Il suicidio del vigile e le colpe di tutti (di Selvaggia Lucarelli)
Si legge un po’ ovunque, oggi, che un vigile urbano si è suicidato “per la gogna social”, “per la bufera social”, “travolto dalla barbarie social” e così via, con una serie di titoli drammatici che fanno tornare alla mente Tiziana Cantone e l’impatto che il cameratismo 2.0 ha avuto sulla sua vita, sulle sue fragilità. In realtà la questione è piuttosto controversa e tocca una serie di punti che non riguardano solo i social, ma l’intero sistema della comunicazione oggi, perché se davvero quel vigile si è ucciso per la vergogna e per l’umiliazione, bisogna riflettere sul corto circuito, senza scomodare la solita espressione scema “bufera social”.
Secondo le prime ricostruzioni, il vigile urbano di Palazzolo sull’Oglio, in provincia di Brescia, si è suicidato a seguito di un episodio imbarazzante che gli era accaduto alcuni giorni fa. Il 24 gennaio infatti, Giovanni Manzoni, presidente della sezione locale dell’Associazione Nazionale Mutilati Invalidi Civili, sulla sua pagina fb aveva pubblicato la foto dell’auto del vigile parcheggiata in un posto riservato agli invalidi, con un commento piccato: “Erano in servizio?? Corsi universitari??? Sul parcheggio disabili chi non ha diritto si prende una contravvenzione e perde 2 punti dalla patente. A chi vanno tolti?”. Il vigile si era scusato inviando una lettera al presidente, affermando che la segnaletica lo aveva confuso ma che comunque si era auto-multato.
La notizia, vista la lieve entità del fatto, era rimasta circoscritta alla cronaca locale, ma è facile immaginare che comunque, per il vigile, la vicenda fosse stata piuttosto imbarazzante. Oggi è giunta la notizia del suo suicidio e i siti hanno scritto senza tanti giri di parole che è colpa della gogna social. Ora, la questione per la verità è molto più complessa ed è rischioso semplificarla così per varie ragioni. La prima è che in realtà, nelle poche pagine locali che riportavano la notizia giorni fa, non si trovano vere shitstorm, ma qualche sparuto messaggio critico, quindi è più facile pensare che il vigile si sia sentito mortificato per il fatto in sé, per l’onta della notizia che era diventata “pubblica” che per i commenti.
In secondo luogo, va detto che la denuncia su fb è stata fatta senza citare il nome del vigile e coprendo la targa della sua auto. Per molto meno, programmi tv arrivano col microfono sotto casa, costringendo il malcapitato a scappare e a vedere la propria faccia in tv come fosse il peggior delinquente della penisola, oltre che a leggere i commenti del pubblico da casa sulle varie pagine social del programma tv. È giusto? È sbagliato? Difficile rispondere, di sicuro, oggi, quello della valanga di commenti violenti sotto notizie di cronaca o servizi tv modello Iene è un qualcosa che sulle personalità fragili può avere un impatto violentissimo. È però piuttosto ingiusto additare i commentatori social come “la causa” di ogni male, in questi casi. Certo, le responsabilità sono individuali, ma i siti (a parte qualche eccezione) non moderano i commenti, i commenti creano flusso ed engagement, cancellarli vuol dire che qualcuno è investito del ruolo del “censore” ed è comunque impossibile arginare i messaggi d’odio in pagine che contano migliaia di contributi di commentatori al giorno. Quindi il problema è a monte.
Perché, però, il signor Manzoni presidente dell’associazione invalidi, sarebbe più responsabile di Corriere o Repubblica o Libero se il povero vigile si è suicidato “per la gogna”? (sempre che sia andata così) Di persone che si sono suicidate a seguito di una notizia uscita sui giornali ce ne sono tante, ma non si scrive mai che è colpa del giornale e della gogna social che ha scatenato, al massimo “della vergogna per il proprio gesto”.
Quella della macchina parcheggiata nello spazio per disabili è una notizia corretta, non un atto di bullismo o denigrazione gratuita o un’informazione manipolata per generare odio. Spesso anche Striscia o programmi giornalistici hanno realizzato servizi su questo tema. E qui veniamo al punto. Sulla pagina del presidente oggi alcune persone stanno scrivendo frasi come “ora una rosa la porti sulla tomba del vigile, così per decenza”, “Ecco quello che è successo per qualche like in più”, “Peccato che il povero agente non abbia sopportato tutte le accuse, le minacce e gli insulti, ricevuti sotto al post del vostro caro Manzoni! Il ragazzo si è suicidato. Sarete contenti ora!” e così via. In pratica, in un corto circuito surreale, ora Manzoni è vittima della gogna di chi lo incolpa della gogna che avrebbe portato al suicidio il vigile.
Queste persone, evidentemente, considerano improbabile che Manzoni sia così fragile da non reggere a questa accusa e suicidarsi. E se invece lo facesse? Se si sentisse schiacciato dai giudizi e dalla colpa, cosa diremmo? Che i giornali non dovevano riportare la notizia del suicidio del vigile perché hanno scatenato la gogna contro Manzoni? Ovviamente no, perché Manzoni ha utilizzato una pagina fb per la propria denuncia e quindi la sua era “gogna social”, gli altri sono mezzi di informazione a cui non si addossa mai alcuna colpa. Invece sarebbe utile leggere i commenti sotto notizie manipolate o titoli ad effetto ma ingannevoli o sotto servizi tv in cui lo spettatore è manipolato emotivamente con musichette drammatiche e inseguimenti fino al portone di casa e finisce per odiare quello che ha rubato la caramella a un bambino come fosse il mostro di Milwaukee. Si scoprirebbe quanta gogna, spesso, causa l’informazione, non il signor Manzoni su Facebook, al quale probabilmente con quel post di denuncia (legittima, diciamoci la verità) è successo di inciampare in una persona fragile.
Certo, chi scrive commenti d’odio fa la sua parte sempre, ma forse in questo caso il vigile non ha retto la macchia sull’uniforme, la pressione, la mortificazione. Succede alle persone sensibili, a quelle che non ammettono di sbagliare, a chi magari sta attraversando un periodo difficile, a chi è il peggior giudice di se stesso. Prima di dire “colpa della gogna social”, questa volta, cerchiamo di andare più a fondo. Perché anche questa superficialità, forse, è gogna.