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Home » Politica

“Non si può rimettere il dentifricio nel tubetto”: Andrea Orlando a TPI dopo la rottura M5S-Pd

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Il ministro del Lavoro Andrea Orlando. Credit: Ansa

“In maggioranza c’era chi voleva annientare i 5S. Ma il loro fallo di reazione ha reso impraticabile un’alleanza. Calenda? Per ora ha posto veti, vedremo se cadranno. La lite con Cingolani? Ecco com’è andata”. A TPI parla il ministro del Lavoro Andrea Orlando

Ministro Orlando, iniziamo da qui: i 5S sono definitivamente fuori?
«Mi pare che non ci siano le condizioni di un’alleanza, perché questo passaggio così repentino ha rotto un’agenda che stavamo costruendo insieme. Oggi non solo la volontà politica lo impedisce, sono i fatti che producono delle conseguenze a catena che rendono impraticabile l’alleanza».

Ma cosa intende Letta allora quando parla di forze politiche «fuori dal trio delle irresponsabilità»?
«Esattamente questo. Anche se con Forza Italia e con la Lega non avremmo mai potuto considerare l’ipotesi di una alleanza».

Lei, ministro, ha detto: «Il modo in cui i temi posti dai 5S sono stati affrontati nella maggioranza non ha aiutato la permanenza dei 5S nella maggioranza»…
«Sì. Mi spiego: in Direzione ho detto che responsabilità significa dare la fiducia a Draghi quando sta per cadere il governo, ma anche lavorare per farsi carico dei problemi delle altre forze politiche per cercare di mantenere la coesione. Gli unici ad averlo fatto siamo stati noi. Non lo fai quando dici che vuoi annientare un’altra forza politica della maggioranza, né quando fai diventare il bersaglio polemico principale le misure bandiera delle forze politiche con cui stai al governo».

Ma…?
«Ho aggiunto anche però che il fallo di reazione che è venuto dai Cinque Stelle non è giustificato perché è il modo di passare dalla parte del torto: alla fine quel tipo di reazione ha agevolato la destra».

Cosa bisogna trarre da tutto questo?
«È una grande difficoltà perché non si può rimettere il dentifricio nel tubetto».

Eppure Calenda stesso si pone in contrasto ai criteri disegnati da Letta. Primo fra questi il fatto che non vuole il segretario dem come possibile front runner. Quindi?
«Letta ha detto tre cose: valore aggiunto, spirito costruttivo e non mettere veti come condizione per fare queste alleanze. Discuteremo. Per ora è solo pretattica, da ora in poi vediamo quali saranno effettivamente le posizioni politiche. È chiaro che il tema della responsabilità non è una patente che si ottiene soltanto perché hai dato la fiducia a Draghi, tra l’altro nel caso di Calenda con uno/due parlamentari. La responsabilità deve valere sempre, altrimenti fai una campagna elettorale a perdere».

Quindi Calenda in o out?
«Al momento ha posto una serie di veti. Può darsi che cadano. Il Pd ha dato un messaggio chiaro su questo. Il segretario è il punto di riferimento per la prospettiva da seguire».

Se Calenda è in forse, cosa mi dice di Renzi?
«Noi tutti abbiamo dato mandato al segretario di fare delle valutazioni, sulla base dei criteri discussi».

E questa deroga di cui parla rimarrà valida anche per i 5S nell’immediato?
«Vede, la gravità di quello che si è venuto a produrre, al di là della volontà e al di là anche delle intenzioni, costituisce un ostacolo, perché noi non siamo solo in una fase in cui si fa un favore alla peggiore destra che abbiamo mai conosciuto, ma lo si fa nel pieno di una guerra e con una pandemia. Mandare a settembre la gente a votare è un epic fail, è una drammatica sottovalutazione delle difficoltà politiche del Paese, che di per sé rappresenta un messaggio politico».

Dunque l’alleanza con i 5S è da considerarsi chiusa per sempre. O lei sarebbe pronto a riconsiderarla in futuro?
«Purtroppo si sono create delle condizioni che non consentono più, diciamo così, una convergenza politica».

Letta dice: la destra ha affossato la transizione ecologica, ma al governo con Cingolani c’era il Pd.
«Abbiamo avuto un dibattito sostenuto, infatti, che poi ha portato anche a correggere alcune posizioni. Mentre sul fronte sociale siamo riusciti a imporre il nostro punto di vista in modo netto, sul fronte legato alla transizione è arrivato un messaggio contraddittorio».

Ma è vero che Cingolani le ha detto in Cdm che stava tramando contro?
«C’è stata una discussione perché noi gli abbiamo ricordato di avere sostenuto delle posizioni a Bruxelles che non avevamo concordato negli organismi di governo. Io avevo detto di tener conto delle difficoltà del M5S e lui aveva risposto che avevamo fatto sponda a Conte. Al che gli ho risposto che chi aveva fatto sponda a Conte, semmai, era chi aveva dato argomenti per criticare il governo sulle questioni della transizione. Il Pd ha peraltro sempre aiutato a ricomporre eventuali fratture nella maggioranza su questi temi».

Comunque nel voto di settembre la corsa si mette male per la sinistra. Avete già un piano per battere la destra sui contenuti?
«Secondo me le questioni sono tre. Il tema del lavoro e della lotta alle disuguaglianze sono la prima. Questo vuol dire salario minimo e smetterla con la demonizzazione del Reddito di cittadinanza, tra le altre cose. Secondo: la questione delle libertà. Senza scomodare il fascismo, dobbiamo prepararci a una campagna elettorale che sarà fatta di bigottismo reazionario, di utilizzo propagandistico della religione e richiami a forze politiche che in altri Paesi stanno introducendo forme oscurantiste. Vorrei ricordare che la Meloni è andata in Spagna in Andalusia, a fare campagna elettorale per una forza politica che non rinnega l’eredità di Franco e ha tra i principali bersagli la politica fatta dai governi progressisti sulla parità di genere. La terza questione è quella della transizione ecologica».

Lei parla di Rdc. Ma quella è stata una misura dei 5S, non del Pd. Non le pare dovesse essere una politica dei dem?
«Il mio rammarico è che il Pd aveva avuto l’idea che era quella del Reddito d’inclusione, ma ci ha investito troppo poco. Il Pd aveva messo in campo uno strumento che dal punto di vista della funzionalità era anche migliore, ma lo ha fatto con il freno a mano tirato…».

Orlando, lei oggi ritiene che il Pd sia un partito dell’establishment o vicino agli ultimi?
«I sondaggi ci dicono che gli italiani continuano a vedere nel Pd il principale strumento per provare a fermare la destra. Però rivendicare giustamente la responsabilità non è la condizione sufficiente per conquistare un elettorato che in questa fase vive un malessere».

Come si spiega che quella parte di elettorato non vi vota più?
«Penso che dobbiamo rafforzare la nostra collocazione sul fronte della questione sociale, perché dire che è assistenzialismo quando dai soldi ai poveri e non dire che è assistenzialismo quando si danno i bonus per l’edilizia o alle imprese, spesso anche senza selettività, è un modo di segnare un campo. Vanno riconsiderate anche molte politiche che anche noi abbiamo contribuito a fare sul fronte della flessibilità del lavoro. Insomma, non sto dicendo che non ci siano elementi che abbiano contribuito a creare questa rottura, però vedo anche le condizioni per provare a ricucirla».

È sbagliato definire Conte più progressista del Pd?
«Conte non ha più titoli di noi, perché tutte le cose realizzate in questa fase sono frutto delle battaglie del Pd anche in asse con i 5S. Le cose fatte durante il Conte bis erano state fatte da un ministro dell’Economia che era del Pd. E adesso eravamo a un passo dall’introdurre una prima forma di salario minimo. Aver fatto cadere il governo ha impedito di portare a casa dei risultati».

Tra Conte bis e governo Draghi, quindi, chi ritiene che abbia prodotto i risultati migliori?
«Il Conte bis ha dato un’impostazione, quella di non lasciare indietro nessuno, che poi Draghi ha confermato. Anche perché da parte nostra c’è stata una battaglia in questo senso».

Negli ultimi due anni, Conte è stato spesso indicato dai dirigenti dem come il possibile leader del centrosinistra. Oggi chi è per voi?
«Non so quale sia il punto di arrivo di Conte, ma non lo considero un avversario strategico. Lo considero, purtroppo, un mancato alleato. La mia campagna elettorale non sarà contro Conte. Penso che abbia sprecato un’occasione perché godeva di una popolarità molto ampia, anche di un elettorato che non era quello del M5S».

I 9 punti presentati da Conte a Draghi li considerava giusti?
«Ce n’era qualcuno discutibile, quelli che riguardavano l’agenda sociale erano punti assolutamente condivisibili e messi già in campo dal Pd. Il problema fondamentale è che se chiedi al governo di fare delle cose e chiedendogliele lo fai cadere c’è un problema logico, prima ancora che politico».

Nell’ultimo periodo, però, sembrava che Draghi si fosse stufato…
«Io non so cosa pensasse Draghi, comunque se le forze politiche avessero votato la fiducia sarebbe rimasto. Quello che ho visto è che i 5S, purtroppo, hanno schiacciato il bottone e la destra ne ha approfittato».

Qual è stato il suo rapporto con Draghi in questo anno e mezzo?
«Col Presidente ho costruito un ottimo rapporto, dopo alcune difficoltà iniziali ho collaborato bene con lui. Ha una cultura politica in parte diversa dalla mia, ma penso fosse l’unica persona nelle condizioni di gestire una fase come questa per storia e prestigio internazionale».

Ha sentito che Boccia ha detto che Zingaretti dovrebbe essere schierato in campo. Cosa ne pensa?
«Credo che Zingaretti possa dare un importante contributo alla battaglia delle politiche, quindi penso che sia un’idea giusta»

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