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Il golpe di Trump (di Luca Telese)

Immagine di copertina
Credit: Emanuele Fucecchi

Capitol Hill nelle mani dei rivoltosi. La certificazione del voto sospesa. Una donna morta e alcuni feriti negli scontri, armi nelle mani dei “Proud boys” che passeggiano sulle scalinate della democrazia americana, mentre gli occhi del mondo restano incollati a una diretta di cui nessuno può prevedere l’esito finale. Non è il quarto episodio di “Attacco al potere”, o una nuova serie distopica di Netflix: sta accadendo, e sta accadendo adesso.

Joe Biden ha parlato, ma il suo è stato un discorso debole, probabilmente frenato da preoccupazione e prudenza, farcito di citazioni senza sangue e mezze frasi retoriche. Donald Trump ha fatto un breve video, pieno di ambiguità, in cui ha ribadito che le elezioni non sono regolari, ma dove ha chiesto si suoi fan di “restare pacifici”. Non lo ha preso sul serio nessuno, ovviamente.

“Il trumpismo” sopravvive alla sconfitta di Trump, come un genio maligno che esce da una lampada. Quel che resterà di questa folle serata, dunque, l’immagine che non potremo dimenticare, è quella di un Parlamento occupato per la prima volta nella storia americana. Un’Aula che diventa un bivacco per dei manipoli, una Guardia Nazionale troppo a lungo assente, le istituzioni in tilt nell’ora più delicata.

Gli Stati Uniti non possono riconoscere quello che in 240 anni non avevano mai visto. Ma noi sì. Tecnicamente si chiama golpe, e in Europa ne abbiamo visti tanti.

Quello di stasera, anche se mancano i militari, ricorda quel che fu tentato mezzo secolo fa in Italia dal Principe nero Junio Valerio Borghese. Il tentativo fu portato a compimento nella notte dell’Immacolata del 1970 e – come è noto – fallì, anche se gli insorti riuscirono a penetrare dentro il Viminale, ad occupare per alcune ore il Ministero dell’Interno, a sottrarre una mitraglietta.

Un golpe fu tentato anche in Spagna, quando nel febbraio del 1981 i nostalgici franchisti, guidati dal colonnello Tejero occuparono il Parlamento e spararono nell’Aula.

Oggi l’America scopre quello che l’Europa e il Sud America hanno imparato nel secolo Novecento, e si scopre del tutto impreparata.

C’è dunque qualcosa di surreale in questa contraddizione: vittime che rimangono esanimi al suolo e manifestanti armati che si fanno le foto dentro le aule, come se fossero in gita, da turisti nell’ufficio di Nancy Pelosi.

Tuttavia non bisogna farsi ingannare. Questo golpe di apprendisti stregoni non nasce dal nulla: è figlio del fatidico “state pronti” pronunciato in campagna elettorale. È il frutto avvelenato del mito della vittoria negata, coltivato dal presidente uscente per mesi, con tenacia ed ostinazione.

Ecco perché il Trump che nel suo messaggio provava a mostrarsi vittima è in realtà il regista di questa manifestazione eversiva. Certo, il 20 gennaio, quando Biden prenderà il potere, molti di coloro che oggi giravano con il fucile e il telefonino a Capitol Hill potranno ritrovarsi molto facilmente in carcere.

Ma la prima lezioni dei golpe è che, quando falliscono, sembrano tutti tentativi da operetta. Mentre quando non falliscono, portano sempre a delle dittature. L’America forse, nei prossimi giorni, si libererà di questa immagine: ma non si libererà di questo virus, almeno finché Trump non riconoscerà la sua sconfitta.

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