La metamorfosi del M5S: dal Vaffa-day a “partito della responsabilità”
Le elezioni del 4 marzo hanno segnato una svolta per il movimento, che entra di petto nell’ecosistema partitico che prima criticava e delegittimava
“Ciao a tutti, sono Luigi Di Maio, ho 23 anni e studio Giurisprudenza alla Federico II”. Con queste parole si presentava in un video del 2010 l’allora candidato al Consiglio comunale di Pomigliano, divenuto oggi leader politico del Movimento Cinque Stelle, Luigi Di Maio.
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Indossava un maglioncino scuro sopra una camicia. Erano i tempi del Vaffa-Day e di un movimento che si riuniva intorno a una guida incontrastata, quella di Beppe Grillo, per chiedere la distruzione più che la costruzione. La distruzione dei privilegi, della “casta”, del sistema.
Dopo otto anni, una legislatura da parlamentare e un incarico da vicepresidente della Camera, la mattina del 5 marzo 2018 Di Maio, vestito di tutto punto e scortato, è salito sulla pedana montata dentro il Parco dei Principi Grand Hotel (che ha cinque stelle proprio come il Movimento) e, forte di una vittoria che ha portato i Cinque Stelle a guadagnare circa due milioni di elettori rispetto al 2013, ha tenuto un discorso da leader politico ormai riconosciuto da tutti.
A prescindere dalla possibilità di arrivare o meno al governo del paese, che dipenderà dalle consultazioni e dalle negoziazioni con le altre forze politiche, per il Movimento si tratta sicuramente di una svolta.
Abbandona infatti le sue origini anti-partito e anti-sistema per entrare di petto nell’ecosistema che prima criticava e delegittimava.
Che piaccia oppure no (a giudicare dal risultato elettorale, piace eccome) è finita l’era degli insulti alle istituzioni al presidente Napolitano, del “no alle alleanze” in virtù di una purezza assoluta ed esclusiva, dei toni spregiudicati e dissacranti.
Perché senza rispetto per le istituzioni e senza scendere a compromessi nessuna esperienza di governo è possibile, e in questa legislatura i grillini lo hanno iniziato ad imparare.
Se è possibile infatti continuare sulla scia del “Vaffa” da parlamentari, dietro lo schermo dell’opposizione politica, non è di certo più possibile farlo come forza candidata a ricevere l’incarico dal capo dello Stato per la formazione di un eventuale governo.
Il cambiamento è ben visibile, nella forma e nei contenuti, già dal discorso che ha tenuto Di Maio dopo il voto. Il leader pentastellato ha usato la parola “responsabilità” e ha parlato di “un’occasione per risolvere i problemi del paese”.
Ha espresso fiducia verso il presidente della Repubblica, dicendosi convinto che saprà guidare questo momento “con autorevolezza e sensibilità”, e ha detto anche che il M5S è “aperto al confronto con tutte le forze politiche”.
Questo non vuol dire necessariamente che farà un’alleanza con il centrodestra o con il centrosinistra, che per un motivo o per un altro sembrano poco attratti dalla prospettiva.
Tuttavia è la prova che, a prescindere da come ama definirsi, il Movimento è ormai diventato un partito che punta a divenire il “pilastro della prossima legislatura”.
La “vittima” di questo percorso di crescita, intesa come maturazione ma anche come aumento dei consensi del Movimento, sembra essere una sola: è quella famosa democrazia diretta dell’uno vale uno, del voto online del “popolo della rete”.
Da tempo non si parla più della “volontà del web”, che avrebbe dovuto vagliare secondo i Cinque Stelle di un tempo ogni decisione importante.
Uno non vale uno. Di Maio implicitamente lo ammette quando dice che l’elenco dei ministri che lui propone raccoglie “le migliori energie di questo paese”, persone competenti e preparate nel loro settore.
Chissà, magari il prossimo passo della transizione da Movimento a partito di governo sarà smettere di reprimere il dissenso interno a colpi di espulsioni.