Bertinotti a TPI: “Il Pd deve sciogliersi. La sinistra riparta dalle ceneri. O non sarà”
All’indomani della sconfitta del Pd, mentre su giornali e tv imperversa il dibattito sul futuro dei dem, Fausto Bertinotti decide di rimanere “totalmente indifferente” alla corsa tra candidati alla segretaria come “misura di igiene mentale”. Secondo il leader storico di Rifondazione Comunista, che nel 1998 staccò la spina a uno degli ultimi governi di centrosinistra del secolo (e della storia recente), guidato da Romano Prodi “siccome la sinistra deve ricominciare da capo, come l’araba fenice può nascere solo dalle ceneri di ciò che c’era prima“. Il Pd dovrebbe sciogliersi. “O non sarà”, dice.
La vittoria di Meloni? “Una pagina buia della storia della Repubblica, tra l’altro prevista. E come si sa le previsioni attenuano la percezione del fatto e della novità, che indubbiamente c’è”, dichiara a TPI. “È la prima volta che tramite elezioni e quindi legittimamente la leader della coalizione vincente, che sarà il presidente del Consiglio del Paese, sarà l’esponente di un partito erede del soggetto politico che non ha firmato la Costituzione e che non ne ha fatto parte nella sua relazione. Certo il tempo dell’arco costituzionale è alle nostre spalle ma questo non riduce il peso di questa realtà, si può dire che simbolicamente si allude a un’Italia a-fascista, dove la “A” è privativa.
Nel senso che il fascismo viene proposto al Paese e che il fascismo non costituisce più un problema, non è una piccola cosa.
Penso che facendo un discorso generale si possa parlare di rovesciamento della carta costituzionale. Basti pensare all’articolo 1. Dire che l’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro oggi è quasi blasfemo, in un momento in cui il lavoro si trova in condizione di non riconoscimento sociale e politico come mai prima, di perdita di ogni forma di potere. Questo è ancora più clamoroso se si guarda all’articolo 3 e, per parlare di adesso, all’articolo 11 che dice che l’Italia ripudia la guerra. Ma noi oggi mandiamo le armi. Non sono queste elezioni che hanno cambiato la costituzione materiale del Paese, è un processo in corso da tanto tempo e persino sul terreno delle politiche legislative sono avvenuti dei cambiamenti di non piccolo segno.
È una persona che rispetto, sia per la collaborazione, sia per ciò che ho visto e per ciò che risulta confermato. Per fortuna si possono rispettare gli avversari: non tutti sono meritevoli di rispetto, ma alcuni sì. Cosa che non riduce l’avversità politica, anzi la qualifica: si potrebbe dire che malgrado il rispetto il mio dissenso non potrebbe essere più netto.
Penso che la sinistra abbia certe responsabilità, in primo luogo quella di essersi suicidata, ma non sul terreno dei diritti civili. C’è una tesi assai diffusa che non condivido secondo cui la sinistra sarebbe stata colpevole di aver abbandonato i diritti sociali per concentrarsi su quelli civili. Semplicemente il discorso sulla famiglia è classicamente conservatore, non vedo cosa ci sia di nuovo in questo rifiuto della storicità dei cambiamenti. Pare la stessa cosa che ci fu un tempo tra chi proponeva resistenza al riconoscimento degli omosessuali, poi dei transessuali, adesso del gender, ma insomma è una tipica reazione conservatrice al cambiamento della società e dei costumi.
Li ha abbandonati in nome dell’accettazione della società capitalistica e del primato del mercato. Si è genuflessa al paradigma della competitività delle merci, del mercato e del profitto, e questo l’ha portata alla rovina. La sinistra senza una forte componente egualitaria e dunque di critica a un capitalismo che ha accentuato le disuguaglianze come mai nella storia dell’umanità, non resiste. E infatti oggi non esiste.
Penso che tutte queste linee di ricerca siano fuorvianti, cioè sono per la sinistra cattive consigliere perché le fanno perdere di vista l’essenziale. Invece di ragionare sulla propria identità e rapporto con la società e con il conflitto insiste nella ricerca indiretta della propria presenza attraverso le alleanze. Mi pare francamente sconcertante, invece di dire chi sei cerchi di farlo capire attraverso un’alleanza, come se gli altri fossero portatori di identità, cosa che peraltro non sono.
Non è che conti il parere dei commentatori, conta in questo caso il parere costituente della soggettività politica, che si è sempre autodefinita, giustamente, come una formazione trasversale. La descrizione di sé come trasversale corrisponde precisamente alla natura del M5S. Che poi in una campagna elettorale, miserabile, Giuseppe Conte abbia accentuato le componenti sociali è vero e infatti ha guadagnato parte del consenso di una sinistra dispersa.
Devono guardare dentro di sé per costruire a partire dalla ripresa delle lotte e dei movimenti una nuova soggettività politica. La mia opinione è che la sinistra, se nascerà, nascerà fuori dal recinto delle attuali forze politiche come accaduto in Francia e in Spagna. Jean-Luc Mélenchon e La France Insoumise non sono usciti dalle costole del partito socialista francese scomparso, o da altra formazione, ma sono nati da un processo che prima non c’era: dalle lotte degli studenti, dagli scioperi generali contro le pensioni, poi dai gilet jaune, cioè da un conflitto nel profondo della società. La sinistra o nasce così o non nasce, se non nasce così ripercorre le stesse strade che l’hanno portata all’eutanasia.
Mélenchon ha deciso di incontrare dei protagonisti della battaglia elettorale italiana, ma La France Insoumise è un soggetto che guadagna 140 seggi elettorali alle ultime elezioni e che porta il leader Mélenchon a un pelo ad andare al ballottaggio alle presidenziali. Francamente è tutto incomparabile.
Torno su una mia idea che dura da anni, siccome la sinistra deve ricominciare da capo, questo è il punto di svolta, come l’araba fenice può nascere solo dalle ceneri di ciò che c’era prima. Penso come ho già detto che non può nascere una sinistra appoggiandosi all’esistente ma a un processo nuovo. L’auto-scioglimento sarebbe una prova di buona volontà nei confronti di quella tanta parte della popolazione che non si sente più rappresentata.
Non con i vecchi discorsi tra le formazioni politiche esistenti. Dopo una sconfitta così l’atto di rimettersi alla ricrescita di una partecipazione popolare secondo me sarebbe un grande incoraggiamento. Ma questo tocca a chi fa politica direttamene capirlo, quello che si può dire dall’esterno è che non mi pare ci sia dubbio sulla strada da intraprendere. È così da parecchio tempo, ora è reso più chiaramente evidente dalla vittoria di questa destra e dalla scomparsa della sinistra politica che il problema è la rinascita, è ricominciare da capo. Non una correzione di rotte, non c’è niente da correggere.
Penso si possa rimanere totalmente indifferenti alla corsa tra candidati alla segretaria come misura di igiene mentale.
Come ci insegnano gli studiosi di storia ogni datazione per definire l’apertura di un ciclo è arbitraria. Penso che si possa dire così: la mutazione genetica comincia con la fine del novecento, il punto di svolta, cioè la fine del secolo in cui la sinistra si è chiamata con appellativi precisi e non così generici come il termine sinistra: comunista, socialista, social-democratica, nomi pregnanti. La fine del 900 è la fine di questa storia, è la fine della storia del movimento operaio. C’è un fatto enorme pesantissimo e drammatico di cui le conseguenze politiche si sono viste, a cui si può aggiungere il fallimento della risposta a questo fatto drammatico, di quello che è venuto dopo in Italia, e cioè il centrosinistra.
La risposta alla fine del Novecento è risultata del tutto inadeguata: il centrosinistra di marca prodiana di cui il Pd diventa il perno. Perché si chiama centrosinistra? Perché i confini della sinistra vengono o abbandonati o trascesi. Questa storia che secondo me è sbagliata in partenza porta a questa conclusione. È da queste macerie che bisogna uscire. Hic rhodus, hic salta. Qui c’è il rodano, poi decidi se vuoi saltare, se vuoi stare al di qui o al di là. Se decidi stare al di là il dato è tratto. Finora il dado è rimasto in tasca.
Scelta profetica. Quella rottura era un annuncio: segnava che si stava imboccando la strada sbagliata, quella di quel centrosinistra lì che governa tutti i Paesi d’Europa nell’avvio della globalizzazione, che approda alle politiche liberali, che abbandona il conflitto di classe. Noi rompiamo proprio con l’individuazione precisa che la strada imboccata avrebbe portato alla dissoluzione della sinistra e all’incapacità di vivere un’idea di riforma dell’Europa, in cui invece questa sinistra moderata si è accucciata anche quando questa si è fatta oligarchica. Pensi a Maastricht: una sinistra che ha governato sotto quel tallone di ferro si condanna al suicidio. Tempo ce ne è voluto, ma l’incipit era chiaro.
Le ricordo la formula di Thomas Elliot, quando di fronte alle chiese vuote in Gran Bretagna si chiese: ma è la Chiesa che ha abbandonato il popolo, o il popolo che ha abbandonato la Chiesa? La risposta al quesito si trova nel fatto che la Chiesa ha abbandonato il popolo, e il popolo si è disunito. Quando poi vota, non vota secondo programma, vota contro coloro da cui è stato abbandonato. Ho l’età per ricordarmi i primi voti che da sinistra sono andati alla Lega di Bossi, un fenomeno che conosciamo da molto. Del resto oltre il confine vedrà che nel luogo di maggiore concentrazione operaia e social comunista in Francia, la zona dei grandi insediamenti siderurgici e minerari dove il partito comunista aveva governato i comuni da tutto il dopo guerra, oggi vince Le Pen.
Non sono in condizioni di suggerire alla Meloni cosa deve fare. Posso dire in generale che per me l’antifascismo è la costituzione. Ognuno può rapportarsi come crede, l’antifascismo entra nella politica attraverso il formarsi delle istituzioni, non lo dico io, ma Calamandrei. I più grandi studiosi della costituzioni hanno usato questa formula, la costituzione è l’antifascismo che si fa costituzione e dunque per ogni dirigente politico questa è una richiesta forte, la si può accogliere o no, ma viene dalla costituzione.
Il punto è che noi dall’orientamento della Costituzione ci siamo distaccati nell’ultimo quarto di secolo in maniera poderosa. Questo è solo l’approdo conclusivo di un tradimento sistematico, a partire dalle grandi questioni del lavoro. Vorrei ricordare cosa sono stati gli anni ’50: la polizia ha sistematicamente sparato sugli operai in lotta fino al 68, le alleanze con il Movimento sociale italiano sono state parte di una controversia sempre viva della democrazia cristiana. Mio figlio si chiama Duccio perché all’inizio degli anni 60 quando la polizia uccise gli operai in lotta per difendere il posto di lavoro a Reggio Emilia un cantautore, Fausto Amodei, scrisse “Per i morti di Reggio Emilia”. In uno dei versi recitava “per chi si è già scordato di Duccio Galimberti”.
Negli anni 60 veniva denunciata la perdita di memoria della resistenza, non pensiamo che siamo per la prima volta di fronte a questo problema. Per questo ho usato il termine “afascista”, perché questo elemento torna ciclicamente. Può essere sconfitto come lo è stato nella grande stagione degli anni 70 dove è nata l’idea della resistenza, le canzoni, le manifestazioni, l’eredità, ma questi non sono un elemento permanente in tutto il dopoguerra.
Può sempre accadere. È imprevisto perché può accadere. La rivolta è la forma di politica più nelle corde della società contemporanea, dalla Francia all’Iran, dall’Algeria al sud America, la rivolta è nel nostro tempo. Quindi può accadere sempre e ovunque. La rivolta è una reazione non solo all’oppressione esistente ma anche a una politica che non è in grado di aiutarci a liberarsi dall’oppressione.
In ogni caso si possono vedere i fili d’erba che crescono nel deserto. Non è vero che non c’è confitto sociale, si veda il settore della logistica, le ultime battaglie dei rider, le lotte in difesa dell’occupazione di tante fabbriche italiane. Il conflitto sciale c’è ma la politica non lo sa.
Il pericolo è reale anche perché c’è un deficit di politica di pace, come dice in maniera ineccepibile in pontefice, che pare essere l’unica voce che da corpo a un’idea di pace e che sa come perseguirla. Il pericolo c’è non solo per l’aggressione della Russia all’Ucraina e per la reazione dell’occidente che ha aggravato il rischio di una dilatazione del conflitto, ma anche perché l’assenza di una potenza di pace rende questo rischio immanente.