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In marcia per la pace: dall’Italia all’Ucraina, è l’ora del coraggio (di A. Ciaccheri)

Immagine di copertina

Finora hanno parlato solo le armi. Ma una ostinata operazione di pace in verità c’è stata e ha continuato a lavorare silenziosa, troppo silenziosa perché non ha trovato orecchie attente ad ascoltarla. Cinque carovane #Stopthewarnow hanno portato aiuti e speranza alle vittime civili dell'invasione russa. Adesso però serve un movimento capace di distinguere aggrediti e aggressori. E che dia al tempo stesso voce a chi considera la guerra una maledizione

Sono tornate le cicogne a Mykolaiv. Grandi nidi sovrastano pali ormai inutilizzati della rete elettrica e mentre la neve ancora ricopre con lunghe distese bianche le infinite distanze dell’Ucraina in guerra, e il fango a terra ostacola le operazioni militari russe, la natura sembra riconquistare uno spazio nonostante lo scontro che ha fatto riscoprire all’Europa la sua fragilità.

Più di un anno è ormai passato dall’inizio del conflitto sul confine tra Russia e Ucraina e se nessuna iniziativa ha fino ad oggi scalfito lo scontro militare, una ostinata operazione di pace in verità c’è stata e ha continuato a lavorare silenziosa, troppo silenziosa perché non ha trovato orecchie attente ad ascoltarla.

Cinque carovane della Pace dall’inizio del conflitto si sono mosse dall’Italia per portare aiuti, canali umanitari, voci solidali tra Leopoli e Mykolaiv, ai lati opposti di questo Paese martoriato, organizzate da una campagna con un nome chiaro, #Stopthewarnow, e circa 180 organizzazioni federate insieme per costruire corpi civili di pace cioè vivere il conflitto insieme alle vittime e dare corpo a un’istanza politica afona nel dibattito internazionale.

Dopo un anno di guerra questo movimento di pace è ancora qua. Questa volta nella quinta carovana tra Odessa, Mykolaiv e Kherson ha portato generi di conforto, generatori elettrici; ha portato luce e acqua dove sono beni rari, sottratti dall’avanzare della linea del fronte. 

La primavera è vicina ma la speranza che dopo un anno si apra una pagina per un cessate il fuoco appare troppo lontana. Ai confini dell’Europa, l’Europa non c’è. Non c’è nel dibattito pubblico, inerme di fronte al ritorno dei nazionalismi interni e incapace di avere voce comune di fronte al nuovo imperialismo di Vladimir Putin. Ma il nazionalismo guerresco del presidente ucraino, visto da Mykolaiv, dopo un anno di conflitto è logoro: logori sono i cartelloni che invitano all’arruolamento di cui la lunga strada che separa l’Italia dalla trincea è disseminata, dentro e fuori le città; logore sono le bandiere rosse e nere che ormai sparute si richiamano al nazionalismo ucraino fascisteggiante di Bandera; disattenti e scomposti sono i checkpoint a ogni angolo di strada. La guerra stanca e chi non è potuto scappare si alterna tra la ricerca di beni di sopravvivenza e il tentativo di costruire una apparente normalità. 

Non ci siamo abituati alla guerra, dice Erri De Luca, anche lui senza sosta impegnato nelle attività umanitarie. Erri dice, siamo scocciati dalla guerra: siamo scocciati in Italia, e lasciamo che la guerra scompaia come scandalo dalle prime pagine dei giornali, come un martirio di cui non possiamo più occuparci; siamo scocciati e lasciamo che le voci più forti, come quella di Papa Bergoglio, debbano sforzarsi per trovare ascolto nella politica e nella diplomazia. Siamo scocciati e in fondo nella bolla progressista non si può discutere di sovranità europea senza temere di intaccare il protagonismo angloamericano, e questo fa forse anche comodo. 

Ma anche al fronte sembra proprio che la guerra abbia scocciato. Una scocciatura disperata, che cerca generi di conforto, ma non solo materiali. Cerca politica, cerca il conforto di una festa improvvisata in piazza e della musica per ritrovarsi insieme, mentre gli allarmi aerei si alternano sugli smartphone.

Un movimento coraggioso. Ecco servirebbe un movimento coraggioso che desse voce a quella maggioranza silenziosa che continua a credere che la guerra sia una maledizione che avvenga dall’altra parte del Mediterraneo, nei tanti conflitti in giro per il mondo, e proprio qua dove si è aperto il vaso di Pandora degli anni Venti del nuovo Millennio. Un movimento che sappia distinguere aggrediti e aggressori, ma che faccia proprie le parole di chi in questi anni si è speso per salvare le vite in mare: prima si salvano le vite poi si discute.

La primavera arriverà anche qua. Ma tutti sanno che scomparsa la neve e il fango, il fronte tornerà a muoversi. Nuove morti e nuove battaglie, forse la speranza di un tavolo di pace.

Un movimento che ha riscoperto la potenza dei corpi che si muovono insieme ed entrano in campo armati del desiderio di scegliere in quale mondo valga la pena vivere e costruire futuro e democrazia, qua oggi tiene duro. 

La primavera arriverà e vedremo se avranno più forza le ragioni di un conflitto che ha seminato odio eterno in quella giovane generazione che ha dovuto rinunciare oggi al futuro, o avranno più forza le cicogne di Odessa e Mykolaiv, che hanno occupato una sospensione di tempo e hanno la forza dei simboli, quelli per cui dobbiamo lottare.

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