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Home » Politica

Appalti pubblici: come cambiano le norme col Decreto semplificazioni del Governo

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Credit: Pixabay

Il nuovo decreto legge n. 77 del 31 maggio 2021, già pubblicato in Gazzetta Ufficiale, contiene importanti misure innovative in tema di governance per l’attuazione del Piano nazionale di rilancio e resilienza (PNRR), nonché disposizioni per il rafforzamento delle strutture amministrative e di accelerazione e snellimento delle procedure. Le risorse finanziarie stanziate con il Recovery Plan, per un ammontare di investimenti previsti di circa 221,5 miliardi, hanno orientato l’azione del governo in carica verso l’adeguamento del proprio impianto normativo al fine di un pronto utilizzo dei fondi europei.

Le riforme hanno l’obiettivo di consentire una piena ripartenza del Paese dopo lo stop causato dalla pandemia da Covid-19. Per gli appalti pubblici, si tratta dell’ennesimo intervento di modifica al quinto anno di vita del Codice, di cui al d.lgs. 50/2016, dopo innumerevoli rivisitazioni del testo che, nel lungo periodo, hanno non soltanto creato incertezza giuridica e difficoltà di prassi del tutto evidenti nel mondo della pubblica amministrazione, ma anche un importante defaticamento del sistema di evidenza pubblica tramite un aumento degli affidamenti diretti senza gara.

La soglia per questa tipologia di affidamenti, ad oggi, risulta innalzata per servizi e forniture, compresi i servizi di ingegneria ed architettura, da 75mila euro a 139mila euro, nel rispetto dei principi cardine degli appalti pubblici, come ad esempio la rotazione, la parità di trattamento e non discriminazione tra gli operatori economici: la soglia per i lavori viene invece ad essere confermata per l’importo di 150mila euro. La procedura negoziata senza pubblicazione del bando, viene invece prevista per i lavori fra i 150mila euro e il milione di euro, e per i servizi di architettura sopra alla soglia dei 139mila euro, con almeno cinque operatori economici da invitare; sopra il milione di euro il numero di operatori da invitare è di almeno dieci.

Da un’attenta analisi operata sul testo pubblicato in Gazzetta Ufficiale, da un lato, si pone in luce una propensione dell’azione governativa verso la scelta di incentivare gli affidamenti senza gara, di modo da apportare maggiore liquidità di denaro nel sistema economico e di aumentare gli investimenti senza obbligare le Amministrazioni aggiudicatrici a dover sottostare a prassi oberate dalla burocrazia e da adempimenti di legge, con un evidente sacrificio in termini di concorrenza; dall’altro, si evince l’inserimento di misure premiali e di clausole ad hoc nei bandi di gara al fine di favorire la partecipazione di quelle imprese che si vincolerebbero, anche con un’offerta contenente una quota del 30%, ad apportare investimenti in tema di capitale umano tramite assunzioni di giovani, favorendo così l’occupazione under 36, sia femminile che maschile, in ossequio al principio della parità di genere.

Il tanto decantato dibattito che ha preceduto la pubblicazione del nuovo decreto legge di attuazione del PNRR, aveva coinvolto infatti i Sindacati i quali muovevano ampie critiche nei confronti del Governo per la previsione del criterio di aggiudicazione del minor prezzo anche in sede di appalti di lavori, in luogo del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, ove le imprese offerenti avrebbero potuto conseguire maggiore risparmio ed apportare ingenti tagli in termini di sicurezza e costi della manodopera, in violazione della normativa vigente ed in nome del massimo profitto.

Scongiurato tale pericolo, l’azione governativa si è orientata invece verso la lotta alla disoccupazione giovanile, introducendo per le imprese misure premiali volte ad incentivare nuove assunzioni. Si segnala inoltre l’introduzione di nuovi obblighi in termini di rendicontazione per le imprese con più di 15 dipendenti, al fine di aumentare i controlli di stabilità occupazionale, che dovranno presentare entro sei mesi dalla conclusione del contratto una relazione sulle risorse umane impiegate nell’affidamento, da trasmettere anche presso le relative rappresentanze sindacali aziendali.

Il bilanciamento in termini di efficienza ed efficacia dell’azione amministrativa tra la massima concorrenzialità, assicurata dalle procedure di gara aperte, e la maggior semplificazione negli appalti pubblici con la previsione di iter procedurali più snelli, tra cui l’affidamento diretto senza gara e la procedura negoziata senza bando, è del tutto evidente anche agli occhi dei meno esperti del settore: le deroghe al Codice, introdotte dalla legge n. 120/2020 di conversione del “vecchio” decreto semplificazioni, rimangono in vigore fino al 30 giugno 2023.

In tema di subappalto, istituto che ha subìto per opera delle violazioni accertate dall’Unione Europea ingenti mutamenti, fino al 31 ottobre 2021 la quota dell’importo complessivo del contratto di lavori, servizi e fornitura, sarà ancorata al 50%. Dopo la procedura di infrazione notificata nel gennaio 2019 all’Italia, e la sentenza della Corte di Giustizia del 26 settembre 2019, causa C-63/18, nella quale la sussistenza di un limite (del 30%) per il subappalto veniva dichiarata come ostativa ai principi euro-unitari di libera concorrenza (violazione della massima partecipazione delle PMI – piccole e medie imprese), proporzionalità, parità di trattamento e non discriminazione, e quindi incompatibile con la normativa europea, per il principio di supremazia del diritto europeo, il braccio di ferro tra Governo ed Europa torna ancora in auge, con un cedimento dell’Italia dal prossimo 1° novembre 2021, data per la quale dovrà essere eliminato qualsiasi limite, fermo restando che le stazioni appaltanti “indicheranno nei documenti di gara le prestazioni o lavorazioni che devono essere eseguite obbligatoriamente a cura dell’aggiudicatario in ragione della loro specificità. Inoltre, le stesse dovranno indicare le opere per le quali è necessario rafforzare il controllo delle attività di cantiere e dei luoghi di lavoro e garantire una più intensa tutela delle condizioni di lavoro e della salute e sicurezza dei lavoratori e prevenire il rischio di infiltrazioni criminali, a meno che i subappaltatori siano iscritti nelle white list o nell’anagrafe antimafia”.

Inoltre viene inserito nel Codice all’art. 105, comma 8, un periodo nel quale si introduce una responsabilità solidale in caso di subappalto, tra contraente principale e subappaltatore, nei confronti della stazione appaltante, al fine di scongiurare penali e contenziosi in caso di inadempimenti addebitabili all’impresa in subappalto. A garanzia degli standard qualitativi delle prestazioni del subappaltatore viene introdotta un’ulteriore previsione, per la quale si obbliga anche l’impresa subappaltatrice a rispettare il medesimo inquadramento normativo ed economico, anche in termini di CCNL, applicato dal contraente principale al lavoratore impiegato nella commessa pubblica.

In conclusione, si può affermare che in sede di semplificazioni procedurali, che non solo sacrificano la concorrenza ma apportano maggiori sospetti degli organi inquirenti in sede di lotta alla corruzione ed alla criminalità organizzata, l’ottica del Governo in questo nuovo decreto-legge è tesa ad un investimento anche in termini di capitale umano.

Tema per il quale il legislatore è stato latente in questi ultimi anni: fatta eccezione per il Decreto Dignità, le politiche del lavoro a garanzia dei diritti sociali e dei lavoratori, è stata piegata in nome dell’imprenditoria e del massimo profitto. I giovani costituiscono il futuro: combattere la disoccupazione giovanile ed introdurre nuovi posti di lavoro rende più difficoltoso il terreno della criminalità organizzata, ed incrementa il progressivo depotenziamento dei fenomeni di infiltrazione mafiosa all’interno degli appalti pubblici.

La pandemia da Covid-19 ha incrementato la crisi delle imprese, e di conseguenza causato una drastica diminuzione dei posti di lavoro. Il PNRR si pone tra i suoi obiettivi, proprio la riduzione dell’impatto sociale ed economico della crisi pandemica e di portare il tasso di occupazione al 73,2%, in linea con la media UE, contro l’attuale 63%.

Leggi anche: “La politica dia regole certe sugli appalti, o in Italia non sbloccheremo mai le opere pubbliche”

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