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Tornano le tende davanti alle università: ritratto di una generazione in lotta

Immagine di copertina
Credit: AGF

Ragazzi e ragazze tornano ad accamparsi davanti agli atenei per protesta contro il caro affitti. Ma la loro battaglia va oltre i diritti alla casa e allo studio. È una contestazione a un intero modello sociale e di sviluppo. Questi giovani fanno politica. La domanda da porsi è: chi li rappresenta?

D’accordo: Elly Schlein dovrebbe imparare a comunicare meglio, utilizzando termini di facile comprensione anche per chi nella vita non ha avuto la possibilità di proseguire gli studi. Fatto sta che il ritorno del movimento delle tende, con ragazze e ragazzi accampati di fronte agli atenei per protestare contro il caro affitti nelle grandi città e il mancato ascolto da parte del Governo, ci dice che a essere stata «esternalizzata» in Italia, ormai, è un’intera generazione.

E allora c’è un altro termine, tipicamente schleiniano, da prendere in considerazione: intersezionalità. Detta semplice, è il bisogno delle nuove generazioni di prendersi cura del prossimo.

“I care”, mi riguarda, come sosteneva don Milani. E per citare ancora il sacerdote di Barbiana: «Ho imparato che il problema degli altri è uguale al mio. Sortirne insieme è la politica, sortirne da soli è l’avarizia». 

Tutto si tiene
Nella stagione del “Me ne frego” imperante, della destra trumpiana che dilaga, della disillusione e del disincanto, abbiamo dunque a che fare con dei ventenni che hanno deciso di opporsi. Non saranno tutti animati da una travolgente passione civile, ma basta farsi un giro alla Sapienza o in qualunque altra università in subbuglio per rendersi conto che il disimpegno degli anni Ottanta e l’ottimismo di maniera dei Novanta appartengano al passato. 

Siamo in una fase storica radicalmente diversa, caratterizzata dalla protesta, dalla contestazione al modello sociale e di sviluppo dominante e dalla lotta contro le disuguaglianze che stanno acuendo il divario fra chi sta in alto e chi sta in basso, il che spiega le ragioni di una mobilitazione così intensa e prolungata nel tempo.

E guai a pensare che solo di equo canone si tratti, perché parlando con alcuni di questi ventenni si ha chiara l’impressione che la loro sia una battaglia a tutto campo, che comprende il diritto alla casa e quello allo studio, la tutela ambientale e la dignità delle donne, il contrasto all’ideologia disumana del merito, inteso come esclusione dei più deboli, e la richiesta di un lavoro stabile e di qualità, caratterizzato da tutele e salari degni di questo nome. 

Intersezionalità, pertanto, è il termine giusto per descrivere il modo di essere di una generazione che non è disposta a vivere nelle retrovie o a lasciarsi scivolare addosso i problemi, che intende far politica nella sua accezione più nobile e che non accetta più uno stato delle cose che non solo la penalizza ma le impedisce di realizzarsi pienamente. Sono consapevoli che tutto si tenga, che ogni diritto debba essere difeso strenuamente e che non esistano questioni che riguardano una sola categoria di persone. 

E i partiti?
Il punto adesso è: chi li rappresenta? Abbiamo capito, infatti, che le loro critiche sono rivolte soprattutto all’indirizzo del Governo e delle Regioni, che continuano a ignorarli nonostante le promesse dei mesi scorsi. Ma come la pensano davvero? Possiamo definirla una generazione di sinistra? Sarebbe una forzatura.

Diciamo che si tratta di una generazione in guerra con se stessa e col sistema, travolta da un senso di vuoto interiore che le toglie il respiro e le rende assai difficile immaginare un futuro, come scrive con maestria Bernardo Zannoni in “25” (Sellerio Editore), un romanzo destinato a diventare una testimonianza preziosa della fase storica che stiamo vivendo.

Già, ma politicamente? La segretaria del Pd, a maggio, andò a trovarli, dimostrando sensibilità e attenzione ai loro problemi. E anche Movimento 5 Stelle e Alternativa Verdi e Sinistra hanno fatto la propria parte, al pari di alcune testate, tra cui la nostra, che da anni si interrogano sulle storture di un Occidente che ha smarrito valori, prospettive e punti di riferimento. 

Qualcuno li ritiene discorsi fumosi, ma per costruire un’alternativa all’attuale esecutivo non si può che partire da qui. Se non si coinvolgono questi giovani idealisti, spiace dirlo, ma la sinistra non avrà un domani. 

Certo, bisogna stare attenti a non strumentalizzarli e a non pretendere che si tratti di un blocco omogeneo perché là in mezzo c’è di tutto, comprese persone che non intendono impegnarsi in politica ma unicamente denunciare un disagio che mette a repentaglio il loro avvenire. Basti pensare che circa metà di loro si è interrogato sulla possibilità di continuare o meno gli studi e a cosa significhi un dato così allarmante, in un Paese in cui la percentuale di laureati è bassissima e lontana anni luce dai parametri fissati dall’Unione europea. 

Un’altra Sinistra
Perché si sentano coinvolti in un progetto più ampio, però, serve un altro Pd. Con tutto il rispetto per l’attuale segreteria, cui riconosciamo di aver compiuto qualche passo avanti e di aver cambiato prospettiva su questioni cruciali come i diritti civili e la necessità di un’alleanza larga e con lo sguardo rivolto a sinistra, non c’è dubbio difatti che molta strada resti ancora da compiere. 

Come abbiamo sottolineato di recente a Bologna, nel corso della nostra festa annuale, è indispensabile che questo partito faccia i conti con il proprio passato, con le leggi sbagliate che ha varato e con le troppe volte che si è allontanato non solo dal suo elettorato di riferimento ma anche da quel vasto universo giovanile che non si ritrova di sicuro nel cattivismo “law and Orbán” di questa destra ma non ha ancora capito se esista uno schieramento in grado di contrastarla. 

Questa è la settimana della grande manifestazione della Cgil, alla ricerca della “via maestra” per difendere la Costituzione e denunciare l’insostenibilità di una visione economica che sta rendendo gli ultimi sempre più ultimi, ad esempio abolendo il Reddito di cittadinanza senza offrire alcuna alternativa all’altezza a coloro che lo percepivano.

Umiliati
Sbaglia chi pensa che il movimento delle tende si fermerà. Non accadrà perché non hanno niente da perdere. Non accadrà perché si è risvegliata, fra i ventenni, quella luce di speranza chiamata solidarietà che induce, tanto per citarne una, i romani a dormire in tenda insieme ai loro amici provenienti da ogni altra parte d’Italia. Non accadrà perché sta partecipando alla protesta persino qualche studente in Erasmus, a dimostrazione che ormai la lotta contro le conseguenze di una globalizzazione dissennata ed escludente travalica le frontiere. 

Del resto, il concetto meloniano di «Nazione» è quanto di più distante dal vissuto e dal modo di sentire di una generazione abituata, fin dall’infanzia, ad avere compagni di scuola provenienti da ogni angolo del mondo, a viaggiare e a sentirsi parte della comunità internazionale. Non è per tutti così, questo è il dramma, ma di sicuro lo è per gli universitari e per le frange più colte ed emancipate della società che, non a caso, soffrono moltissimo per i provvedimenti dell’esecutivo ai danni dei migranti e di chiunque incarni una qualsivoglia forma di diversità. 

Loro in piazza continueranno a scendere, ma è indispensabile che qualcuno li inviti a entrare nel palazzo e che loro accettino, altrimenti non ci sarà niente da fare.

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