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Home » Politica

Amedeo Ciaccheri a TPI: “Roma è arrivata al limite, serve uno statuto speciale. Per battere la destra c’è bisogno di un grande campo progressista”

Immagine di copertina
Il presidente del Municipio VIII di Roma Amedeo Ciaccheri

Il presidente del Municipio VIII di Roma traccia un bilancio del suo mandato, spiega quali sfide attendono la Capitale ed esorta le forze si sinistra non solo a riunirsi in un grande campo progressista, ma prima di tutto a lavorare per costruire uno spazio di dialettica interna

“Roma ha bisogno di uno statuto speciale. Il futuro della sinistra? Per battere le destre è necessario un campo progressista, ma prima c’è da ricomporre un popolo”: lo dichiara, in un’intervista a TPI, Amedeo Ciaccheri, presidente del Municipio VIII di Roma, vasto territorio che comprende quartieri quali Garbatella, Tor Marancia, San Paolo, Montagnola ed Ostiense. Minisindaco dal 2018, dopo le dimissioni del precedente Presidente e un periodo di commissariamento, è stato rieletto nel 2021, risultando il più votato tra i candidati alla Presidenza in tutti i municipi della Capitale. Tra i promotori della lista Sinistra Civica Ecologista, Ciaccheri ha più volte sottolineato l’importanza e la necessità di comporre una grande alleanza progressista che sia in grado di battere il centrodestra.

Presidente Ciaccheri, partiamo da un bilancio del suo lavoro da minisindaco del Municipio VIII.
Il bilancio è ovviamente importante ma è il presupposto per il lavoro che andrà ancora fatto per la città in questi prossimi anni. Abbiamo attraversato un momento straordinario e ovviamente inaspettato come quello della pandemia che si è rivelata anche un’occasione per investire in dei processi che oggi stiamo continuando a costruire di coesione comunitaria e di investimento su nuove politiche di welfare locale.

Ci può esporre alcuni degli obiettivi più significativi, secondo lei, portati a termine dalla sua amministrazione in questi cinque anni? 
Penso alla preparazione dell’anniversario per il centenario della Garbatella, la promozione di una piattaforma di amministrazione collaborativa tra terzo settore e istituzioni di prossimità, che si è chiamata Municipio solidale, e che ha tenuto insieme il lavoro del Municipio e delle istituzioni con il contributo di comunità locale e associazionismo. Abbiamo lavorato per riaprire delle storie interrotte. Diciamo che alcune grandi vicende del nostro territorio e della città camminano per restituire spazi pubblici e opportunità al futuro della città. Penso, ad esempio, al Parco di Tor Marancia che è un progetto che ha ripreso vita dopo dieci anni di abbandono. Abbiamo aperto un’area nel corso del 2022 e quest’estate è stato aperto un nuovo cantiere per quello che probabilmente diventerà il parco urbano più grande d’Europa. In queste settimane daremo finalmente notizia del fatto che la trasformazione dell’ex Fiera di Roma torna a essere viva dopo una lunghissima stasi. E poi l’investimento su quella micro-geografia di presidi di democrazia che su un territorio vasto come Roma fanno la differenza sulla qualità della vita.

Quali sono le difficoltà principali per un Presidente di Municipio?
Roma è una città che è arrivata al limite rispetto a quello che potenzialmente può fare effettivamente con lo statuto vigente. Una grande metropoli come Roma rimane l’eccezione a livello internazionale perché è costretta a funzionare come le altre città d’Italia e non ha uno statuto speciale che le permette di poter legiferare su un territorio immenso e su una realtà demografica unica a livello nazionale. Questo è il limite maggiore, che poi sottopone tutti i livelli dell’amministrazione, primi fra tutti i municipi, che si trovano a doversi scontrare con una miriade di competenze differenti che sono distribuite tra il comune centrale, la regione, i ministeri, le sovrintendenze statali e regionali. Roma deve arrivare necessariamente a uno statuto speciale e poter contare su risorse economiche, ma anche competenze e risorse umane, non solamente per i grandi progetti ma anche per poter sopperire a quella che è la manutenzione ordinaria della città.

Amministrare Roma e amministrare i municipi è complesso perché abbiamo la necessità di accompagnare gli investimenti sul territorio a delle politiche immateriali. Mi spiego meglio: in questi mesi abbiamo affrontato il peso che la guerra in Ucraina ha sulla nostra economia per esempio nel rialzo dei costi energetici, e che ha anche sulla pubblica amministrazione o nel rialzo dei costi dei materiali per qualsiasi intervento in termini di lavori pubblici. Le città vanno a debito per effetti esogeni, non per responsabilità proprie e questo si ripercuote sugli investimenti per le politiche di welfare, che vengono penalizzate. Le istituzioni di prossimità sono la prima porta d’accesso alla pubblica d’amministrazione e quindi sono un punto di riferimento nel bene e nel male per le persone. Le istituzioni di prossimità dovrebbe poter prendere decisioni senza dover essere ostacolate o bloccate da una confusione burocratica e da una restrizione di potenzialità e possibilità che ci viene da una disattenzione delle politiche nazionali, che a Roma pesano più che sulle altre città. Questa è la grande sfida delle istituzioni di prossimità.

Roma è alle prese ancora con moltissimi problemi. Quali sono, secondo lei, le sfide principali che attendono la Capitale nei prossimi mesi per stare al passo con le grandi città europee?
Roma deve affrontare il Giubileo e i prossimi grandi eventi internazionali avendo la capacità di costruire un modello di attraversamento della città migliore di quello che vediamo in altre città d’Italia o europee. Rischiamo il burnout della città dal punto di vista dell’accoglienza turistica di fronte a dei grandi appuntamenti internazionali, in mancanza di un modello che riesca a decongestionare il centro storico e offrendo l’opportunità di attraversare Roma con i servizi adeguati. È necessario investire tutte le energie possibili per aumentare la qualità della vita delle persone all’interno della città. Oggi Roma è una città che ancora non ha raggiunto livelli sufficienti dal punto di vista del decoro urbano, della qualità dei trasporti pubblici, e nella capacità di accorciare le distanze tra aree disomogenee della città. C’è ancora una distesa e sterminata aerea di periferia, che attraversa trasversalmente la città, di aree senza servizi, senza possibilità di accedere a un presidio sanitario, a una biblioteca o un parco pubblico.

Lei è tra i promotori di Sinistra Civica Ecologista che da tempo si batte per una grande alleanza progressista tra tutte le forze di sinistra. In quest’area c’è spazio anche per Renzi e Calenda?
Vale per tutte le forze che si sentono alternative alla destra che in questo momento governa il Paese. Tutto quello che è in campo non è ancora sufficiente per dare chiarezza a quella che è la vera sfida, ovvero essere alternativi alle destre. Il perimetro del campo progressista è dettato in qualche modo da chi vuole partecipare a combattere le destre in questo momento. Noi saremo e stiamo con chi, nei prossimi anni, sceglierà di fare un salto di qualità dal punto di vista della partecipazione politica e del conflitto politico. Basta accontentarsi di rendite di posizione politiche, è quello che critico e critichiamo ancora nei confronti di chi dovrebbe interpretare un ruolo di collante o di ricomposizione del campo largo. Non è evidentemente una questione che riguarda solo Elly Schlein ma che riguarda tutta la sinistra del nostro Paese, troppo spessa abituata ad accontentarsi di equilibri interni e non impegnata a ricostruire una sinistra popolare che, aldilà delle feste di partito, si metta pancia a terra, porta a porta, e lotti per la pace e la giustizia climatica, che in questo momento accomunano le sinistre a livello globale, oltre alla grande questione di come si ridà dignità al lavoro.

Come si conciliano le profonde differenze che vi sono all’interno del centrosinistra su alcuni temi quali ad esempio la guerra in Ucraina?
La destra ha altrettante divaricazioni interne sul tema della guerra, ad esempio, o sul tema dei rapporti internazionali o anche sulla gestione delle politiche economiche, lo vediamo in tutti i giorni. Sulla battaglia culturale, però, riesce a fare una sintesi valoriale credibile per il proprio elettorato. Al netto delle differenze, bisogna lavorare per costruire uno spazio di dialettica interna, come sta avvenendo in Spagna ad esempio. In Italia, e nella sinistra, manca ancora un soggetto politico che si prende in carico la questione pacifista e il tema di come si tiene insieme giustizia sociale e ambientale. Ma soprattutto bisogna lavorare per ricomporre un pezzo di popolo.

Mancano pochi mesi alle elezioni Europee. Qual è la sfida che attende il campo progressista?
La responsabilità del campo progressista è quella di stare dentro la società per ricomporre e ricostruire un’opportunià per chi cerca un riferimento elettorale per le grandi questioni. L’Italia è un paese che si sta impoverendo, va incontro a una crisi economica di cui non conosciamo ancora la portata. Le politiche del governo di eliminazione ad esempio del Reddito di Cittadinanza ci consegnano delle città impoverite che rischiano di diventare delle vere e proprie bombe sociali. Dobbiamo riuscire a spiegare credibilmente che l’obiettivo della destra, ovvero quello di ricostruire un’Europa delle Nazioni e dei nazionalismi, non può che portare a quello che già oggi vediamo, ovvero impoverimento e assenza di prospettive per il futuro. Queste non sono questioni lontane dalla vita delle persone perché quando parliamo di impoverimento di massa parliamo dal fatto che i nostri uffici municipali, ad esempio, parliamo di centinaia persone che percepivano il reddito di cittadinanza e che improvvisamente si ritrovano privati di un sostentamento necessario che esiste in tutti Paesi d’Europa e che in Italia invece condanna una fascia di popolazione a una precarietà esistenziale.

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