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Ucraina: la sudditanza alla Nato ormai è un dogma. Chi osa criticarla è bollato come filo-Putin

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I presidenti di Stati Uniti e Russia, Joe Biden e Vladimir Putin. Credit: EPA/DENIS BALIBOUSE / POOL/ANSA

Sebbene tra i principali compiti del Presidente della Repubblica vi sia la difesa dell’unità nazionale (art. 87), della Repubblica Italiana e della Costituzione (art. 91), molti politici ritengono che in primis il Capo dello Stato debba essere un tenace paladino dell’atlantismo e dell’europeismo. «Quando parlo di atlantismo mi riferisco a quello che sta accadendo fra Ucraina e Russia. Dobbiamo difendere l’Ucraina. Abbiamo bisogno di qualcuno che unisca il Paese, come ha fatto Mattarella, e che sappia rassicurare e che sappia riaffermare chiaramente l’atlantismo dell’Italia». Così parlava Enrico Letta, ovviamente ad un’emittente americana, lo scorso 25 gennaio, uno dei giorni più caldi della settimana dedicata all’elezione del nuovo (che poi nuovo non è stato) Presidente della Repubblica.

Nelle stesse ore Matteo Renzi gli facevo eco: «Sulla questione della collocazione internazionale dell’Italia non si scherza, Italia Viva non sosterrà candidati che non abbiano un profilo in purezza europeista e atlantista. Lo dico con chiarezza: su questo punto faremo le barricate». Guai a fare le barricate per ottenere un Presidente che difenda la Costituzione, quella stessa Costituzione che definisce l’Italia una Repubblica fondata sul lavoro (art.1), quella stessa Costituzione che ritiene che la Repubblica debba rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che impediscono il pieno sviluppo della persona umana (art. 3), quella stessa Costituzione dove è sancito un principio chiaro: il ripudio della guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali (art. 11).

Per carità, ognuno ha le sue opinioni, tuttavia sarebbe utile ricordare che la Costituzione sulla quale il Capo dello Stato ha l’obbligo di giurare fedeltà, venne approvata il 22 dicembre del 1947, prima del Patto Atlantico che diede origine alla NATO (1949) e prima dei trattati di Roma (1957), Maastricht (1992) e Lisbona (2007) che negli anni hanno consentito la costruzione della Comunità europea. Quella Comunità europea le cui regole, molto spesso, sono risultate antitetiche ai principi contenuti nella prima parte della Carta costituzionale.

Nel paese europeo nettamente più realista del re (o dell’impero) pare si possa mettere in discussione ogni cosa: il ruolo del parlamento, quello della magistratura, le decisioni prese dal Popolo italiano grazie ai referendum, le stesse prerogative del Capo dello Stato. Tutto fuorché, non dico l’appartenenza, ma addirittura l’assoluta fedeltà alla NATO. La sudditanza alla NATO è diventato un dogma e chiunque, oltretutto nonostante i fallimenti in Afghanistan, in Iraq, in Siria (senza mai dimenticare i vergognosi bombardamenti su Belgrado), osi metterla in discussione, viene trattato da eretico o bollato come filo-Putin o filo-cinese.

La questione ucraina è molto complessa e chi cerca di semplificarla è in malafede. Dal Dipartimento di Stato USA partono veline propagandistiche. L’ordine che viene dato ai giornali di mezzo mondo, a politici pavidi o a sedicenti intellettuali che preferiscono guinzaglio e corposi conti in banca alla libertà è chiaro: “Dovete sostenere il principio di autodeterminazione dell’Ucraina. L’Ucraina ha tutto il diritto di avvicinarsi al blocco occidentale nonché il diritto ad entrare a far parte della NATO”. Come a dire: “Ogni Paese ha il sacrosanto diritto di scegliersi il proprio sistema di governo senza esser soggetti a nessuna ingerenza esterna”. Io credo fortemente in tale principio, ma ci credo sempre, non a corrente alternata.

Possono gli Stati Uniti d’America utilizzare tale principio per difendere le proprie posizioni geo-politiche?

Cosa accadrebbe se Andrés Manuel López Obrador, Presidente del Messico, autorizzasse l’istallazione di basi militari russe o cinesi negli Stati di Sonora o Chihuahua al confine con il Texas o l’Arizona? A Washington si parlerebbe più di “minaccia imminente” o di “autodeterminazione dei popoli”?

La diplomazia, arte oggi come mai fondamentale, va esercitata senza violenza e senza ipocrisia.

Gli USA hanno concesso ai vietnamiti l’autodeterminazione? L’hanno concessa ai guatemaltechi quando elessero Arbenz? Agli iraniani all’epoca di Mossadeq? A Fidel Castro che aveva, sul campo, trionfato nella rivoluzione cubana? Accettarono le scelte dei cileni quanto questi votarono Allende?

«La guerra non si può umanizzare, si può solo abolire» disse Einstein. Ma vale per tutte le guerre, anche per quelle “umanitarie”, anche per quelle mascherate da missioni di pace, anche, e soprattutto, per quelle dichiarate dall’impero.

Dal 24 marzo al 10 giugno del 1999 Belgrado venne investita da migliaia di tonnellate di bombe. I raid della NATO avevano, ancora una volta, una sola motivazione: quella geopolitica. Quei raid diedero inizio al ventennio delle guerre umanitarie. Quei raid servirono agli USA a mostrare alla nascente Comunità europea la loro forza. Quei raid colpirono la Serbia, uno storico alleato della Russia, in un momento in cui la Russia era particolarmente debole (l’allora Presidente della Federazione russa era Boris El’cin, Putin sarebbe arrivato poco dopo).

Quei raid, oltretutto avallati dal governo D’Alema, il primo presieduto da un ex-comunista, consentirono agli USA di rafforzare la loro presenza militare in Europa. In Kosovo, infatti, nel distretto di Ferizaj, c’è Camp Bondsteel, una delle basi militari USA più grandi al mondo. Non lontano dai luoghi che diedero i natali ad Alessandro Magno, oggi, di fatto, comandano gli americani.

Gli USA hanno oltre 70.000 soldati di stanza nel Vecchio continente. Ci sono militari americani in Italia, in Germania, in Grecia, in Turchia, in Belgio, in Gran Bretagna, in Islanda, in Olanda, in Romania, in Bulgaria, in Bosnia. La United States Air Force ha persino una base in Groenlandia. Inoltre sono in via di realizzazione installazioni militari in Polonia, in Lettonia, in Estonia, in Lituania. In paesi che un tempo o facevano parte dell’Unione Sovietica o erano da essa “influenzati”. Tra l’altro, dove ci sono soldati USA ci sono anche agenti segreti della CIA o della National Security Agency.

Ripeto, cosa accadrebbe se la Federazione russa concludesse una serie di accordi per istallare basi militari in Venezuela, a Cuba, in Messico, in Guatemala, in Nicaragua, in Honduras, nel Salvador o in Colombia?

Da tempo sostengo che la ragione politica (più che economico-finanziaria) per la quale venne pensata la Comunità europea, ovvero un legittimo desiderio di affrancamento dal dominio USA è restata sulla carta. Oggi il Vecchio Continente appare sempre più vecchio, indolente, smarrito. Appare sempre più quel vaso di coccio costretto a viaggiare tra vasi di ferro. In fondo, dopo decenni, non vi è nulla fuorché l’euro.

Non vi è una politica estera comune, non v’è la forza di opporsi a diktat americani terribilmente contrari agli interessi europei (vedi le sanzioni all’Iran), non vi è neppure il tentativo di ottenere un seggio permanente, come UE, all’interno del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite benché alcuni politici (lo fece anche Conte da Presidente del Consiglio) abbiano, giustamente, sollevato la questione.

Ora, con milioni di cittadini costretti a spegnere i riscaldamenti perché impossibilitati a pagare le bollette, al posto di rivendicare una legittima autonomia politica, la stragrande maggioranza dei leader europei preferisce scimmiottare Biden. E questo nonostante gli errori commessi in Afghanistan; le bugie dette da Powell sulle armi di distruzione di massa in mano a Saddam Hussein (il quale le aveva avute, tra l’altro provenienti in larga parte dai Paesi occidentali, ma le aveva già usate per trucidare i curdi ad Halabja nel silenzio generale); l’indecente guerra in Libia combattuta non per salvare i libici da Gheddafi ma per uccidere il rais che aveva piani anti-imperialisti in Africa.

«Tutti coloro che dimenticano il loro passato, sono condannati a riviverlo», scrisse Primo Levi. «There is nothing more grotesque than a media pushing for war» ha scritto pochi giorni fa Edward Snowden.

Mi auguro (e credo) che per quanto riguarda la crisi ucraina il buonsenso prevalga. Ma con esso dovrebbe prevalere la verità il cui contrario, soprattutto oggi, non è la menzogna, ma l’ipocrisia. L’ipocrisia di chi sostiene, senza alcun spirito critico, ogni decisione presa dalla NATO, dunque da Washington, facendo finta di ignorare che se al posto di Putin ci fosse stato un qualsiasi Presidente USA – da Bill Clinton, colui che riportò la guerra in Europa 54 anni dopo la fine del secondo conflitto mondiale, fino al Premio Nobel Obama che diede l’ordine di bombardare la Libia 529 giorni dopo aver ricevuto la prestigiosa onorificenza – sarebbero già partiti migliaia di missili.

L’ipocrisia di chi si augura “un Presidente europeista ed atlantista” ergendosi a statista quando altro non è che un portavoce del padrone.

Alcuni giorni fa, un Romano Prodi svincolato da dogmi e precetti atlantici, ha espresso concetti ampiamente condivisibili. Ha suggerito di concludere con la Russia accordi a lungo termine sulle forniture di gas che possano da un lato “rassicurare” Mosca e dall’altro abbassare i prezzi per i consumatori italiani. Ha ribadito la fedeltà alla NATO sostenendo, tuttavia, la sacralità degli interessi nazionali. E, per finire, ha sostenuto che la gestione dei confini della NATO sul fronte orientale dovrebbe essere una questione “europea”. Come a dire, una cosa è la NATO, altro l’Unione europea. Ripeto, concetti ampiamente condivisibili.

L’errore più grande che possa commettere oggi l’Unione europea è demonizzare la Russia spingendola tra le braccia della Cina. In tal caso il vaso non sarebbe più di coccio ma di vetro soffiato. Infinitamente più fragile.

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