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In Europa può rinascere dal basso un nuovo umanesimo contro la barbarie delle élites

Immagine di copertina
Credit: AGF

L’élite politico-burocratica odierna incarna la barbarie della storia europea: suprematismo bianco e colonialismo, nazionalismo basato sulla purezza religiosa, poi etnica. Gli attuali movimenti e partiti del dissenso possono essere i motori di un'alleanza transnazionale europea, alimentata da tutti esclusi dalla società classista e bellicista in costruzione

Non ci sono molte alternative per chi oggi voglia dare un senso al proprio contributo al dibattito pubblico e non rinunciare alla dimensione collettiva nonostante i tempi cupi presenti. Bisogna denunciare la barbarie per poter sperare in una rinascita dell’umanesimo in Europa.

Come avevo anticipato, vorrei concentrarmi oggi sul dover essere e fare appello al mitico ottimismo della volontà gramsciano.

I due conflitti russo-ucraino e israelo-palestinese sono stati importanti in quanto hanno illuminato la corruzione dello spazio politico-mediatico occidentale e la commistione tra dollaro, oligarchia delle finanze e classi dirigenti europee. Il tradimento degli interessi dei popoli europei e degli ideali di pace e prosperità sono stati possibili in virtù del “hackeraggio” delle classi dirigenti, del ricatto dell’élite finanziaria europea i cui flussi di denaro verso i paradisi fiscali statunitensi sono tracciabili in internet, della creazione di una società dell’un per cento transnazionale che individua il proprio interesse nella militarizzazione del dollaro e non nella ricchezza nazionale. Ne abbiamo già abbondantemente scritto su questa testata e non vi ritorno.

Questo spiega il comportamento dell’élite tedesca che insegue interessi statunitensi e ha costretto il Paese in ginocchio. Il pericolo nucleare non è mai stato così vicino in precedenza. Insieme al disastro climatico ha aumentato il sentimento di precarietà. L’indignazione morale è emersa in una società civile dormiente, grazie alla diretta televisiva e social dello sterminio di innocenti in Palestina. Si tratta di fattori che potrebbero divenire dirompenti.

Il potere della lobby di Israele sulla politica statunitense e i pesanti condizionamenti che essa impone sulla gran parte della classe dirigente europea nonché sui media occidentali non sono mai stati così evidenti. I molteplici appelli alla comunità ebraica, che sulla scia di quello di Franco Fortini nel 1989, e recentemente della bella lettera di Raniero La Valle, affinché si distingua tra critiche al Governo di Israele e antisemitismo, al fine di non creare confusione e seminare odio e violenza, sembrerebbero cadere nel vuoto. La parzialità della stampa, dei governi occidentali, data la spietatezza dello sterminio di vittime innocenti (i 15.000 bambini morti potrebbero riempire uno stadio) appare ormai blasfema, inaccettabile.

Le contraddizioni del capitale sono altrettanto ingovernabili. Il sistema basato sul minotauro, il debito americano, implode. Sono sconfessati i principi cardine del liberismo economico. L’Occidente si arrocca, chiude le porte al commercio, sceglie il protezionismo per proteggere le proprie inefficienti economie e pone fine alla globalizzazione temendo il rivale strategico, la Cina, e l’avanzata degli emergenti. Il mondo multipolare appare netto all’orizzonte a Kazan, costruito su logiche cooperative e non unipolari.

In questo quadro qualcosa finalmente può cambiare se la società civile consapevole, i movimenti e i partiti del dissenso, riescono a unirsi su un progetto comune il cui spartiacque non può non essere l’opposizione ai conflitti e alla politica neo-conservatrice statunitense.

L’opinione pubblica può divenire uno dei fattori determinanti per la svolta in Europa. I Paesi del cosiddetto nocciolo duro, fondatori e mediterranei, potrebbero costituire una opposizione al progetto delle oligarchie delle armi e finanziarie che si esprimono attraverso Rutte e la Von der Leyen.

La burocrazia della Nato e dell’Europa vogliono la guerra permanente nel continente a spese delle società civili europee. Il 2% del Pil in armamenti decreta la morte dello Stato Sociale e la fine di ogni vera contrattazione tra capitale e lavoro. La guerra permetterà la graduale trasformazione dell’oligarchia liberale nell’autoritarismo le cui ombre già appaiono nel settore dell’informazione. Basti pensare alla censura dei media russi, alla fine delle competizioni sportive con Mosca, addirittura ai convegni universitari annullati.

Attraverso il dissenso unito, in grado di far votare gli scettici, i popoli dell’Europa continentale e mediterranea potrebbero influenzare un processo virtuoso fondato sul rifiuto della militarizzazione del dollaro, sul ritorno alla diplomazia e al dialogo con la Cina, la Russia e gli emergenti.

I Brics aprono la strada per una riforma del multilateralismo. L’Europa può divenire il principale interlocutore del passaggio al mondo multipolare, cooperativo, interculturale e interreligioso, in grado di accettare paritariamente culture diverse. La logica del dominio lascerebbe il posto al coordinamento multilaterale basato sulle regole.

L’identità umanistica europea non può essere cancellata da questa parentesi barbarica che vede burocrazie e oligarchie disegnare progetti genocidari e suprematisti. Si può ritornare al bene comune, alla diplomazia non a somma zero, predicata attualmente da leader socialisti, democristiani e liberali che hanno tradito le loro più nobili tradizioni. Cosa altro è la pace giusta a cui si riferiscono gli attuali esponenti politici se non il ripudio della tenace opera di mediazione che sulla base di fattori militari, politici, economici cerca di produrre ritorni per quanto possibile vantaggiosi per entrambe le parti in guerra?

Le “win win situations” coniate dal pragmatismo anglosassone sembrano escluse dall’Europa messianica, delirante, nazionalista e militarista. Gli slogan dei falchi come l’ex ministro svedese Bildt e l’attuale segretario generale della Nato Rutte, ripetuti da tanti politici europei, dall’accademia, dalla stampa, basati sull’esigenza del riarmo per rispondere alla minaccia russa e cinese, sono privi di fondamento. La politica imperiale statunitense ha creato un blocco di nemici ( Cina, Russia, Iran, Corea del Nord) trasformando l’Ucraina in una anti-Russia, armando Taiwan, isolando l’Iran contro cui si è cercato di costituire una alleanza di Paesi arabi sunniti. Il divide et impera statunitense assicura il vassallaggio degli alleati.

I Brics hanno in gran parte problemi di sviluppo economico e puntano sulla cooperazione, l’interconnettività, le infrastrutture, i trasporti. La Cina non ha oggi miti imperialistici. Il militarismo di Pechino è indotto dall’Occidente. È una risposta al riarmo e al nazionalismo di Taiwan, pompato da Washington. La diplomazia dei Brics funziona. La competizione oggettiva tra Cina e Russia in Eurasia ha trovato nella cooperazione uno sbocco. La Cina e l’India, tradizionali antagoniste, sono state in grado di mediare. L’equilibrio di interessi è emerso perfino tra Arabia Saudita e Iran.

Nella genetica dell’Europa, la Venere di una volta, un mosaico di culture e di qualità della vita, culla dell’umanesimo cristiano e laico, dello spiritualismo ebraico, è presente questa aspirazione alla cooperazione, all’universalismo dei valori, al bene comune. L’élite politico-burocratica odierna incarna la barbarie della storia europea: suprematismo bianco e colonialismo, nazionalismo basato sulla purezza religiosa, poi etnica, (si è passati dalle guerre religiose che prepararono la pace di Westfalia allo sterminio nazista).

Gli attuali movimenti e partiti del dissenso possono essere i motori di una alleanza transnazionale europea, alimentata dal blocco sociale dei perdenti, dalla piccola industria ai migranti, dai blu collar agli studenti, al ceto medio impoverito, ai pensionati, agli abitanti delle periferie, agli operatori agricoli, ai liberi professionisti senza più professione, tutti esclusi dalla società classista e bellicista in costruzione.

Il risveglio degli intellettuali sarebbe essenziale al cemento politico-culturale della nuova Europa sociale, realmente liberale, forte nei beni comuni, dialogante con gli emergenti per la riforma del multilateralismo politico e economico, in grado di costruire la propria autonomia strategica, fondata sui reali interessi dei popoli europei, per poter perseguire, in una prospettiva strategica, la neutralità auspicata dal filosofo Morin.

L’identità europea sarebbe quindi il destino comune. La salvezza dall’olocausto nucleare, dall’autoritarismo che avanza, dalla società digitale di sorveglianza, dalla distruzione della cultura umanistica, del senso di comunità, della solidarietà sociale, della pietas cristiana, ecco la ricerca di questa salvezza potrebbe unire i popoli dell’Europa.

Una svolta da costruire con i Paesi più affini dell’Europa continentale e mediterranea, estendibile alle forze politico-culturali socialdemocratiche, cristiane e liberali che ancora sopravvivono all’omologazione neo-liberistica, nazionalistica, militaristica e classista odierna.

L’informazione rimane la prima battaglia. L’European Digital Act è stato il primo passo di una censura che chiuderà gli esigui spazi rimasti. Anche in questo settore ci sarebbe bisogno di economie di scala, di federare i vari canali youtube, le radio e le tv indipendenti, al fine di avere fondi sufficienti per la comunicazione che raggiunga un’ audience competitiva a quelle plasmate dal mainstream. Questo mi sembrerebbe il dover essere che potrebbe guidare l’azione politica a ampio raggio, il lungo operoso cammino verso una rinascita umanistica.

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