Vademecum per capire la crisi al confine tra Polonia e Bielorussia
Il freddo intenso delle ultime settimane ha portato neve e ghiaccio ai confini tra la Polonia e la Bielorussia, il silenzio avvolge le poche auto lungo le strade che attraversano i boschi che punteggiano l’area, così raccontano i reportage internazionali. I profughi sono ancora qui, a centinaia, a circa quaranta chilometri da Białystok, città polacca del voivodato della Podlachia. Białystok è la decima città più grande della Polonia e la più estesa della Polonia nord-orientale lì, a pochi chilometri, simbolo di una possibile rinascita per quanti si trovano bloccati al freddo e al gelo tra la fitta vegetazione della foresta di Białowieża, tutto ciò che resta dell’immensa foresta che migliaia di anni fa si estendeva su tutta l’Europa.
Nelle ultime settimane i profughi sono stati respinti dalle guardie di frontiera polacche, un dramma di carattere umanitario che dura ormai da mesi. Dal 2 settembre Varsavia ha fatto scattare uno stato d’emergenza che istituisce una fascia di sicurezza profonda tre chilometri. La misura è scaduta alla mezzanotte del 30 novembre e quel pomeriggio stesso il governo aveva già adottato un decreto che, di fatto, lascia le restrizioni in vigore.
Ma cosa accade oggi lungo il confine?
Qui al momento nessun civile ha accesso, media, politici e personale di organizzazioni non governative, osservatori internazionali e operatori delle grandi organizzazioni umanitarie – come l’agenzia Onu per i rifugiati (Unhcr) – in questa “fascia di sicurezza” nessuno può entrare.
In Bielorussia la situazione dei profughi è drammatica, una notizia di poche ore fa segnala la morte di Avin Irfan Zahir, donna di 39 anni che con il marito e i 5 figli aveva raggiunto il territorio polacco ma, per timore di essere respinti, si erano nascosti nel bosco. Un’agonia di settimane, con un bimbo in grembo da sei mesi, morto venti giorni prima e il marito e gli altri cinque figli a non sapere come prendersi cura di lei.
Nello scontro tra Ue e Bielorussia, a rimetterci sono sempre i più fragili.
Il decesso della donna è stato registrato venerdì scorso in un ospedale polacco. I profughi, provenienti dalla provincia curdo irachena di Duhok, erano riusciti a prendere un volo per Minsk, con la promessa di un futuro in Europa senza più repressioni, minacce e ritorsioni. Anche Avin Irfan Zahir è rimasta per giorni nella foresta, tentando invano di raggiungere la Polonia. Storie che si aggiungono a quelle raccontante dai media negli ultimi mesi.
I boschi della foresta di Białowieża sono pieni di vestiti o altra roba abbandonata dai profughi, in gran parte donata dai volontari della Ong polacche spesso fermati dagli agenti che controllano loro i sacchi della spesa o, peggio, chiedono ai negozianti se qualcuno abbia fatto acquisti sospetti.
Il controllo, è evidente, è capillare. Inoltre, chi non ha un contratto di lavoro stabile o una ragione sufficientemente valida non può accedere all’area di confine. Poi ci sono amici o parenti che non possono più incontrarsi. Il governo, di fatto, sta distruggendo il tessuto economico e sociale di queste comunità.
Ma riavvolgiamo indietro il nastro.
Il 2 settembre 2021 la Polonia ha dichiarato lo stato d’emergenza nelle aree al confine con la Bielorussia di Aleksandr Lukašenko, presidente della repubblica presidenziale dal 1994, a causa del passaggio di migranti. Da quel giorno, migliaia di immagini hanno inondato media e social internazionali, istantanee di sguardi di donne e bambini persi nel vuoto tra foreste, fili spinati e cieli grigi pieni di solitudine.
Stato di emergenza che, come abbiamo scritto, è stato prolungato alla scadenza del 30 novembre scorso, già da ottobre infatti il parlamento polacco ha approvato una riforma del diritto d’asilo che autorizza la polizia di frontiera a respingere i profughi, violando il diritto internazionale. Il 7 ottobre i ministri dell’Interno di dodici Paesi dell’Unione Europea – Austria, Bulgaria, Cipro, Repubblica Ceca, Danimarca, Estonia, Grecia, Ungheria, Lituania, Lettonia, Polonia e Slovacchia – hanno chiesto a gran voce a Bruxelles di finanziare con fondi europei la costruzione di muri alle frontiere esterne. Ironia della “storia”: a quasi un mese dall’anniversario della caduta del muro di Berlino.
Ma questa è un’altra storia, proviamo a fare ordine.
La commissaria europea per gli Affari interni Ylva Johansson ha escluso, per adesso, questa possibilità, ma il 14 ottobre il parlamento polacco d’imperio ha autorizzato il finanziamento di una barriera contro i migranti al confine bielorusso. Anche Lettonia e Lituania hanno annunciato la costruzione di recinzioni lungo i propri confini, mentre il 15 novembre l’Ue ha deciso di espandere le sanzioni contro la Bielorussia, cui sono seguiti intensi colloqui telefonici tra Angela Merkel e Aleksandr Lukašenko.
In tutto questo il governo di Baghdad ha dichiarato che il 18 novembre ci sarebbe stato il primo volo di rimpatrio da Minsk, due giorni prima gli occhi del Mondo hanno puntato lo sguardo al confine militarizzato europeo per le immagini che vedevano coinvolti i migranti respinti dall’acqua gelida degli idranti su donne, bambini e umanità inerme. Per giorni i mezzi d’informazione bielorussi hanno diffuso immagini di centinaia di profughi nel centro di Minsk o in marcia verso la Polonia, le stesse immagini non sono verificabili, così come il numero dei migranti presenti nel Paese. L’accesso alla stampa indipendente in Bielorussia è infatti limitato, la “guerra ibrida” tra Minsk e Varsavia è soprattutto una guerra di propaganda, Minsk diffonde le foto delle carovane dirette alla frontiera europea, Varsavia risponde con immagini di soldati schierati dietro il filo spinato.
La “guerra di nervi”, così come mostrato dai reportage di queste settimane, sta sfibrando anche le popolazioni che vivono nei pressi del confine, spesso minoranze etniche, travolte dal dramma di migranti arrivati da lontano e stravolti dal freddo delle ultime settimane.
Tanta disperazione tra sguardi pieni di paura
“Il confine polacco è chiuso. Le autorità bielorusse vi stanno raccontando bugie. Tornate a Minsk e non prendete nessuna pillola dai militari bielorussi”, questi i testi inviati dal governo polacco tramite sms a tutti coloro che si trovano al confine. Pillole presunte distribuite dalle autorità bielorusse di cui tuttavia non c’è nessuna conferma. Tra il 12 e il 13 novembre le guardie bielorusse hanno anche usato laser e torce elettriche per accecare quelle polacche, difficile prevedere a cosa porterà questa escalation ma è certo che migliaia di persone, come detto, ne stanno pagando un prezzo altissimo. Nei boschi intorno al tratto militarizzato si sono organizzati rifugi in vecchie abitazioni o capanne di legno abbandonate, basi ideali per i volontari che preparano tè caldo, coperte, scarpe, abiti pesanti, acqua e medicine da distribuire ai migranti nella foresta. Situazione complicata per gli stessi volontari, le autorità non vedono bene le loro attività e aggressioni e minacce sono continue.
Il governo conservatore polacco
Il governo polacco, guidato dal primo ministro Meteusz Morawiecki del partito Diritto e giustizia PIS, ha sempre avuto posizioni fortemente contrarie all’immigrazione e ha tollerato il proliferare dei gruppi neofascisti e nazionalisti che fanno una propaganda molto aggressiva contro gli stranieri, spesso ragazzi molto giovani e ultras delle squadre di calcio. In Polonia orientale convivono, spesso non pacificamente, diverse minoranze e religioni: ebrei, musulmani, cattolici, ortodossi, ucraini, russi, bielorussi, rom, tatari. Ogni cambiamento rischia di riaccendere vecchie ferite e conflitti sopiti dal tempo circa la “vera identità” polacca. Ciò spiega perché molti hanno aperto le porte ai rifugiati e altri si sono sentiti minacciati dal loro arrivo.
Come arrivano i migranti?
Da Ebril, in Iraq, i migranti di solito viaggiano in aereo fino a Baghdad e poi proseguono per la Bielorussia facendo scalo a Damasco, a Dubai o a Istanbul, mentre dal Libano i migranti vanno via terra fino a Damasco e poi volano a Minsk direttamente o via Istanbul.
Cosa vuole Aleksandr Lukašenko?
Il presidente bielorusso vuole convincere l’Unione Europea a sospendere le sanzioni economiche imposte al suo Paese dopo il giro di vite contro l’opposizione che dall’agosto del 2020 contesta la sua sesta vittoria alle elezioni presidenziali, secondo alcuni rapporti nelle carceri bielorusse sarebbero imprigionati circa ottocento oppositori politici, numeri importanti. In realtà, secondo diversi analisti dell’area, Lukašenko sta cercando di costringere la Russia a sostenere il suo regime e rendersi insostituibile agli occhi di Mosca. Le azioni dell’apparato di sicurezza bielorusso suggeriscono che per Lukašenko è importante alimentare la tensione al confine con la Polonia. Gli aerei militari russi, del resto, stanno già sorvolando l’area al confine mostrando la determinazione di Mosca “difendere il popolo bielorusso”. Il resto è facile da prevedere, l’introduzione della legge marziale, l’ingresso delle truppe russe in Bielorussia col pretesto di difendere i confini dello Stato alleato. E poi? Perché Lukašenko non firma subito un accordo per l’ingresso della Repubblica di Bielorussia nella Federazione russa? Le sue risorse non bastano più e il peso delle sanzioni è destinato ad aumentare, questo Putin lo sa.
Cosa succederà se la provocazione al confine polacco otterrà il suo effetto e la fanteria russa entrerà temporaneamente nella Repubblica di Bielorussia?
La Russia acquisirebbe di fatto il controllo sulla Bielorussia, l’integrazione militare sarebbe seguita da quella delle istituzioni civili, Lukašenko diventerebbe insostituibile per Putin, perché la legittimità della presenza russa dipenderebbe dal suo consenso. Fantapolitica?
Intanto i nodi della politica, in queste e nelle prossime ore, continueranno a intrecciarsi sempre di più con quelli della crisi umanitaria che ancora una volta l’Unione Europea si trova a gestire, fino adesso – nonostante la grande esperienza della Merkel (alla fine della sua corsa) – in maniera poco incisiva.
Fuori, nei boschi, continua a nevicare e il freddo ha appena iniziato il suo lungo inverno.