Tutti i trucchi sui sondaggi: i segreti dei pronostici elettorali raccontati dagli analisti che li realizzano
Il peso ingombrante dei politici che li commissionano, i campioni statistici non sempre attendibili, l’impatto sulle manovre dei partiti: così i sondaggi influenzano partiti ed elettori
Decideranno più dei leader dei partiti. Influenzeranno più degli influencer che sono sovrani assoluti dei social. Conteranno più dei virologi durante il lockdown, ma in compenso litigheranno tra di loro molto meno (si conoscono, e poco più di dieci anni fa lavoravano tutti nello stesso istituto). Sono i nuovi oracoli del culto politico contemporaneo, vengono interrogati con trepidazione (e domande interessate) dai politici, guadagnano molto bene vendendo i loro pronostici in forma pubblica (ma soprattutto riservata), sono invitati in tutti i talk, finiscono per essere ascoltati da milioni di elettori incerti, che leggono i loro dati come si fa con gli oroscopi, e che nel buio della politica li usano come stelle polari per orientarsi nelle loro scelte.
C’è un fantasma discreto ma potente che si aggira per le sedi di partito, e che incombe su urne e seggi, in questa campagna elettorale. È il fantasma dei nuovi veri potenti della scena pubblica: i sondaggisti. Se è vero che la pandemia ha celebrato i virologi e la guerra in Ucraina ha fatto la fortuna degli studiosi di geopolitica, le elezioni hanno affidato a loro lo scettro della nuova egemonia culturale. Alcuni sondaggisti ormai sono delle vere e proprie “demoscopi-star”. Basta pensare al successo, anche televisivo, di volti come quelli di Nicola Piepoli e Renato Mannheimer, decani della categoria, o quello sempre sorridente e abbronzato di Fabrizio Masia, al successo felpato di Alessandra Ghisleri (vera pop-star, ormai anche opinionista ed editorialista), o osservare la barba più influente sui pronostici dei collegi elettorali, quella di Lorenzo Pregliasco. Ma ci sono molti sondaggisti importanti che influenzano il grande gioco elettorale senza apparire: ad esempio il triestino Roberto Weber, famoso per la sua discrezione e la serietà antimondana.
Poi ci sono sondaggisti “spretati” come Luigi Crespi che parlando di se stesso scherza sulla sua fase lavorativa: «Oggi faccio soprattutto il consulente alla comunicazione: come sondaggista consideratemi un… “pentito”». Anche Pregliasco ricorre all’ironia per descriversi e sceglie di parafrasare Winston Chuchill: «Il sondaggio è la peggiore forma di indagine sulla pubblica opinione… escluse tutte le altre». Mannheimer sospira: «Sono uno studioso ma non faccio miracoli: quando, come oggi, il partito più grande d’Italia diventa quello del non voto, cosa possiamo inventarci per capire cosa faranno gli italiani?». Al culmine del cortocircuito, chi volesse, potrebbe ascoltare su Spotify una interessantissima puntata di racconto e di retroscena in cui un sondaggista (Pregliasco) si sostituisce con drammatica efficacia a un giornalista per intervistare un’altra sondaggista (la Ghisleri) e intitola la puntata in questione del suo podcast (il seguitissimo Elezione straordinaria), con un tocco di comprensibile auto-ironia: “Non sparate sul sondaggista”.
Così, prima di esplorare questo retroscena, occorre capire esattamente quando in Italia la politica ha raggiunto il suo punto di maggiore dipendenza dalle scienze demoscopiche, e soprattutto perché. La prima risposta è nella natura di questo voto anticipato: si va alle urne in piena estate, con gli elettori che stanno tornando solo ora dalle vacanze. E ci si va con una campagna che è durata poco più di trenta giorni, combattuta senza grandi comizi, con pochi soldi, collegi immensi, sezioni chiuse, e una sola e non casuale eccezione. Quella di Giorgia Meloni che, con un ruggito di orgoglio, la settimana scorsa, gridava da un palco in Sicilia: «Noi non abbiamo paura di andare in piazza, ma gli altri sì!». Già, la paura. Il punto di verità nella stoccata della leader di Fratelli d’Italia è che i partiti (e molti leader), in queste condizioni temono come una sciagura il flop, l’insuccesso, la piazza vuota che ti distrugge l’immagine.
Non è un caso che Enrico Letta finora abbia costruito un solo grande evento pubblico, e che lo abbia fatto dentro la rassicurante “cornice protettiva” della festa de l’Unità. Letta – per giunta – ha dovuto anticipare di un giorno il suo comizio per non incorrere nel rischio di un contenzioso che è nato come amministrativo ma che subito dopo è diventato simbolico. La festa nazionale di Bologna, infatti, la più importante di quelle organizzate dal Pd, è stata il bersaglio di un deputato di Fratelli d’Italia, Galeazzo Bignami, che si è appellato al Garante in nome della legge sulla par condicio: «La festa – ha detto Bignami – non può esporre bandiere e simboli di partito perché si svolge in un un’area fornita in concessione dal demanio».
Preoccupati dal rischio di un intervento del Garante che avrebbe prodotto un danno economico e di immagine, i dirigenti del Pd hanno deciso di muoversi preventivamente, anticipando di un giorno il comizio di Letta (per uscire dal periodo protetto) e poi si sono dati un codice di autoregolamentazione sui temi dei dibattiti (niente campagna elettorale diretta) e dei simboli (niente vessilli o bandiere). È questa la fotografia perfetta di una campagna elettorale in cui Silvio Berlusconi non fa comizi pubblici e si limita a pillole video e telefonate, e in cui Carlo Calenda e Matteo Renzi hanno annunciato un solo evento pubblico in comune, la cosiddetta manifestazione “Inby” a favore del rigassificatore a Piombino. Dove curiosamente sono state organizzate più manifestazioni che a Roma (quattro), ovviamente tutte contro il rigassificatore.
Si tratta, insomma, di una campagna elettorale a fari spenti, in cui tutti i radar tradizionali della politica sono oscurati: non ci sono le sedi di lavoro, le associazioni collaterali, le piazze e i cortei, il tam tam diretto. Restano solo due dimensioni di rapporto con l’elettorato: i sondaggi e la tv. E qui iniziano i problemi. Perché, come spiega off record qualsiasi sondaggista onesto, in Italia è prassi della categoria considerare privi di piena attendibilità scientifica tutti i sondaggi condotti prima di una data fatidica: il 15 settembre, quella in cui, con la riapertura delle scuole ricomincia la vita ordinaria delle città. Ma in questa campagna elettorale – ironia della sorte – da venerdì 9 i sondaggi non saranno più pubblicabili. Il che svela un’altra funzione che i nuovi guru conoscono bene. Ogni sondaggista influenza anche gli altri sondaggisti. E i “clienti”, quando commissionano una rilevazione, si aspettano almeno risultati utili: capire qualcosa di quello che accade nell’elettorato, influenzare gli elettori con la propria dimostrazione di forza (ad esempio la possibilità di superare uno sbarramento) e poi anche gli altri operatori del settore.
Un sondaggista mi dice, divertito dal paradosso: «Noi dovremmo avere la stessa normativa dei prodotti alimentari: se sull’etichetta non c’è scritto chi ti paga, non dovresti essere commerciabile». Il tema dell’attendibilità in questa stagione è di certo il più grande. E si tratta di un problema molto semplice: «Un sondaggio attendibile – spiega ad esempio la Ghisleri – è tale se può contare su un campione statistico completo assortito per categorie lavorative e fasce anagrafiche rappresentative di almeno mille individui». E cosa succede durante le vacanze, nel nostro Paese? Lo spiega bene Crespi: «Su mille telefonate, almeno 500 sono senza risposta. E tra quelli che rispondono il 20% o 30% si rifugia nelle due risposte fatidiche: non so/non rispondo. Questo complica terribilmente la vita dei mie colleghi in attività».
Il calcolo è presto fatto: se tu fai mille telefonate, e se a queste 500 persone non rispondono (magari perché sono sotto l’ombrellone), e se tra quelli che rispondono solo 300 dichiarano la loro preferenza politica, i campioni sono completamente falsati. Da un lato perché vengono meno le proporzioni statistiche della profilazione per fasce e categorie anagrafiche. Dall’altro perché saltano tutte le proporzioni. Su un campione ridotto a 300 telefonate, un partito del 10% è rappresentato da appena 30 telefonate, e dunque lo spostamento di un punto in percentuale si riduce a sole 3 telefonate in più o in meno. Ma cosa direste se la didascalia ideale che tutti gli addetti ai lavori conoscono comparisse insieme a quella che per legge deve informare sui criteri di selezione del campione dicendo: «Data la stagione questo sondaggio è privo dei requisiti di attendibilità statistica necessari»? Crollerebbe un intero mercato, e proprio nel suo momento di maggiore fortuna.
Mai come in questo agosto si sono prodotti tanti sondaggi, e mai come in questo agosto questi sondaggi sono stati determinanti nelle scelte che hanno guidato la formazione delle candidature. Per effetto del Rosatellum e delle sue liste bloccate, infatti, i partiti hanno avuto bisogno della massima capacità di previsione possibile, per cercare di determinare i seggi sicuri e insicuri dove piazzare o rimuovere coloro, che – ad avviso dei leader – devono essere eletti o meno.
Il primo paradosso di questo voto, dunque, è che tutti – committenti e fornitori – conoscevano le condizioni che rendono i sondaggi estivi inattendibili. Ma per tutti era comodo far finta di niente. Così si sono usati i sondaggi a campione incerto per ripartire le previsioni sui collegi proporzionali e, soprattutto, in quelli uninominali. Con l’ulteriore paradosso che mi è stato raccontato da uno dei sondaggisti di maggiore successo, ovviamente sotto la garanzia del più totale anonimato: «Era domenica sera, era tardi, e io ero già a cena. A un certo punto mi chiama il politico A e mi chiede una valutazione sul collegio di Pisa. Controllo i miei numeri, gli dico: “Per voi difficilmente eleggibile”. Poco dopo mi chiama il politico B e mi chiede una valutazione sullo stesso collegio. Avendo già i numeri, gliela fornisco subito. Passa un quarto d’ora, e mi richiama il politico A. E stavolta mi chiede una valutazione sulla possibilità di eleggibilità nel collegio di Livorno. Poco dopo mi richiama il politico B e mi chiede una valutazione sullo stesso collegio. Subito dopo hanno iniziato ad arrivare una pioggia di telefonate sui collegi di Pisa e di Livorno. A questo punto – spiega il sondaggista – mi sono reso conto di cosa stava accadendo: c’era aperto un tavolo di candidature e, prima che io arrivassi al dessert, tutti avevano cambiato le loro richieste sulla base dei pronostici che io stavo fornendo. E se mi fossi sbagliato?». Fantastico.
Lo stesso carico di lavoro straordinario si è abbattuto su Federico Fornaro, parlamentare di Articolo Uno ma di professione statistico, con una lunga esperienza alla fondazione Italianieuropei, che ha iniziato a fornire pronostici al suo partito. Poi è stato naturale farlo anche per il Pd, poi agli alleati della coalizione di cui il Pd e il suo partito facevano parte, e infine, man mano che si diffondeva la sua fama, persino agli avversari del centrodestra che stimano la sua correttezza e la sua attendibilità. Ovviamente un parlamentare, rispetto ai sondaggisti, dispone di strumenti di indagine aggiuntivi: conosce la situazione dei territori, le beghe politiche che possono rafforzare o indebolire questa o quella lista e che insieme alla storia elettorale pregressa sono l’unico strumento che può aiutare a elaborare un vaticinio.
Ma nello scenario che abbiamo descritto il potere del sondaggista diviene quasi assoluto proprio perché tutti gli altri strumenti sono azzerati. E questo proprio nel momento in cui lavora su campioni ridotti e deve esprimere valutazioni su partiti che non hanno nessuna storia elettorale. Un esempio su tutti: puoi valutare la lista Calenda-Renzi ricorrendo al precedente della lista Monti. Ma il primo a dire no è lo stesso senatore a vita: «Io non ho mai considerato la mia lista come centrista, e ho preso il 9,5% rappresentando un governo di rigore. Penso che se Azione e Italia Viva si avvicinassero al mio risultato dovrebbero stappare lo champagne». Dal punto di vista demoscopico, dunque, esiste centro e centro. E ha fatto discutere una battuta di Pregliasco secondo cui la seconda opzione di voto della maggioranza degli elettori tentati da Calenda sarebbe la lista di Paragone, Italexit. Possibile? Sì, perché grande è il disordine sotto il cielo.
Come regolarsi dunque? Una grande polemica ha fatto seguito alla dichiarazione del seriosissimo Istituto Cattaneo che si è basato sui risultati delle europee del 2019 per fare la stima dei risultati di ogni singolo collegio: la cosiddetta “ponderazione”. In sostanza, è prassi demoscopica consolidata (proprio per equilibrare la fragilità dei campioni) quella di fare una media tra il risultato che emerge dal sondaggio grezzo e l’ultimo risultato nazionale omogeneo. Così anche su questo tema è utile la spiegazione che fornisce “il pentito” Crespi: «Dal punto di vista della prassi consolidata la decisione del Cattaneo è ineccepibile. Tuttavia il fatto che si sia sempre adottato questo strumento, non significa necessariamente che sia attendibile anche in questo caso. È vero – spiega Crespi – che le ultime europee sono una pietra di paragone molto più attendibile per omogeneità, rispetto alle ultime amministrative, piene di liste di appoggio e di civiche, che rendono inutilizzabile un campione a macchia di leopardo. Ma è anche vero, che quel dato è terribilmente invecchiato sotto almeno due aspetti: sul piano politico, perché precede la pandemia, la guerra e la crisi economica; e sul piano numerico, perché è la fotografia di rapporti di forza che oggi sono completamente cambiati. La Meloni nel 2019 era sotto il 7% e Salvini al 33%: ponderare un dato di oggi con queste proporzioni significa automaticamente sottostimare FdI e sovrarappresentare la Lega, qualunque sia il dato grezzo di oggi».
La ponderazione è stato il balsamo che ha corroborato ogni sondaggio nella Prima Repubblica, dove gli scostamenti di un punto corrispondevano a grandi terremoti elettorali, ma diventa uno strumento logoro, oggi, in una stagione in cui ogni singola elezione, a partire dal 1994, ci ha regalato una sorpresa che nessuno aveva colto: nel 1994 la scomparsa della Dc e il successo di Forza Italia; nel 1996 la vittoria dell’Ulivo determinata nei collegi dal 2% (!) della Fiamma di Pino Rauti; nel 1999 ci fu il trionfo della lista Bonino; nel 2013 la vittoria del M5S (primo partito); nel 2014 il trionfo di Renzi; nel 2018 l’imponderabile nuovo successo dei grillini; nel 2019 il trionfo di Salvini, che produsse per riflesso la scelta del Papeete e la caduta del governo gialloverde. Quella crisi di governo innescò a sua volta la crisi elettorale della Lega, e avviò l’ascesa apparentemente irresistibile della Meloni. Che due mesi fa ci scherzava su: «Dicevo ai miei: “Per noi arrivare al 30% sarà più facile che arrivare al 4%”». E come aveva fatto? Sorriso: «Semplice. Quando devo decidere cosa fare io non guardo mai i sondaggi». Viceversa Calenda mi ha confidato: «Nei tre giorni in cui ho deciso di rompere l’alleanza con il Pd ho commissionato un sondaggio riservato, costoso e dettagliato per capire come l’alleanza con Fratoianni avrebbe impattato sui miei elettori». Cosa ha detto quel sondaggio? Calenda è scoppiato a ridere e mi ha risposto: «E secondo te lo vengo a raccontare?».
Anche se sembrerà strano, negli anni Trenta i sondaggi in America si facevano consultando tutti quelli che avevano comprato un’auto. Perché? Perché erano l’unica banca dati omogenea, e perché tutti gli americani – bella o brutta – si compravano la macchina. Ma a ridosso della Grande Depressione i nuovi poveri (senza soldi per l’auto) “corrompono” il campione. Così arriva un genio, George Gallup. È un giornalista, insegna all’università, e un giorno, mentre dona il sangue, gli viene un’idea: costruire un campione statistico della popolazione. A chi lo ascolta incredulo spiega: «Per capire quanti globuli bianchi e quante piastrine ho, non ho bisogno di cavarmi tutto il sangue . Mi basta averne una fiala». Il metodo Gallup ha retto per un secolo, ma oggi è messo in crisi da un piccolo problema… Luigi Crespi ride: «Si potrebbe riassumere così. Gli elettori italiani, quando preparano un grande terremoto, hanno l’abitudine di mentire». Ecco perché la grande impalcatura che la politica fragile ha costruito sui sondaggi oggi rischia di crollare. Tutti sanno che per il centrosinistra, per effetto della legge elettorale vincere in un mese è un’impresa tecnicamente impossibile, ma nessuno è in grado di prevedere chi, all’interno dei campi, si aggiudicherà lo scettro del vincitore. Oggi chi ha antenne sul territorio e radici nella realtà ha più strumenti di un sondaggista che lavora su un campione di sangue “contaminato”.