Camera, il ritorno di Enrico Letta: standing ovation del Pd. “Non chiederemo il voto anticipato”
“Sono qui per chiedere alla Camera di confermare le mie dimissioni. Dimettermi dal Parlamento non vuol dire dimettermi dalla politica”: era il 23 luglio 2015 e la Camera, con 287 voti a favore e 82 contrari, approvava le dimissioni di Enrico Letta. Sei anni dopo, con l’emozione di chi rivive un “primo giorno di scuola”, il segretario del Pd varca nuovamente l’aula del Parlamento. Scortato dalla capogruppo Debora Serracchiani, entra di corsa in aula, accolto dagli applausi.
Torna, a sua detta, da “semplice deputato di Siena”. “Sono qui per l’intervento della Lamorgese, oggi se mena”, scherza mimando il gesto delle botte. “Onorato ed emozionato” di ricominciare là dove aveva lasciato.
“Noi non cederemo alla tentazione di chiedere il voto anticipato per un presunto interesse di parte”, scandisce, “so bene che qualcuno pensa che sarebbe più conveniente approfittarne ora, ma per noi viene prima l’interesse del Paese. E l’interesse del Paese è avere Draghi a Palazzo Chigi. La legislatura deve continuare sino al 2023 per completare le riforme e il Pnrr”. Parla chiaro Letta, come chiaro è il lavoro che ha iniziato a svolgere dal suo rientro dall’esilio parigino. L’idea di base è quella di costruire il Nuovo Ulivo mettendo in piedi un sistema di alleanze che vada da Conte a Calenda. Poi, ovviamente, c’è la partita del Quirinale: mentre il centrodestra fa quadrato per discutere sulle ragioni della sconfitta elettorale e ideare una strategia incentrata su Berlusconi nuovo presidente della Repubblica, anche la sinistra è all’opera per non restare esclusa dai giochi.
Della successione a Mattarella si comincerà a parlare da gennaio, una volta approvata la legge di Bilancio. E nessuno si sogni di indicare l’attuale premier per il Colle. Sarà Draghi a decidere cosa fare, e il Pd agirà di conseguenza. Appoggiando qualunque scelta voglia prendere – è la strategia – ma cercando di assicurare la prosecuzione delle Camere. Magari con il varo di un nuovo governo modello Ursula, Fi dentro e la Lega fuori, utile anche a definire il perimetro delle future alleanze.