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Accordo Italia-Libia, Riccardo Magi a TPI: “Posizione di Di Maio è drammaticamente in continuità con il passato”

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Il ministro degli Esteri ieri ha detto che il governo intende prorogare l'accordo con la Libia, puntando a migliorarlo. Intervista al deputato di Più Europa Riccardo Magi

Accordo Italia-Libia, Riccardo Magi a TPI: “Posizione di Di Maio è drammaticamente in continuità con il passato”

“Di Maio vuole migliorare l’accordo con la Libia? Il suo è un inganno politico”. Riccardo Magi, deputato di Più Europa, commenta con TPI le parole del ministro degli Esteri, che ieri in Parlamento ha espresso la volontà di rinnovare l’accordo tra l’Italia e la Libia sul controllo dei flussi migratori, sottolineando la volontà di migliorarlo, soprattutto per quanto riguarda le condizioni dei centri di detenzione libici.

“La posizione di Di Maio”, sottolinea Magi, “è drammaticamente in continuità con quello che è stato fatto prima”, ed è legato a “una linea politica che viene da lontano, non attribuibile solo allo scorso governo, ma anche dal governo Gentiloni, quando il ministro dell’Interno era Minniti”. Il deputato di Più Europa risponde inoltre alla proposta del capo politico M5S di destinare 8 milioni di euro, previsti in manovra per il finanziamento a Radio Radicale, ai terremotati. “Da Di Maio becera propaganda, è insofferente alla libertà di informazione”, dice Magi.

Il ministro Di Maio ha detto che il governo intende prorogare l’accordo con la Libia, puntando a migliorare le condizioni dei centri di detenzione. 

È un’affermazione grave da parte del ministro degli Esteri. Ormai sappiamo che quello dei centri di detenzione libici è “un sistema non riformabile”, come lo definisce l’Onu. Quei migranti, che secondo la legge libica sono illegali, vengono rinchiusi e sottoposti a trattamenti inumani, torture e stupro di massa. Sono privi di qualsiasi tipo di garanzia e di sostegno.

È un’illusione – e anche un inganno politico – dire che questi accordi resteranno in vigore ma saranno migliorate le condizioni dei centri, perché essi sono una parte fondamentale per tenere in piedi quel sistema. I finanziamenti che l’Italia ha fornito alla Libia – 150 milioni di euro secondo i dati Oxfam – sono stati impiegati sia nella realizzazione di questi centri sia nella formazione degli operatori e della guardia costiera. Questi accordi andrebbero immediatamente sospesi, e non rinnovati.

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Anche perché in Libia è difficile trovare un interlocutore politico e – come emerge dall’inchiesta di Nello Scavo su Avvenire, gli italiani si sono seduti al tavolo anche con un trafficante.

La questione noi l’avevamo segnalata dall’inizio. Come Radicali, già dal 2017, quando questo accordo venne concluso e stipulato in forma semplificata, cioè senza una discussione parlamentare, e fu accompagnato da una serie di inchieste giornalistiche che parlavano di un ambito di relazioni poco chiare e tangenti date dal nostro paese a esponenti della criminalità organizzata, arrivammo a fare una denuncia penale con l’ipotesi di corruzione internazionale.

Era un’illusione pensare che si potesse affidare la gestione di una grande crisi umanitaria come quella libica a un paese in condizioni di instabilità, con istituzioni frammentate e contrasto tra diverse milizie. Era del tutto illusorio pensare che un paese del genere potesse affrontare quella situazione nel rispetto dei diritti umani.

La verità è che si è delegato ad alcuni capi milizia libici, che in alcune aree coincidono con gli ufficiali della guardia costiera, il compito di bloccare le partenze. Quello si è fatto a qualsiasi costo, al costo di sacrificare il rispetto del diritto internazionale, sia per quanto riguarda la tutela dei diritti umani sia per gli obblighi del diritto del mare.

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Emma Bonino è stata molto netta su questo, parlando di accordi assimilabili alla “trattativa Stato-mafia”.

All’inizio della legislatura chiesi durante un question time informazioni al ministro Salvini, appena tornato da un viaggio lampo a Tripoli, al termine del quale in una conferenza stampa aveva detto che bisognava smetterla con queste menzogne sul fatto che in Libia ci fosse la tortura. La strumentalizzazione e la propaganda della politica italiana  negli ultimi anni hanno fatto sì che venisse costruito un teorema sulla collusione tra ong e trafficanti, quando in realtà io già all’epoca contestai a Salvini che la collusione tra guardia costiera libica, pagata dall’Italia, e trafficanti di esseri umani. Questo non deve stupire: non può che essere così nella situazione in cui la Libia è adesso.

Cosa bisognerebbe fare quindi?

Non possiamo accettare che l’Italia continui con questa linea di politica estera. A maggior ragione ora che è evidente che la situazione di stabilità della Libia è precipitata, che è scoppiata una guerra civile. La situazione può essere affrontata solo con un’evacuazione delle persone che sono lì, con un piano di ricollocamento nei paesi europei, e un’assunzione di responsabilità della comunità internazionale. I paesi che hanno una sfera di influenza in Libia devono riunirsi e trovare una soluzione.

Il porto sicuro alla Ocean Viking è stato assegnato solo dopo 11 giorni. Cos’è cambiato rispetto all’era Salvini?

Ho votato la fiducia a questo governo con un appoggio esterno, perché ho ritenuto importante l’impegno che aveva preso questa maggioranza sul tema dell’immigrazione. Si era parlato di modificare i decreti sicurezza, lavorare sul trattato di Dublino, ma soprattutto di fare una riforma organica della normativa sull’immigrazione, creando dei canali di ingresso legali del nostro paese. Per quanto riguarda i decreti sicurezza, il ministro dell’Interno può non utilizzare il potere di divieto di ingresso in acque territoriali – e in effetti non lo ha utilizzato – ma questo non basta: bisogna assegnare il porto di sbarco, perché questo è quello che richiede il diritto internazionale. Finora è assolutamente insufficiente la discontinuità che questo governo ha dimostrato sul tema.

Anche la risposta di Di Maio è drammaticamente in continuità con quello che è stato fatto prima. Si tratta – peraltro – di una linea politica che viene da lontano, non attribuibile solo allo scorso governo, ma anche dal governo Gentiloni, quando il ministro dell’Interno era Minniti. Io ho partecipato alla prima missione di salvataggio in mare quando c’era quel governo, e già si cominciava a vedere la gravità della linea che era stata scelta.

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Di Maio è tornato ad attaccare Radio Radicale, proponendo di destinare gli 8 milioni di finanziamento pubblico previsti per l’emittente in manovra ai terremotati. 

È becera propaganda. Come sempre si parla e si straparla al di là delle proprie competenze, perché non è Di Maio che ha la delega sul settore. Ma è grave soprattutto perché si va a colpire un servizio pubblico unico nel suo genere, che offre ai cittadini la possibilità di conoscere ciò che accade nelle istituzioni senza filtri. Quel finanziamento è contenutissimo rispetto al valore del servizio di Radio Radicale.

Mi sembra chiaro che in realtà Di Maio abbia insofferenza e intolleranza per la libertà di informazione e per la possibilità dei cittadini di conoscere direttamente quello che avviene nelle istituzioni, senza la mediazione di interpreti oppure operazioni propagandistiche.

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