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Dall’Ucraina al Libano l’Ue è condannata all’irrilevanza (di Ignazio Marino)

Immagine di copertina

A novembre sapremo chi sarà il nuovo “Commander in Chief” dell'esercito più potente del mondo. E avremo più chiaro cosa vorranno fare gli Usa con Kiev, la Russia e in Medio Oriente. Il Vecchio continente invece resta a guardare, per poi dover accettare quanto deciso da altri

Pochi giorni ci separano dall’elezione del prossimo o della prossima presidente degli Stati Uniti d’America. Potrei votare per posta ma ho deciso che andrò di persona perché considero quest’appuntamento elettorale un evento storico per il nostro pianeta. Il giorno successivo al 5 novembre sapremo chi sarà il “Commander in Chief” dell’esercito più potente del mondo e comprenderemo cosa potrà accadere in Ucraina e in Medio Oriente. Non lo scrivo guardando agli Usa come la potenza che debba o possa affrontare le questioni belliche che maggiormente incidono sulla vita degli europei. Lo scrivo temendo che l’Europa si stia condannando all’irrilevanza nella geopolitica mondiale.

Una nuova Jalta?
Gli Usa hanno contribuito in maniera determinante a liberare l’Europa dal nazismo, ma successivamente si sono sempre impegnati in conflitti che hanno portato morte e distruzione, peggiorando le condizioni di interi Paesi. Nell’ultimo quarto di secolo, dall’Iraq, alla Libia sino all’Afghanistan, oltre alle atrocità della guerra, l’intervento americano ha lasciato territori socialmente poveri e politicamente instabili. Era voluto? Non lo penso, non ho un pregiudizio negativo sugli Usa, ma ho un giudizio negativo sull’idea di esportare la democrazia oppure di proteggere la propria crescita economica con la guerra.

Il 24 febbraio del 2022, l’Europa si è trovata coinvolta in un devastante e sanguinoso conflitto all’interno del proprio continente. L’offensiva militare iniziata dalle Forze armate della Federazione Russa con l’invasione del Donbass e della Crimea ha determinato un violento e improvviso inasprimento del conflitto russo-ucraino in corso dal 2014. Non ritengo di avere la capacità di indicare ciò che sia giusto fare per porre termine alla strage di vite innocenti in Europa e in Medio Oriente, ma ho una convinzione su cosa dovrebbe essere tentato e che non è stato fatto. Proprio in Crimea, nei pressi di Jalta, dal 4 all’11 febbraio 1945 si riunirono Franklin Delano Roosevelt, Winston Churchill e Iosif Stalin. In una situazione temporale favorevole all’Unione Sovietica, che con le sue truppe stava per entrare a Berlino, i leader di questi tre Paesi decisero quali dovessero essere gli assetti geopolitici del mondo e le rispettive aree di influenza. Ciò che avvenne a Jalta può essere giudicato giusto o sbagliato, ma avvenne e cristallizzò gli equilibri del mondo per molti decenni.

Al punto che, un influente senatore americano, Joe Biden, nel 1997 affermò che sarebbe stato un errore annettere i Paesi baltici alla Nato, perché questo avrebbe determinato una reazione «vigorosa e ostile» da parte della Russia. Dalla caduta del muro di Berlino a oggi, quattordici Paesi dell’Europa orientale sono entrati nella Nato, per far parte di un’alleanza che obbliga gli Stati Uniti a venire in loro difesa in caso di attacco della Russia. Questi Paesi oggi sono liberi dall’oppressione della Russia e il 31 marzo scorso Bulgaria e Romania sono state ufficialmente accolte nell’area Schengen. Non credo che noi cittadini dell’Europa occidentale possiamo comprendere appieno la sensazione di libertà percepita da chi ha vissuto sotto il controllo sovietico e l’impossibilità di spostarsi, improvvisamente divenuta incredibile opportunità di muoversi in ognuno dei ventisette Paesi dell’Unione europea senza neanche dover mostrare il passaporto.

Rapporti personali
È impossibile non applaudire per aver stabilito norme che consentano la libertà di movimento e con essa la libertà di aspirare a disegnare il proprio futuro e la propria felicità. Ma la storia è plasmata anche da singoli personaggi e studiare la loro psicologia può aiutare a comprendere i fatti e a cercare di prevenire nuove tragedie.  

Il 9 novembre 1989 Vladimir Putin, un giovane militare del Kgb, si trova a Dresda accanto all’edificio della Stasi, la terribile polizia segreta della Germania comunista. Alcune migliaia di cittadini vogliono entrare perché sanno che lì vi sono documenti segreti. Vladimir Putin si sposta all’ingresso del quartier generale del Kgb e scendendo i gradini dice alla folla di avere dodici pallottole e che se tenteranno di entrare ucciderà undici persone conservando la dodicesima per se stesso. Lentamente, la folla abbandona il luogo, convinta della determinazione di quel giovane sovietico. Ecco, questo è il personaggio che ha invaso l’Ucraina, ma oggi non ha dodici pallottole, bensì seimila e trecento testate nucleari. 

Poche settimane fa, il 10 settembre, Donald Trump ha dichiarato al mondo che se vincerà le elezioni non attenderà l’insediamento alla Casa bianca nel gennaio 2025. Telefonerà immediatamente al suo amico (così lo ha definito) Putin e risolverà la questione ucraina in pochi giorni, se necessario anche andandolo a trovare a Mosca.

Roulette russa
E l’Europa che fa? Gioca alla roulette russa come nel film “Il cacciatore”, annichilita nella speranza che Kamala Harris vinca le elezioni. Penso che sia un gravissimo errore strategico e sostanziale attendere che gli Usa affrontino il dramma del conflitto ucraino e quello in Medio Oriente. Roberta Metsola, aprendo a Strasburgo la plenaria del Parlamento europeo, ha voluto ricordare il violentissimo atto terroristico di Hamas a dodici mesi dal 7 ottobre 2023, ma non ha pronunciato una singola parola di condanna per le oltre 42 mila vittime civili palestinesi dei bombardamenti israeliani. È così difficile pronunciare la parola genocidio?

Il 23 settembre, insieme a una delegazione del Parlamento europeo, siamo stati ricevuti a New York da Jean-Pierre Lacroix, sottosegretario generale per la Pace dell’Onu, che ci ha illustrato i passi compiuti dalle Nazioni Unite per giungere a un cessate il fuoco in Ucraina, Gaza e Libano. A nome della nostra delegazione ho chiesto di spiegarci come mai dopo il 25 marzo 2024 non fosse cessato il fuoco almeno in Medio Oriente.

Quel giorno di sei mesi fa, il Consiglio di Sicurezza dell’Onu decise all’unanimità che Israele dovesse interrompere i bombardamenti e, con una decisione di portata storica, gli Usa non posero il veto sulla proposta di Cina e Russia. Jean-Pierre Lacroix ha ascoltato pazientemente la domanda e poi ha risposto con un laconico: «È la politica». Negli ultimi giorni non solo Israele non ha fermato le ostilità ma ha anche sparato sul quartier generale dell’Onu in Libano.

Il tempo scorre rapido e non sembra esserci alcuna volontà da parte della presidente della Commissione europea di convocare una conferenza di pace. Non ci sono più né Roosevelt, né Stalin, né Churchill ma i capi dei governi di Usa, Cina, India, e Russia come potrebbero non rispondere all’invito ad incontrarsi della presidente Ursula von der Leyen, magari di nuovo in Crimea, per individuare insieme una soluzione? Se non lo si farà con l’urgenza necessaria entro i prossimi giorni, altri guideranno le sorti di questi conflitti che tanto dolore e morte stanno seminando. E l’Europa rimarrà a guardare, per poi dover accettare quanto deciso da altri, condannandosi all’insignificanza.

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