Caro Zinga, è ora: cambia lo statuto e dimentica le dinamiche romane
Caro Zinga, è ora: cambia lo statuto e dimentica le dinamiche romane
Due anni fa, il 3 marzo 2019, Nicola Zingaretti vinceva le primarie del Partito Democratico e ne diveniva segretario, ponendo, almeno parzialmente, fine alla stagione renziana che dodici mesi prima aveva condotto il suddetto partito al minimo storico. Era un altro mondo, un’altra era geologica.
Giuseppe Conte governava, oggettivamente male, con Salvini e un M5S non ancora costituzionalizzato, Salvini vinceva a mani basse ovunque e veleggiava verso il trionfo delle Europee e il PD era un soggetto allo sbando, apparentemente destinato a uscire di scena per lasciar spazio a una competizione fra i due populismi, momentaneamente alleati ma già in rotta l’uno con l’altro.
Il grido di Zingaretti, in campagna elettorale, era stato: “Mai con i 5 Stelle!”, più che altro per non provocare ulteriori malumori in un partito che, ricordiamolo, era reduce dalla brillante trovata del suo ex segretario: l’hashtag #senzadime con cui aveva mandato a monte il possibile governo giallorosa nella primavera del 2018 per sedersi sul divano a gustare i pop corn di fronte allo sfascio del Paese.
Basterebbe questo per trarre le conclusioni su un certo modo di intendere la politica, ma aggiungiamo che se il governo Conte I è stato un disastro, fra decreti securitari, violazioni dei diritti umani e altri misfatti, la colpa è senz’altro di chi si è reso protagonista di quelle azioni indifendibili, compresi Conte, Di Maio e il gruppo parlamentare dei 5 Stelle, all’epoca succube del salvinismo, ma anche di chi non ha fatto nulla per impedire che ciò avvenisse, ossia il Partito Democratico ante-Zingaretti.
Le vicende dell’estate 2019 sono arcinote, al pari della genesi, dello sviluppo e dell’epilogo del Conte II, pertanto veniamo all’oggi. Già un anno fa, ben cosciente di star camminando sulle uova, Zingaretti aveva annunciato di voler cambiare tutto e rifondare il PD: un soggetto politico sbagliato, nato male e sviluppatosi peggio, concepito sul finire degli anni Novanta per un altro mondo e un’altra fase economica, inservibile già nel 2007, quando Veltroni e i vertici di DS e Margherita lo misero precipitosamente in campo per crearsi una scialuppa sufficientemente capiente, in grado di far fronte all’imminente affondamento del Titanic dell’Unione, e mai davvero in grado di concepirsi come soggetto unitario del centrosinistra.
Il problema del Partito Democratico non è, dunque, chi lo guida ma che, per come è adesso, non ha più senso. Un partito nato con il mito delle primarie all’americana, del maggioritario, del bipolarismo, dell’obamismo e cementato, all’epoca, da massicce dosi di anti-berlusconismo, ora che Berlusconi appare un arzillo vecchietto che desta quasi simpatia, che Obama si è dato ai podcast con Springsteen e che persino l’America sta cercando di uscire dall’incubo del liberismo sfrenato che l’ha condotta sull’orlo del baratro nel 2008 e, di nuovo, nella fase più acuta della pandemia, ha la stessa attualità del Fronte Popolare di Togliatti e Nenni, con la differenza che almeno quell’esperienza aveva un senso, un’ideologia e una visione del mondo, questa no.
Riprendendo la sua idea di un anno fa, nei giorni scorsi Zingaretti ci aveva fatto sapere di essere disposto ad andare a congresso, ipotizzando non l’ennesima giornata di file ai gazebo, sconsigliabili per via del Covid, ma un confronto tematico serio per decidere la propria natura e, di conseguenza, il proprio destino.
Al che, anche alla luce di ciò che sta avvenendo nei 5 Stelle, ormai fin troppo integrati nel sistema, vien voglia di dare a Zinga e ai suoi uno spassionato consiglio: non tiratevi nuovamente indietro, come sembrate voler fare in queste ore, commettendo un errore esiziale, forse l’ultimo, e rifondate integralmente un soggetto nato male, senza farvi intrappolare nelle dinamiche romane che, storicamente, anche per chi le conosce bene, possono risultare rischiose.
Rifondate il PD perché, così com’è, non funziona e non può funzionare. Non rappresenta più i giovani, le donne, i precari, i delusi, le persone messe in ginocchio dalla pandemia e non può essere il motore della ricostruzione di un Paese con un debito pubblico mastodontico, una destra arrembante e una crisi complessiva che va ben al di là dei confini della politica politicante.
Caro Zingaretti, caro Goffredo Bettini, caro gruppo dirigente al gran completo, fate i conti con la realtà attuale: un mondo multipolare, la Cina in ascesa, la Russia in ripresa, la conclusione definitiva del Novecento e delle sue logiche e una società drammaticamente irrequieta, liquida, priva di certezze e punti di riferimento.
Rifondate il PD e spostatelo a sinistra, anche perché un M5S ormai maturo e quasi andreottiano, con poco o nulla in comune con la scapigliatura delle origini, per giunta guidato, per diretta volontà di Grillo, da Giuseppe Conte, è un partito a pieno titolo e potrebbe risultare un alleato prezioso.
Un alleato che, però, per esser tale, ha bisogno di confrontarsi con un PD a trazione socialdemocratica. In caso contrario, molti elettori si sinistra, come testimonia anche il sondaggio andato in onda nel corso del Tg La 7, potrebbero essere tentati di seguire l’ex presidente del Consiglio nella sua prova di leadership, lasciando alla via di Rignano e ai suoi epigoni le briciole di un’alleanza centrista non solo innaturale ma senza avvenire.
Spiace per chi non si è ancora fatto una ragione che la storia non sia finita con l’abbattimento del Muro di Berlino, ma questa è una stagione che non premia gli ibridi ma le identità forti e inclusive, anche a livello locale, richiedendo persino al sindaco di un paesello di cinquecento anime di far sapere a chi è chiamato a votarlo come la pensa su Biden e sulle fioriere della piazza centrale del comune.
Chi vuole fare politica deve portare una storia, presentarsi con un volto chiaro e riconoscibile, avere delle idee ed esprimerle senza spocchia e in termini che siano comprensibili per l’intellettuale con tre lauree ma anche per la donna delle pulizie, specie a sinistra, anche perché la democrazia non è nata per consentire di partecipare alla vita pubblica solo agli ottimati ma per garantire a tutti un compiuto diritto di cittadinanza.
Data per archiviata LeU, poco più che una lista senza alcuna intenzione di trasformarsi in partito, Speranza e Zingaretti devono, quindi, riunirsi, sedersi intorno a un tavolo e immaginare un avvenire diverso e, possibilmente, migliore. Un partito che sia partito e di sinistra, con un pensiero economico adatto ai tempi che corrono, nessuna tentazione terzaviista, nessun blairismo di sorta e un convinto schieramento dalla parte dei lavoratori e di chi produce beni reali, senza preoccuparsi unicamente del profitto e del proprio “particulare”.
L’ambientalismo, certo, i ragazzi di Greta, le Sardine, i movimenti, il civismo: fate voi ma fate presto. Approfittate di questo bizzarro esecutivo senza quasi opposizione non per rendere la vita impossibile al povero Draghi ma per restituire a milioni di cittadini la speranza che, finita l’emergenza, si possa tornare alla normalità di una contrapposizione fra avversari, senza che si debba mai temere l’uscita dell’Italia dall’euro e altre assurdità.
Un PD rinnovato da cima a fondo, alleato strutturalmente con quello che ormai può essere considerato il partito di Conte e con un linguaggio adatto all’era digitale, alla società orizzontale, alla follia del nostro tempo e alla concreta possibilità che dalloggi al domani cambi nuovamente tutto potrebbe essere ancora un attore interessante sulla scena politica; così come è adesso, ribadiamo, è solo una zavorra respingente e sconfitta in partenza.
Caro Zinga, due anni dopo la tua elezione, fatti e facci un regalo: archivia il passato e guarda avanti. Sai da solo che, in caso contrario, la sinistra Italiana non avrebbe un domani.
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