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Non cercate scuse: quest’anno, con l’emergenza Covid, le vacanze andavano fatte in Italia

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Credit: Ansa

Qualche giorno fa ho scritto un post su Facebook di poche righe: “A tutta ‘sta gente che è andata a cercare il mare in Spagna, a Malta, in Grecia, ma io dico: c’è buona parte dell’Italia semi-vuota, abbiamo uno dei mari più belli del mondo: nel mezzo di un’emergenza sanitaria mondiale, era proprio necessario dover mettere i piedi in acqua prendendo aerei e costringendo ora, il paese e quindi noi, a spendere altri soldi per controlli e test al vostro rientro (per giunta idea inutile, tanto ti puoi ammalare pure qui)?. Io dico che se per un’estate vi facevate il bagno a Cala Gonone anzichè a Ibiza, sopravvivevate comunque eh”.

Francamente, non pensavo di aver innescato chissà quale polemica, e invece è scoppiato un putiferio. Tra persone che approvavano, altre che rivendicavano il loro diritto di andare all’estero, insulti e riflessioni interessanti, alla fine le osservazioni più ricorrente degli esterofili in tempo di Covid erano due: “Se sei incosciente ti puoi ammalare ovunque, sia a Spalato che a Rimini” e “con i prezzi degli hotel in Italia, all’estero ci faccio un mese di vacanze”. Osservazioni in entrambi i casi abbastanza corrette, che in realtà avevano poco a che vedere con quello che avevo scritto, ma che meritano un ulteriore riflessione.

È vero che i comportamenti individuali fanno la differenza e che un irresponsabile è un irresponsabile a Gabicce come a Zara, ma la questione è un’altra. Non si tratta di calcolare con quale probabilità ci si possa ammalare in un determinato paese (il virus è ovunque, le persone si spostano, il caso – anche – gioca sempre un ruolo importante), ma di capire che in questo momento di improvvisa ripresa di scambi, flussi, spostamenti, c’è una gigantesca incognita con cui si fa i conti sempre, anche quando ci si spalma la crema solare su una spiaggia deserta delle Sporadi. Non sappiamo, oggi, dove e come scoppieranno nuovi focolai, quali paesi subiranno prima e in maniera più massiccia nuove ondate (l’Iran è già al secondo giro, Spagna e Germania contano già più di mille nuovi contagi al giorno, la Grecia che se l’era scampata ora fa i conti con lo spettro di una nuova emergenza, buona parte dei Balcani è in una situazione critica e così via).

Noi siamo, tutto sommato, tra quelli che al momento hanno la situazione abbastanza sotto controllo, nonostante le discoteche affollate e precauzioni non sempre adottate con grande scrupolo. Durerà? Boh. E il boh vale per tutti. Solo che se ti ammali in Italia, sei in Italia. E qui sta il punto. Ammalarsi in Grecia, su un isolotto nell’Egeo, non è la stessa cosa che ammalarsi qui. Per gli altri, intanto, perché se sei asintomatico, fai il giro di aerei, traghetti, taxi, treni e così via. Si potrebbe replicare che questo vale anche se vai in Sardegna o Sicilia o all’Elba, ed vero. Ma se ti ammali e stai male all’estero, poi ti trovi a fare i conti con la sanità locale. Se quell’isola, quartiere, cittadina, diventa zona rossa, resti lì. Se in quel paese subentrano normative più stringenti, finisci in balia di quelle normative, che come nel caso attuale di Grecia, Spagna, Malta e Croazia per ora prevedono l’obbligo di test rapidi al rientro in Italia. Che potrebbero prevedere anche quarantene in futuro, che sono variabili e imprevedibili.

Già mi immagino, in casi funesti, le proteste sgangherate degli italiani all’estero che “ci avete abbandonati”, “la Farnesina non risponde”, “mandateci un aereo”, “qui l’ospedale è fatiscente”. “ho due bambini piccoli!” e così via. Me li ricordo alcuni italiani partiti il 7 marzo, alla vigilia del lockdown, per destinazioni esotiche, su navi da crociera, in giro per il mondo, a protestare giorni dopo perché questo paese egoista e disorganizzato non se li andava a riprendere in Brasile o in Spagna. Ecco, tutto questo per fortuna al momento non è capitato. È capitato, intanto, che quelle migliaia di test rapidi agli italiani che hanno fatto le vacanze nei paesi citati, costeranno un po’ di soldi allo stato e quindi come al solito a noi contribuenti, ma amen.

Mi domando però perché non porsi questi problemi, durante un’emergenza sanitaria mondiale. Perché rischiare, perché complicare ulteriormente un momento complesso a chi (lo Stato) deve gestirlo con risorse modeste e preoccupazioni enormi. La risposta è: non ci ho pensato? Chi se ne frega? Ho valutato pro e contro? No, o almeno no nella maggior parte dei casi. E qui veniamo al secondo punto: “Eh ma due settimane in Spagna/Grecia/Croazia/Malta costano la metà, anche meno, che in Italia!”, è la replica più frequente. Segue, molto spesso, l’accusa più o meno velata ad albergatori e operatori del settore turistico, di lucrare, di essere sanguisughe e così via.

Che in Italia il costo medio degli hotel con determinati servizi sia molto più alto che nei paesi citati è vero e di sicuro ci saranno anche strutture che non meritano quei soldi, ma il punto è un altro. Cosa cerca chi va sull’isolotto greco? Il mare, la casa carina, l’hotel vicino alla spiaggia, la passeggiata sul molo la sera (ci sono isole greche stupende e la Grecia è speciale, non fraintendete, ma nella maggior parte degli isolotti non c’è nulla oltre il mare e le casette bianche). Ecco, il modo per non spendere cifre astronomiche in Italia ad agosto c’è, ma spesso è un altro tipo di vacanza ed è una vacanza di cui a un sacco di italiani non frega nulla.

Ci sono regioni semi-dimenticate, con agriturismi e strutture bellissime a prezzi onesti, ci sono paesi e siti archeologici da visitare, ci sono mille possibilità per fare vacanze in Italia che non siano l’uno sull’altro in spiaggia in Salento o in Romagna. Che poi, anche lì. Il Salento non è solo Gallipoli, la Romagna non è solo Riccione, ma non è qui che affronteremo il tema. Il tema principale è: quindi, l’aspetto economico è un buon motivo per non valutare i rischi sanitari che si corrono quando ci si trova in un altro paese? Noi italiani non siamo quelli che si indignano per Alzano Lombardo perché si è barattata la salute con la produttività? Ecco, forse non siamo poi tanto diversi da chi ha cinicamente deciso che ci sono delle priorità economiche, talvolta, che scavalcano anche la salute.

E inoltre: non eravamo quelli in pena per gli albergatori, per i ristoratori, per i commercianti, per tutte le attività che in tre mesi di chiusura hanno sofferto e che senza una ripresa degli affari, chiuderanno (a parte chi ha già chiuso)? Ora, quegli stessi albergatori/ristoratori, sono tornati ad essere degli stronzi succhiasoldi da cui non farsi fregare, vuoi mettere gli spagnoli? Che è un po’ come la faccenda dei medici tutti eroi, a cui stanno per arrivare chissà quante cause. Ci sono operatori nel turismo scorretti o incapaci di essere competitivi, è vero, ma forse dovremmo ricordarci quante tasse pagano i proprietari di strutture turistiche qui, quanto costa il personale qui e tutto quello di cui ci ricordiamo quando ci fa comodo, quando tocca il nostro orticello, quando serve ai nostri discorsi populisti.

Chiedetevi quante tasse paga un albergatore alle Canarie e quante un albergatore a Positano, poi ne riparliamo. “Prima gli italiani”, sì, ma se in Grecia una settimana mi costa meno, “prima i greci”. Siamo tornati egoisti? Non lo so. Sto dicendo che non dobbiamo riprendere a viaggiare? No. Io viaggio moltissimo e senza poter viaggiare nel mondo mi sento amputata. Ma come sempre, nelle difficoltà, questo periodo incerto e complicato, offre molte possibilità: scoprire quell’Italia che abbiamo trascurato, essere generosi nei confronti di chi, in Italia, ha bisogno di una stanza occupata o un souvenir acquistato per arrivare vivo a settembre, evitare di essere un’ulteriore spesa o problema per questo paese che ha molti difetti, ma anche un innegabile pregio: quello di sapersi risollevare. Ecco, questa volta, se non collaboriamo, rischiamo di vederlo a terra per un po’. E le vacanze, a settembre, finiscono.

Leggi anche: ScuolaZoo e i ragazzi tornati a casa col Covid: quelle vacanze a rischio da Gallipoli a Corfù 

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