“Sull’aborto bisogna parlare chiaro”: intervista a Gilda Sportiello (M5S)

“14 anni fa ho scelto di ricorrere all’interruzione volontaria di gravidanza. Ne ho parlato alla Camera per rompere lo stigma sociale. Negli ospedali ci sono ancora troppi ostacoli. E a destra c’è chi vuole sopprimere i diritti. Ecco perché occorre combattere”
Parità salariale, aborto, lotta alle discriminazioni e alla violenza di genere. Sono parecchi, nel 2025, i diritti da difendere o ancora da conquistare per le donne in Italia. Lo ha rimarcato con forza nei giorni scorsi, alla Camera, la deputata del M5S Gilda Sportiello, in occasione della discussione per l’8 marzo: «Tenetevi pure le mimose e dateci i consultori, il diritto all’aborto, gli asili nido, il lavoro, i ruoli che ci spettano, l’educazione affettiva e sessuale nelle scuole», ha denunciato nell’Aula di Montecitorio, scatenando il dibattito politico e diventando virale in rete.
Da sempre attiva sul fronte dei diritti civili, Sportiello è stata nel 2023 la prima parlamentare italiana ad allattare in Aula, denunciando così le difficoltà a cui devono far fronte molte mamme lavoratrici.
Nei mesi scorsi la deputata dei Cinque Stelle si era esposta in prima persona, raccontando di aver abortito diversi anni fa: «Sono madre, ho scelto di essere madre. Quattordici anni fa però ho scelto di abortire. E sapete perché lo dico qui, nel luogo più alto della rappresentanza democratica di questo Paese, in cui ancora oggi a qualcuno tremano le gambe quando si parla di aborto? Perché non vorrei che nessuna donna che in questo momento volesse abortire si sentisse attaccata da questo Stato. Quando mi guardo allo specchio, non mi sento né colpevole né mi vergogno. Quelli che si devono vergognare siete voi per la squallida propaganda che fate», aveva detto senza giri di parole dopo l’emendamento della maggioranza che ha aperto alla presenza delle associazioni pro-vita nei consultori.
Esperienze di vita privata e politica che l’hanno ora portata a pubblicare per Rizzoli il libro “Potevi pensarci prima. E altri giudizi non richiesti sui nostri corpi”. Un’occasione per parlare con lei dello stato dei diritti in Italia.
Da dove è nata l’idea e l’esigenza di questo libro?
«Nasce in continuità con il mio intervento in Aula, quando ho deciso di condividere il fatto che io stessa avevo abortito. C’era bisogno di spezzare questo silenzio, proprio mentre il governo stava approvando un emendamento a un provvedimento che doveva riguardare tutt’altro, cioè il Pnrr, quindi le emergenze e i problemi strutturali da risolvere del nostro Paese. Invece alla fine è passato l’emendamento che ha definitivamente legittimato la presenza delle associazioni antiabortiste nei consultori. Ho chiesto al governo un impegno affinché specificasse che le associazioni a tutela delle maternità a cui faceva riferimento non fossero associazioni che ledevano i servizi che un consultorio deve erogare in relazione all’interruzione volontaria di gravidanza. L’esecutivo ha negato questo impegno, dimostrando quale era la sua vera volontà».
Quel suo intervento alla Camera, con cui ha raccontato la sua storia personale, ha colpito tanti.
«Sono intervenuta in quel modo perché ho pensato a come potesse sentirsi una persona che in quel momento, mentre noi facevamo una discussione surreale, stesse cercando informazioni per abortire, o stesse prendendo quella scelta. Ho voluto farlo in maniera forte, in quell’Aula, per sostenere queste persone, e contribuire così un po’ ad abbattere questo stigma che ancora esiste intorno all’aborto».
Nel suo libro è molto diretta, non addolcisce le parole.
«Parlo di questi temi senza edulcorare le cose, come invece spesso si fa quando si parla di diritti. Credo che gran parte della politica faccia ancora fatica a dire chiaramente come la pensa. Come vediamo, c’è chi i diritti li vuole sopprimere, e si scaglia con ferocia. Quindi non si può stare fermi ad aspettare o a difendere semplicemente ciò che ancora abbiamo, ma bisogna parlare chiaro e battersi per ciò che vogliamo ottenere».
Possiamo dire che ancora oggi l’aborto non viene visto come un diritto, ma quasi una colpa, per cui le donne devono sentirsi giudicate a vita?
«Esatto, inoltre devono superare mille ostacoli prima di poter avere accesso all’aborto chirurgico, considerando che quello farmacologico purtroppo ancora non è garantito equamente e a tutte nel nostro Paese. In alcuni casi ci sono vere e proprie violenze, come quando il medico fa ascoltare il battito fetale o se si incontrano associazioni antiabortiste che additano le donne come assassine. Per non parlare poi del fatto che in molte regioni gli obiettori di coscienza superano il 70-80%. Purtroppo ancora da alcuni l’aborto non è visto come un diritto, un atto medico. Per loro è giustificabile solo come un atto doloroso, una pena da scontare. Si tratta invece di una scelta personale, poiché una donna, una persona che sceglie di abortire, non vuole avere un figlio in quel momento della sua vita, e quindi non va giudicata».
Possiamo sintetizzare dicendo che la parola aborto ancora fa paura a molti?
«Assolutamente sì. Alcuni miei colleghi di destra, dopo il mio racconto in Aula, mi hanno urlato contro e attaccato, come se avessi commesso qualcosa di indicibile».
Eppure una legge c’è, la 194, che però non garantisce appieno questa libertà di scelta.
«La legge è fondamentale, scritta in un periodo storico in cui i diritti nel nostro Paese avanzavano in maniera inesorabile. Il punto è che, 47 anni dopo, bisogna prendere atto di alcune disposizioni previste da quella legge che andrebbero riviste. Penso per esempio alla pausa di riflessione di sette giorni che il medico impone alla persona che vuole interrompere la gravidanza in casi di non urgenza. Le donne hanno già riflettuto quando arrivano a prendere questa scelta. È un trattamento infantilizzante che non serve a nulla».
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Analizziamo i singoli problemi legati alla corretta attuazione del diritto all’aborto. Lei si è molto battuta nei mesi scorsi contro la presenza delle associazioni antiabortiste nei consultori.
«Il governo Meloni, a cominciare da alcuni suoi componenti, è molto vicino a quel mondo. L’emendamento al Pnrr di cui parlavamo prima è stato un chiaro atto, una scelta politica. Molti parlamentari della maggioranza hanno risposto dicendo che questa misura era già prevista dalla 194. Mi chiedo allora perché mai abbiano avuto il bisogno di inserirlo all’interno del decreto del Pnrr, facendo un’evidente forzatura. Ho anche chiesto all’esecutivo se fossero previsti dei riconoscimenti economici per queste associazioni presenti nelle Asl e nei consultori, ma il Ministero della Salute mi ha risposto affermando che non sa se siano previsti dei fondi pubblici per queste prestazioni. Il Ministero non può non sapere cosa accade nei presidi per la salute».
Un altro grande tema è quello degli obiettori di coscienza. Sono previsti dalla 194, il problema però è dato dai numeri altissimi.
«Specie in alcune regioni i numeri sono impressionanti, costringendo molte donne a dover andare fuori per abortire, facendo centinaia di chilometri, con dei costi che non sono accessibili per tutte. Dobbiamo inoltre ricordare che i dati sugli obiettori non sono aggiornati: si basano su una relazione che il Ministero è tenuto per legge a presentare ogni anno al Parlamento, eppure l’anno scorso si è verificato un ritardo come non era mai accaduto dall’approvazione della legge, ormai 47 anni fa. Un ritardo che il Ministero non è stato in grado di giustificare, nonostante le nostre interrogazioni. E così nel 2025 non abbiamo ancora i dati relativi al 2023. Non c’è neppure una mappatura sul sito del Ministero per sapere quali presidi erogano l’aborto farmacologico o quello chirurgico».
Un ruolo importante viene svolto dalle associazioni di mutuo aiuto.
«In questa situazione di gravi carenze di dati e informazioni, queste realtà svolgono un ruolo fondamentale, perché fanno mappature autonome, accompagnano le donne e le persone che vogliono abortire nel percorso dell’Ivg (interruzione volontaria di gravidanza, ndr), colmando di fatto molti vuoti colpevolmente lasciati dalle istituzioni».
C’è quindi una netta discrepanza tra le varie regioni del Paese, anche per quanto riguarda la presenza sul territorio dei consultori.
«I consultori sono pochi e sottodimensionati, specie in termini di personale. Si parla tanto di medicina di prossimità, ma poi dei presidi importanti come i consultori sono stati nel tempo sempre più depotenziati. Per legge dovrebbe essercene uno ogni 20mila persone, invece ci sono zone d’Italia in cui ce n’è uno ogni 200mila».
Lei aveva proposto l’inserimento del diritto d’aborto in Costituzione, come avvenuto in Francia.
«Sì, c’è una mia proposta di legge. Ovviamente sappiamo che questo governo non è d’accordo, e la maggioranza ha dalla sua parte i numeri in Parlamento. Ma ci sono battaglie che vanno portate avanti comunque, perché le riteniamo priorità, nella speranza che nel prossimo futuro a governare ci siano forze progressiste».
Raccontando la sua storia, ha detto che il giorno dopo l’aborto è stato uno dei più belli della sua vita. Cosa intendeva?
«Sono stati giorni molto duri quelli che hanno preceduto il mio aborto, tra offese, violenze e ostacoli. La narrazione dominante vede l’aborto solo come un’esperienza dolorosa. Bisogna invece dire con chiarezza che tutte le emozioni che una donna può provare in quei momenti sono legittime. Ognuna, in base al proprio vissuto, ha il diritto di sentirsi come vuole, e non va giudicata».
Differenze salariali, donne che perdono il lavoro se restano incinte, mancanza di servizi essenziali di welfare: c’è ancora tanta strada da fare.
«Pensiamo ad esempio al fatto che la cura dei figli pesa ancora in molti casi quasi esclusivamente sulle spalle delle donne. Questo governo, che dice di battersi tanto a favore della natalità, è quello che ha tagliato gran parte dei posti degli asili nido, che avevamo previsto di incrementare grazie ai fondi del Pnrr».
Il suo intervento in occasione della discussione alla Camera per l’8 marzo, quando ha detto «tenetevi pure le mimose», ha fatto il giro dei social. Quali sono secondo lei le priorità su cui intervenire al più presto?
«Una è senz’altro l’educazione sessuale e affettiva nelle scuole. Per combattere la violenza di genere l’approccio non può essere solo quello repressivo, come sta facendo l’esecutivo Meloni. C’è il tema della violenza economica, la questione abitativa, il mancato potenziamento dei centri antiviolenza. E poi, a proposito di sicurezza, bisogna investire sui consultori. È un modo per prendersi in carico una comunità, grazie a questi presidi che riescono a intercettare situazioni di disagio. La risposta a tutte queste criticità non può essere, dunque, regalare qualche pacco di pannolini tramite le associazioni antiabortiste».
I diritti, in quanto tali, dovrebbero essere garantiti a tutti. Possiamo dire che Meloni e la ministra delle Pari Opportunità Roccella raccontano un mondo al contrario?
«Senz’altro. Sul fronte dei diritti questo governo sta andando molto male. Penso ad esempio alle discriminazioni nei confronti delle coppie omogenitoriali o al taglio dei fondi per la povertà educativa. Ho presentato un emendamento affinché venisse garantita da parte dei Comuni la mensa ai bambini che versano in condizioni di fragilità economica. La Presidente Meloni mi ha detto che sul fronte dei diritti loro non hanno toccato nulla, che è tutto come prima. Eppure, per esempio, le associazioni Lgbtqia+ hanno lanciato una campagna per chiedere delle misure emergenziali, visti i tanti attacchi subiti. Purtroppo è tutto fermo».
Si continua a parlare al contrario della cosiddetta «teoria gender», che verrebbe imposta nelle scuole.
«È un’ossessione. Quando non si hanno argomenti, bisogna creare un nemico, anche invisibile. Si tratta invece di educare i giovani alla lotta alle discriminazioni, al rispetto, per creare una società inclusiva. Lo Stato non può restare indifferente di fronte a forme di violenza che colpiscono le persone solo a causa del proprio orientamento sessuale e dell’identità di genere. Sono forme di discriminazione, che non possono essere tollerate e che tutti dovremmo combattere».
È possibile una convergenza su questi temi tra le forze progressiste, penso in particolare tra voi e il Pd?
«Dovrebbero essere priorità assolute per forze che si definiscono progressiste. Penso che se non si riconoscono i diritti civili, non si riconoscono neppure quelli sociali. Basta vedere quello che sta succedendo nell’America di Trump per le persone trans, ma anche a quello che accade loro nel nostro Paese».
Che ne pensa del disegno di legge varato dal governo, per cui il femminicidio diventa un reato autonomo, punibile con l’ergastolo?
«Vedremo nei fatti, di certo si conferma l’approccio repressivo di questo governo. Il disegno di legge è stato costruito senza ascoltare le operatrici dei centri antiviolenza. Preferisco prima vedere come cambierà il testo a seguito del dibattito parlamentare. Certamente è importante riconoscere il reato di femminicidio, ma la violenza di genere è molto di più. Bisogna intervenire prima, per evitare che le donne vengano uccise».