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Il M5S cambia idea anche sui Benetton: per Alitalia vanno bene (ma Genova non dimentica)

Immagine di copertina
Luigi Di Maio, capo politico del M5S. Credit: Afp/Francesco Militello Mirto/NurPhoto

Il commento di Lorenzo Tosa. La buona notizia è che la nostra compagnia di bandiera è in buone mani. Quella tragica è che l’Italia è nelle mani di un manipolo di avventurieri che sbaglia, persevera, infine ci ripensa. E, invece di alzare le mani e chiedere scusa, si prende pure i meriti

È il 14 agosto del 2018, il ponte Morandi è crollato da qualche ora appena, i vigili del fuoco stanno ancora scavando a mani nude tra le macerie alla disperata caccia degli ultimi superstiti. E il vicepremier Luigi Di Maio già chiede la testa dei Benetton: “I responsabili di questa tragedia hanno un nome e cognome, e sono Autostrade per l’Italia”.

Passano i giorni. A Genova si smette di scavare e si cominciano a contare le vittime, gli sfollati, i danni. Una città intera mette da parte il proverbiale mugugno e si stringe intorno alle famiglie. I funerali di Stato sono uno dei momenti più strazianti e commoventi che questa città abbia mai vissuto. Eppure anche quel giorno Di Maio non riesce a fare la cosa più semplice: tacere. “Non posso biasimare le famiglie che hanno scelto di celebrare i funerali nel proprio Comune di appartenenza anche in dissenso con uno Stato che invece di proteggere i loro figli, ha preferito per anni favorire i poteri forti”, dice.

I poteri forti – manco a dirlo – sono i Benetton. Quel nome, dal potere evocativo enorme, diventerà una vera e propria ossessione per i 5 Stelle, che, nei successivi 30 giorni, lo ripeteranno come un mantra ad ogni occasione pubblica. Un bersaglio facile, comodo, riconoscibile, da dare in pasto ad una base in eterna caccia di risposte (e responsabili) semplici a problemi (e a disastri) complessi. Senza dimenticare il Pd ovviamente.

“Benetton a noi non pagava le campagne elettorali”, attacca il leader pentastellato ogni volta che ha un microfono davanti, senza capire che Genova, in quel momento, non cercava vendette o regolamenti di conti, ma solo verità, dignità e giustizia. E poi arriva l’autunno, le prime piogge, i primi freddi. In città ormai si parla solo di ricostruzione e rinascita.

La vita deve andare avanti dopotutto, nonostante le 43 vittime, gli sfollati, il dolore che ti resta attaccato sulla pelle e non se va via. E il governo a 5 Stelle, invece di imporre al gestore risarcimenti, impegni e tempi certi, giurava ai genovesi che “Benetton non sposterà una pietra del nuovo ponte”.

È il 19 dicembre 2018, sei giorni prima di Natale. Il progetto del nuovo ponte è stato appena affidato a Renzo Piano. L’Italia festeggia, qualcuno storce il naso perché preferiva il ponte strallato, quello di Calatrava. Gli sfollati di via Porro cominciano ad entrare nelle nuove abitazioni, i risarcimenti arrivano, la macchina dell’emergenza funziona, quella della ricostruzione è entrata ormai a pieno regime. Restano profondi disagi per gli interferiti del crollo, i commercianti e i residenti della zona arancione, ma nel complesso la città si sta rialzando.

Ognuno di noi in quei giorni sente per la prima volta che l’incubo – quello vero – comincia lentamente ad essere alle spalle. Eppure c’è chi, ogni giorno, come un disco rotto, parla solo dei Benetton. “Disumani. Prenditori. Padroni del casello.” E ancora, tuona Di Maio: “Chi non vuole revocare la concessione delle autostrade dovrà passare sul mio cadavere”.

Il ponte, nel frattempo, viene demolito pezzo per pezzo, pilone per pilone. Lentamente, lo skyline del ponente genovese cambia sotto i nostri occhi. Fino al 28 giugno di quest’anno, quando il viadotto viene giù di nuovo, questa volta tutto insieme, e per sempre. Una demolizione controllata.

Genova, per 24 ore, si ferma, c’è chi applaude, chi piange, chi filma, chi tira un sospiro di sollievo. E l’unica cosa che Di Maio e i suoi, per tutta la giornata e quella precedente, è: “Atlantia è un’azienda decotta e le autostrade devono tornare gratuite”. La società dei Benetton, che è quotata in Borsa, crolla. Inevitabile. E il vicepremier ha perso un’altra buona occasione per parlare di quello che realmente interessa ai genovesi. Che non a caso hanno abbandonato il Movimento da un pezzo, e alle ultime elezioni europee non mancano di farglielo notare con una batosta senza precedenti sotto la Lanterna.

E siamo ormai a ieri, a lunedì 15 luglio 2019: la data in cui Luigi Di Maio annuncia su Facebook che Atlantia entrerà ufficialmente in Alitalia. All’improvviso i Benetton non puzzano più, non sono più il demonio in terra, i colpevoli di tutto, i responsabili della madre di tutte le tragedie, la lobby senza scrupoli che ha sulla coscienza 43 morti.

“Il ponte è una storia diversa”, rassicura lui, e nessuno dei soldati e vassalli grillini che negli ultimi 12 mesi hanno rilanciato e condiviso ogni dichiarazione del capo osa contraddirlo. In fondo, se ci pensate, questa vicenda è lo specchio riflesso di quello che sono diventati – o forse sono sempre stati – i 5 Stelle: nascono giustizialisti, si riscoprono leghisti, moriranno democristiani.

Nell’ultimo anno il M5S ha cambiato idea su tutto. Hanno tenuto sotto scacco un’intera città per mesi in nome di una battaglia di principio che nessuno ha mai capito sino in fondo. E, con la stessa imbarazzante, dilettantesca, nonchalance oggi si presentano davanti agli italiani per dirgli che no, avevamo solo scherzato. Che i Benetton non sono più affaristi disumani e senza scrupoli, e Atlantia non è più decotta.

Forse non potranno più spostare una pietra in terra, in compenso possono far volare gli aerei. La buona notizia è che la nostra compagnia di bandiera è in buone mani. Quella tragica è che l’Italia – e tutti noi insieme a lei – è nelle mani di un manipolo di avventurieri che sbaglia, persevera, infine ci ripensa. E, invece di alzare le mani e chiedere scusa agli italiani, si prende pure i meriti. Ma Genova non dimentica.

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