Autostrade: chi ha vinto e chi ha perso. Tra Conte e i Benetton, passa la linea Gualtieri
Il Consiglio dei Ministri di stanotte sembra aver definitivamente messo la parola fine a un balletto, quello su Autostrade, che durava ormai da quasi due anni. Un tira e molla in cui c’è chi ha peccato di oltranzismo, chi di coraggio, chi di mancanza di coerenza. Alla fine, come nella maggior parte delle dispute in cui nessuna parte politica può permettersi di perdere, si è raggiunto un compromesso. Al rialzo o al ribasso, questo andrà valutato nei prossimi mesi, sulla base delle tempistiche e dell’efficienza del piano messo in campo. Che prevede, nell’impossibilità di estromettere del tutto i Benetton tramite la revoca della concessione, almeno di depauperarli, fino a renderli pressoché irrilevanti nella gestione di Autostrade.
La società, salvo nuovi ripensamenti politici, verrà scorporata da Atlantia. I Benetton scenderanno a circa il 10 per cento, mentre la quotazione in Borsa permetterebbe l’ingresso di nuovi soci per circa il 50 per cento del capitale. Lo Stato tornerebbe primattore tramite Cassa depositi e prestiti. La famiglia trevigiana, con quella quota, non siederebbero nemmeno in Cda. Dal loro punto di vista, si tratta di un compromesso difficile da digerire, ma forse l’unico possibile. Con Conte che aveva fatto la “faccia cattiva” e la minaccia della revoca che sembrava potersi realmente concretizzare, gli azionisti di maggioranza di Atlantia avevano accettato di poter scendere a circa il 30 per cento delle quote societarie di Aspi. Sono stati loro stessi, prima del CdM, a inviare al Governo quattro missive in cui si mostravano disposti a ridurre in maniera sostanziosa la loro fetta della torta.
Che il Governo potesse accettare in toto quelle condizioni era però impensabile, e così il premier ha potuto “fustigarli” senza però ricorrere a una soluzione, quella della revoca, nei fatti pressoché impraticabile per lo Stato. La mancata revoca evita ad Atlantia conseguenze nefaste dal punto di vista economico (il titolo oggi ha fatto registrare un deciso rialzo in Borsa), ma resta comunque un conto molto salato da pagare.
Quanto a Conte, il suo atteggiamento è risultato perlomeno ondivago, specie nelle ultime 48 ore. Il premier è passato dall’intransigenza più totale, manifestata in un’intervista al Fatto Quotidiano in cui definiva la revoca come unica soluzione possibile (accusando i Benetton di averlo preso in giro) a una posizione decisamente più morbida e aperta a una mediazione. Il tutto dopo aver incassato, sulla revoca, l’endorsement del segretario Pd Zingaretti, circostanza che ha creato malumori anche all’interno dei dem. Ma, a conti fatti, il presidente del Consigllio ha scelto la linea del pragmatismo, allontanando le seduzioni dei grillini oltranzisti. Se per lui questa sia una vittoria, dipenderà anche dalle tempistiche dell’intera operazione. In ogni caso, quanto avvenuto potrebbe essere un’anticipazione di ciò che accadrà col Mes. Anche in quel caso è probabile che il premier scivolerà lentamente verso un pragmatismo più in linea con le posizioni del Pd che con quelle dei 5 Stelle, e che non rinuncerà ai 36 miliardi in arrivo dall’Europa.
Chi ha vinto è sicuramente il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri, capace di infilarsi tra i tentennamenti ideologici di Conte e di spingerlo verso una posizione più affine a quella di gran parte dell’universo dem. È lui il principale regista dell’operazione, alla fine digerita più o meno da tutti. Lo scatto di questa notte evita anche al Governo di recitare la parte dell’asino di Buridano, che incapace di scegliere tra due cumuli di fieno resta fermo fino a perire. Dopo che, nella giornata di ieri, il ministro della Salute Speranza aveva spiegato come sulle tempistiche dello stato di emergenza nulla fosse realmente deciso, un ennesimo rinvio anche su Autostrade sarebbe diventato il sigillo sulla debolezza politica dell’esecutivo.
E i Cinque Stelle? Come più volte accaduto negli ultimi anni, hanno dovuto fare i conti col principio di realtà. Era successo con la Tav, il Tap e numerosi altri dossier che richiedevano compromessi apparentemente indigeribili, almeno per l’ala più oltranzista. Per i grillini, intendiamoci, non è una sconfitta: la promessa del “via i Benetton” da Autostrade non è stata mantenuta nella forma, ma lo è stata nella sostanza, coi patron di Atlantia condannati a un’uscita de facto. Ovvio però che, dopo aver intonato la cantilena della revoca per quasi due anni, ora che quella soluzione non si è concretizzata i Cinque Stelle siano bersaglio facile dello scherno di Salvini. Nella vita c’è di peggio. L’importante sarà far passare all’elettorato l’accordo raggiunto non come l’ennesimo cedimento alla realpolitik ma come un risarcimento (non solo simbolico) a chi ancora oggi sconta il dramma del crollo del ponte Morandi.