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Tutti pazzi sotto il Campidoglio (di Giulio Gambino)

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L'editoriale del direttore di TPI Giulio Gambino sul terzo numero del nostro nuovo settimanale

Quattro candidati per la poltrona più scomoda d’Italia e gli elettori mai così indecisi. Giustamente, aggiungiamo noi. E allora ripercorriamo brevemente insieme questa campagna elettorale simbolo di tutte le follie della politica nazionale. Pochi giorni fa l’ex sindaco di Roma Ignazio Marino irrompe e chiede le scuse del Pd romano per i giochi di potere che portarono alla sua cacciata.

A scusarsi però non sono i dem capitolini ma l’attuale sindaca Virginia Raggi, la quale per non farsi mancare nulla candida il cameriere che accusò Marino di aver acquistato una bottiglia di vino da 50 euro con la carta di credito del Comune di Roma. Sindaca che a sua volta, in un faccia a faccia con The Post Internazionale questa settimana, denuncia il sistema feudale del Pd romano (pp.40).

Per non sbagliare, il candidato democratico Roberto Gualtieri ricandida invece gli accoltellatori di Marino. Nel mentre viene fuori (grazie a TPI) che, due anni fa, l’attuale candidato sindaco del centrodestra Enrico Michetti portò in dote almeno “50 voti” a Gualtieri per le elezioni Europee. Si è giustificato così: aiutava le famiglie di sinistra del suo condominio a incanalare i voti verso il candidato dem. Oggi Michetti corre contro Gualtieri. Miracoli della politica italiana.

E la notizia di per sé è questa: il fu già elettore di Gualtieri, oggi presunto favorito per il Campidoglio, nel 2019 aveva 50 voti. Del resto alla candidatura di Michetti i vertici del centrodestra non hanno mai creduto fino in fondo. E ora c’è anche chi gufa apertamente in casa (Giorgetti: “Calenda è l’uomo giusto per Roma”). Il che rende Michetti il candidato perfetto, nel caso in cui perdesse, da utilizzare come clava contro la Meloni che lo ha tirato in ballo senza riuscire a trovare un uomo politico all’altezza della partita.

Non è finita qui perché poi c’è “hey-maschio” Calenda, che finora si è capito solo che vuole i voti della destra. Non fa sconti davvero a nessuno, lui che da amministratore locale di cose ne ha fatte tante. Deve essergli dispiaciuto parecchio non essere stato chiamato da Draghi a fare il ministro: questo governo di unità multinazionale sarebbe stato ideale per lui. I suoi finanziamenti? Arrivano da Milano, così non ci sono conflitti d’interessi, sostiene. Come può agire nell’interesse pubblico uno che deve la propria campagna elettorale a un gruppo di uomini d’affari?

Virginia Raggi, che governa da cinque anni, ritiene che a Roma vada tutto bene senza però ammettere che a Roma non va tutto bene. Ai tre che sfidano Michetti (dato per certo al ballottaggio) gli ultimi sondaggi prima del silenzio attribuiscono il 60 per cento dei consensi, certificando almeno una delle seguenti cose: o la sinistra è al 60 per cento in Italia e non ce ne siamo accorti, oppure quei sondaggi sono gonfiati e gli anti-Michetti pescano a destra. Di programmi elettorali, inutile ricordarlo, se n’è parlato zero. Michetti, per esempio, lo ha presentato a meno di due settimane dalle elezioni: doveva importargliene molto. Prima o poi impazziremo. Intanto buon voto.

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