Violenza sulle donne: non esistono gonne della lunghezza giusta. È nostra responsabilità ribadirlo
Ogni quindici minuti nel nostro Paese una donna è vittima di violenza. C'è un nesso tra le risposte del report e i numeri agghiaccianti delle violenze registrate in Italia? Necessariamente sì, e la responsabilità è anche di noi donne del nuovo millennio
Violenza sulle donne: non esistono gonne della lunghezza giusta
Una persona su quattro, in Italia, pensa che le donne possono provocare la violenza sessuale con il loro modo di vestire e circa il 14 per cento considera normali gli schiaffi nella coppia.
Il 15,1 per cento, inoltre, ritiene che una donna che subisce violenza sessuale quando è ubriaca o sotto l’effetto di droghe sia almeno in parte responsabile. Per il 6,2 per cento le donne serie non vengono violentate.
Sono alcuni dei risultati emersi dall’impietoso rapporto Istat sui ruoli di genere, i cui dati sono stati diffusi lunedì 25 novembre, giornata mondiale contro la violenza sulle donne.
Ogni quindici minuti nel nostro Paese una donna è vittima di violenza. Ogni giorno le vittime sono 88. Almeno secondo il report diffuso dalla Polizia di Stato “Questo non è amore”. C’è un nesso tra le risposte del report e i numeri agghiaccianti delle violenze registrate in Italia? Necessariamente sì, e la responsabilità è della comunità nella sua totalità.
Le risposte fornite al sondaggio Istat arrivano sia da uomini che da donne. Come afferma la scrittrice Michela Murgia, il problema sicuramente attiene a una diffusa cultura patriarcale. Ma come donne del nuovo millennio, oggi, abbiamo una responsabilità in più.
L’accesso alle informazioni è diventato evidentemente più semplice per tutta la popolazione italiana: internet e le nuove tecnologie nel campo della telefonia hanno spianato la strada alla possibilità di approfondire le notizie e di essere più informati su quanto accade intorno a noi ogni giorno.
E come donne non possiamo tollerare e foraggiare quella mentalità. Come donne istruite, come viaggiatrici, come lavoratrici e come esseri viventi non possiamo permettere che nella nostra mente persistano e si alimentino ancora quei preconcetti che prestano il fianco all’incedere della violenza.
Non ci sono gonne della lunghezza giusta, non ci sono scollature colpevoli, non ci sono donne serie e donne meno serie, non ci sono vittime che se la cercano, e vittime innocenti. Non ci sono schiaffi che fanno meno male di altri, botte e calci che possano trovare giustificazione. Non esistono forme di amore che hanno a che fare con la cultura dell’uomo cacciatore e della donna preda. Non ci sono donne meno ubriache, donne quasi consenzienti, donne che non provocano.
Quello che voglio dire è che oggi, molto più 50 o 60 anni fa, possiamo sapere cosa accade intorno a noi, conoscere le dinamiche, valutare i fatti con obiettività e farci un’opinione consapevole e priva di pregiudizi.
Questo, ovviamente, non significa che i pregiudizi spariranno o che la responsabilità dei femminicidi o degli stupri debba ricadere sulle nostre spalle in toto.
Ogni parte della comunità civile in cui viviamo, uomini e donne, istituzioni, ambienti scolastici e lavorativi, hanno una parte di responsabilità. Ma noi, come donne, abbiamo il sacrosanto obbligo di non girarci dall’altra parte, di non abbozzare, di non sederci dalla parte più comoda del selciato, di non giudicare e di non comportarci come pecore omologate.
Non esiste la dicitura “sesso debole” o “sesso forte”, eppure la troviamo ancora scritta ovunque.
Sta a noi attivarci perché definizioni di questo tipo non appaiano più su nessun dizionario.
Sta a noi, unite, spiegare a Umberto La Morgia, consigliere leghista di Casalecchio di Reno, che affermare che “Il 90% delle denunce di violenza di uomini su donne sono false e vengono archiviate intasando procure e tribunali”significa portare legna a un fuoco che arde già di suo: il fuoco della violenza.