La Turchia batte l’Italia nella corsa alla ricostruzione in Libia
Con l’avvicinarsi delle elezioni presidenziali, previste alla vigilia di Natale, i grandi gruppi internazionali provano a ritagliarsi una fetta della torta della ricostruzione libica, una partita su cui Roma gioca in difesa
A meno di un mese dalle presidenziali del 24 dicembre, che nonostante gli annunci restano ancora incerte, in Libia si accende la corsa alla ricostruzione. Qui si scontrano le ambizioni economiche di Italia, Turchia, Francia ed Egitto e, neanche a dirlo, la posizione italiana sembra – in prospettiva – la più fragile.
Aeroporti, strade, centrali elettriche, il mercato della ricostruzione libica vale quasi 111 miliardi di dollari. In prima fila troviamo le imprese turche che, sulla scorta dell’intervento di Ankara in aiuto di Tripoli, si sono già assicurate una buona quota di contratti.
A Tripoli e Misurata tre progetti, per un investimento complessivo di oltre 750 milioni di dollari sono già stati avviati da due aziende turche, mentre l’Italia attende la primavera, quando dovrebbero partire i lavori (affidati a Salini Impregilo) per i 400 chilometri di una strada costiera da realizzare nel nord-est della Libia, resuscitando un accordo da 960 milioni di euro tra Gheddafi e Berlusconi.
Se anche l’Egitto punta sulla costruzione di un’autostrada nell’est del Paese vicino, la Francia è ancora alla fase di manifestazione di interesse di grandi gruppi come Vinci, Total, Denos e Sanofi. Mentre Ankara prosegue i contatti, tutte queste iniziative dovranno aspettare l’esito delle consultazioni previste alla vigilia di Natale. In questo scenario, con una limitata presenza militare sul campo e in mancanza di candidati amici, la posizione italiana appare la più debole e schierata in difesa (di Eni).
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