e Fondo per la ripresa”. “La nostra prima linea rossa – ha spiegato il ministro in un’intervista al Corriere della Sera – è difendere la proposta di Next Generation Eu. Non la consideriamo un’opzione tra le tante, ma una scelta politica ben precisa e incardinata nei trattati europei” mentre i cosiddetti ‘frugali’ “contestano l’uso di sussidi e si aspettano dalla proposta del Bilancio la presenza dei cosiddetti rebates”. I rebates sono gli “sconti” ai contributi sul bilancio Ue molto cari ai nordici, che Conte e gli altri potrebbero usare per esercitare un potere di veto.
La pressione sui ‘frugali’ si intensificherà nelle prossime settimane. La road map verso l’accordo prevede ora un confronto di Michel con tutti i leader europei, a partire dai prossimi giorni, mentre da luglio Angela Merkel sarà presidente di turno dell’Ue. La mossa di Germania e Francia per chiudere potrebbe essere cedere a qualche modifica in favore dei Paesi del Nord, ad esempio ritocchi alle condizionalità per accedere ai fondi o qualche criterio di distribuzione per cedere qualche risorsa in più ai Paesi più piccoli.
Per quanto riguarda le cifre complessive, Berlino e Parigi chiedono il mantenimento dei 500 miliardi di sussidi, ma potrebbero anche sacrificare parte dei 250 miliardi di prestiti. Italia e Spagna, che hanno più bisogno di aiuti a fondo perduto, potrebbero comunque attingere ai finanziamenti a basso costo dal pacchetto senza condizionalità da 540 miliardi di Mes, Sure e Bei. Ma i nordici contestano proprio le sovvenzioni e per questo non si può escludere un taglio di entrambe le voci. La soluzione potrebbe essere una sforbiciata al Recovery Fund da 50 o 100 miliardi. Per l’Italia significherebbe passare dagli attuali 172 miliardi (di cui 81 a fondo perduto) a quota 150.