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Home » Politica

“Chi mi ama mi voti”, come è cambiata la comunicazione politica. L’intervista agli autori

Immagine di copertina

La comunicazione politica è un campo che si sta rivelando da anni sempre più determinante nelle campagne elettorali, con influenze crescenti dal marketing e dalla comunicazione commerciale. E’ questo il tema del libro Chi mi ama mi voti, scritto da Domenico Petrolo e Lorenzo Incantalupo, non a caso un comunicatore con diverse campagne elettorale alle spalle e un manager esperto nel marketing, pubblicato da Guerini e associati e uscito lo scorso 12 aprile.

Nel testo si parla di alcuni dei passaggi cruciali che hanno segnato la comunicazione politica, dalla discesa in campo di Silvio Berlusconi, al passaggio alla rete con il Movimento Cinque Stelle, passando per Matteo Renzi e con un attento sguardo all’estero. Il tutto, ascoltando la voce di alcuni dei protagonisti della comunicazione politica degli ultimi decenni, da Oliviero Toscani ad Antonio Palmieri passando per Rocco Casalino e Filippo Sensi, ma anche di Giovanni Grasso, portavoce del Quirinale, e di Mykhailo Podolyak, consigliere speciale del presidente ucraino Volodymyr Zelensky che ha affrontato il tema delicato e purtroppo attuale della comunicazione in tempo di guerra.

I due autori hanno risposto ad alcune domande di TPI sul loro libro e su come sta cambiando la comunicazione politica.

Con il passare del tempo, la comunicazione politica è stata sempre più influenzata dal marketing e dalla comunicazione commerciale?

Sicuramente la famosa discesa in campo di Silvio Berlusconi è stata uno spartiacque. Con lui il marketing entra a pieno titolo nella politica e tutti i suoi principi ancora oggi caratterizzano la comunicazione politica: nome nel simbolo, foto sui manifesti, uso dei sondaggi etc…Il suo arrivo ha spinto poi tutti gli altri partiti a raffinare le proprie tecniche di propaganda, anche attingendo a professionalità del mondo aziendale.

In questo i social hanno senz’altro giocato un ruolo: ma è solo un’impressione quella secondo cui i politici hanno comportamenti sempre più simili a quelli degli influencer?     

Non tutti usano i social allo stesso modo. Certo c’è stata una stagione in cui politici che postavano matriciane e pane e nutella. Oggi possiamo dire che nel rapporto con i social qualcosa sta cambiando. Ad esempio, Elly Schlein e Giorgia Meloni hanno un atteggiamento sempre meno compulsivo. Poi certe scorciatoie per cercare “la via facile alla felicità” non si limitano alla comunicazione social dei leader. La recente infornata di “candidati-testimonial” per le europee come Ilaria Salis e il Generale Vannacci conferma come la tentazione c’è anche fuori dalle piattaforme.

Proprio in questi giorni si parla molto del “detta Giorgia”, con cui Giorgia Meloni si candiderà alle europee, rendendo possibile votarla solo con il nome. Una trovata semplicemente “pratica” o c’entra qualcosa la disintermediazione giocata dai social?

Il re-branding che semplifica il prodotto avvicinandolo al consumatore è tattica antica; in questo caso c’è certamente il tentativo di avvicinare l’elettorato alla leader sfruttando la sua cifra caratteriale diretta e popolare.

Non esiste un rischio che il dibattito politico rischi di appiattirsi, se a dettarlo dovessero essere algoritmi e hashtag in tendenza?

Non sarà un hastag o un algoritmo, ma neppure uno slogan pubblicitario ad affossare la politica. Questi sono solo strumenti. Certo la politica deve riaffermare il suo primato, essere una politica che guida e si assume le sue responsabilità con coraggio e determinazione. Sarebbe un vantaggio per tutti i partiti, ma purtroppo siamo rimasti alle monetine del Raphael. Quella pioggia metallica, ancora oggi, annichilisce la classe politica.

Ma il fatto che un elemento molto importante della macchina democratica come la campagna elettorale si svolga su delle piattaforme private, come i social, la cui regolamentazione è da anni un argomento di dibattito, non rischia di essere un problema?

Certo, è necessaria una governance globale delle piattaforme a tutela delle democrazie. Oggi le piattaforme potrebbero decidere di offuscare quel dato movimento, togliendogli di fatto visibilità politica, o di valorizzarne un altro. D’altronde è evidente come in questi anni, per mero profitto, le piattaforme sono state le migliori alleate dei movimenti populisti, no-vax, etc… Se poi pensiamo a Tik Tok c’è anche un tema di sicurezza nazionale.

Nel libro si affrontano momenti cruciali per la politica e per la comunicazione italiana, dalla discesa in campo di Berlusconi, alla svolta digitale dei Cinque Stelle fino a Renzi e Salvini. C’è un passaggio che è stato particolarmente cruciale per arrivare allo stile di comunicazione di oggi?

A nostro avviso i passaggi e le parole cruciali sono due: la discesa in campo di Silvio Berlusconi, il marketing, e l’avvento del Movimento 5 Stelle di Grillo e Casaleggio, la rete. Il primo ha introdotto strumenti, tecniche e un’estetica nuova e più moderna. Grillo e Casaleggio attraverso la rete hanno ribaltato i paradigmi della comunicazione politica facendola diventare bi-direzionale e introducendo un linguaggio anche molto crudo, questo sì, mutuato dalla rete.

In passato si votava per appartenenza, oggi vediamo partiti crescere a dismisura e crollare anche di decine di punti elezione dopo elezione, seguendo spesso il cosiddetto “effetto bandwagon”. C’entra qualcosa il modo in cui è cambiata la comunicazione?

Assolutamente si. È un tema complesso che nel libro abbiamo sviscerato con i migliori sondaggisti italiani. Semplificando potremmo dire che si è creato un circolo vizioso: da una parte un’esigenza importante ed immediata di cambiamento in un paese in cui i salari sono fermi da trent’anni e dall’altra una comunicazione elettorale spregiudicata che promette tutto e subito, facendo apparire persino Cetto La Qualunque e le sue mirabolanti proposte come un moderato.  Naturalmente nessuno può cambiare tutto e subito e l’elettore, deluso, alla tornata elettorale successiva punterà su un altro leader.

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