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Home » Politica

“Lucrezia premier? Finora non le hanno nemmeno telefonato”, parla Luciana Castellina, madre dell’economista Reichlin

Immagine di copertina
Luciana Castellina

Luciana Castellina, storica militante del Pci, parla del suo nuovo libro sugli "Amori comunisti" in uscita il 10 maggio e del possibile ruolo della figlia nel nuovo esecutivo

Nelle ore cruciali per la formazione del “governo neutrale” auspicato dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella, alcuni giornali hanno pubblicato il nome di Lucrezia Reichlin, economista che vive a Londra e insegna alla London Business School, come possibile premier dell’esecutivo individuato dal capo dello Stato (qui una sua breve biografia).

TPI ha intervistato Luciana Castellina, scrittrice, giornalista, storica militante Pci e fondatrice del giornale Il Manifesto, per parlare del suo nuovo libro, Amori comunisti, in uscita il 10 maggio con la casa editrice nottetempo. Il libro ripercorre tre storie d’amore reali, ambientate in paesi diversi: quella tra Nazim Hikmet e Münevver Andaç (Turchia), traArgyrò Polikronaki e Nikos Kokulis (Creta, Grecia) e tra Sylvia e Robert Thompson (Stati Uniti).

Con l’occasione, le abbiamo chiesto anche delucidazioni sulle indiscrezioni politiche che riguardano la figlia.

Sono ore cruciali per la formazione del governo. Come vede l’attuale situazione politica e l’eventuale ritorno al voto?

Mi risulta difficile parlarne. Nell’ultima settimana sono stata a Berlino e non ho letto i giornali, ho guardato solo qualcosa online.

Alcuni articoli di giornale parlano di sua figlia Lucrezia Reichlin come uno dei possibili nomi in lizza per la premiership. Sa dirci se queste indiscrezioni di stampa sono vere?

La prima a essere sbigottita di queste indiscrezioni è lei, perché nessuno le ha fatto neanche una telefonata. Siccome mia figlia vive a Londra e non è legata a un gruppo specifico, ogni tanto il suo nome viene fuori in queste circostanze.

È una cosa che capita in modo ricorrente. Ma poi ad essere incaricato è sempre qualcuno che è appoggiato da un potentato locale.

La riterrebbe eventualmente disponibile a svolgere questo delicato compito in un governo di transizione?

Bisognerebbe capire il contesto, non sarebbe di certo lei a scrivere il programma. Ma sono fatti suoi e non mi azzarderei mai a parlare a nome suo.

Il suo nuovo libro Amori comunisti racconta le vite non pubbliche dei comunisti, e di tre coppie in particolare. Qual è quella che colpisce di più secondo lei l’immaginazione del lettore?

Mi è venuta voglia di scrivere questo libro perché sono storie che conosco da tempo. Ho casualmente incrociato i protagonisti, li ho conosciuti bene. E poi a forza di sentir parlare degli errori dei comunisti mi è venuta voglia di raccontare delle loro storie d’amore, che sono state anche molto drammatiche.

La storia che colpisce di più l’immaginazione è forse quella di Nazim Hikmet, che è molto lunga e drammatica e all’interno della quale ci sono delle scelte difficili da comprendere. E poi la sua è anche la storia della Turchia, per cui sono dei riferimenti molto attuali. La situazione di oggi in Turchia, con galere e persecuzioni, è derivata proprio da ciò che è accaduto in quegli anni.

Poi ci sono altre due storie: una è ambientata a Creta, ed è storia del tutto particolare, che si intreccia a quella italiana perché a un certo punto i guerriglieri finiscono in Puglia e vengono aiutati dai pugliesi. La terza storia è ambientata negli Stati Uniti, e nel nostro paese non è conosciuta nel modo corretto.

Cosa hanno in comune le storie di queste tre coppie?

Hanno in comune proprio il comunismo. Sono segnate da una militanza impegnata, da una scelta etica.

Non c’è nessuna storia italiana, ma anche in Italia conosciamo bene storie simili. C’è gente che ha fatto anni di galera, che ha fatto la resistenza.

Quello che mi fa più andare in bestia è quando sento parlare di “due totalitarismi”. Non credo che ci sia nessuno che abbia combattuto tanto per la libertà, sia pure facendo errori, di quanto abbiano fatto i comunisti.

Questi racconti ci portano oltre le figure dei militanti politici, verso il lato umano. Cosa emerge su di loro che già non conosciamo?

Emerge anche un elemento di eroismo che noi ogni tanto dimentichiamo nella nostra epoca. In Europa a nessun militante politico viene chiesto un sacrificio nella vita come è stato negli anni terribili della guerra, del fascismo.

Le vite terribili sono in altre parti del mondo, dove le storie magari sono anche più drammatiche – pensiamo alla Siria – e colpiscono anche la popolazione civile che non ha una parte attiva nella politica. Queste invece sono storie che vengono dalla nostra parte del mondo.

Il libro viene pubblicato nel cinquantesimo anniversario del maggio francese. 

Prima di tutto dobbiamo precisare cosa si intende per “maggio francese”. Bisogna tenere conto che in Italia, nei sei mesi precedenti rispetto a quello che viene chiamato “maggio francese”, erano già state occupate quasi tutte le università.

In Italia il Sessantotto comincia nel 1967 e dura dieci anni. In Francia è stato una vampata, è durato pochissimo.

La Francia adesso è scossa da proteste che lo scorso primo maggio hanno provocato anche scontri tra anarchici e polizia. Possiamo ritenerla una sconfitta per Macron?

Sì, per fortuna è una sconfitta. Mi pare una cosa straordinaria e anche inaspettata. Non pensavo e non speravo in una mobilitazione così rapida e forte, e che si logorasse così presto la sua popolarità.

Macron ha analogie anche col Renzismo, hanno entrambi la stessa natura: tutto il potere all’esecutivo, senza tener conto di dialettica democratica, del parlamento e dei partiti politici.

Cosa rimane del Sessantotto cinquanta anni dopo?

Nel Sessantotto è stata fatta un’operazione che Gramsci avrebbe chiamato di “rivoluzione passiva”. C’è stata una sconfitta, evidentemente, dopodiché è stato tenuto tutto ciò che dava meno fastidio al sistema, mentre è stato sotterrato tutto ciò che era fastidioso per il sistema.

Con una battuta si potrebbe dire che del Sessantotto si ricorda “spinello, sesso e rock and roll”. C’era anche quello, ma il Sessantotto è stato anche la prima critica alla modernità capitalista. Tant’è vero che gli studenti per prima cosa cercarono il collegamento con gli operai. Questo è stato in qualche modo cancellato.

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