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Tra super leghe e allargamenti Champions, ecco come è aumentato il divario tra i campionati europei

Immagine di copertina
Johan Cruyff alza di fronte ai tifosi la Coppa dei Campioni vinta con l'Ajax Credit: Fotograaf Onbekend / Anefo

Il rumore del terremoto appena piombato sul mondo del calcio e che porta il nome di “Super Lega” è un rumore familiare, già sentito in un passato non così remoto. Non è la prima volta, infatti, che si parla di una competizione del genere, un torneo europeo a sé stante tra un numero limitato e in gran parte fisso di big. Anche se non si era mai arrivati a un annuncio ufficiale, quando si è parlato di una simile competizione nel giro di poco tempo si sono visti grandi cambiamenti nel mondo del calcio.

Non sappiamo ancora se il nuovo torneo verrà effettivamente messo in campo o la resistenza dell’UEFA e delle leghe nazionali porterà a una mediazione tra le parti, ma è verosimile che a breve saremo di fronte a un cambiamento importante del sistema calcistico europeo: non è un caso che nel giorno dell’annuncio della Super Lega era in programma anche l’annuncio della nuova formula della Champions League, ben diversa da come abbiamo conosciuto questa competizione.

Alla fine degli anni ’90, sulla scia di un calcio che si faceva sempre più globale, si iniziò a parlare della possibilità di costituire una Super Lega tra le maggiori squadre europee, e per evitare che ciò potesse avvenire a discapito delle competizioni continentali, l’UEFA rivide il sistema delle coppe. Fu così che la Champions League fu aperta nel 1997 anche alle seconde classificate dei principali campionati, mentre dal 1999 il cambiamento fu ben più radicale.

Da quell’anno, secondo la struttura delle coppe europee venne cambiata radicalmente, alterando notevolmente i rapporti di forza tra i diversi campionati: la Champions League venne aperta dalle prime quattro squadre dei maggiori campionati, le terze classificate dei gironi della competizione sarebbero state ripescate nella Coppa UEFA (di lì a poco trasformata in Europa League) e la Coppa delle Coppe, dove si qualificavano le vincitrici delle coppe nazionali, fu abolita. A cosa portò tale cambiamento?

La volontà di creare una competizione che vedesse partecipare le principali squadre europee al di là di chi vincesse i campionati nazionali veniva soddisfatta, ma è pur vero che questa aumentava notevolmente il divario tra i principali campionati, con quelli più forti come quello inglese e spagnolo contrapposti agli altri. La Coppa UEFA, invece, vide un forte cambiamento della propria composizione, con le big che hanno gradualmente avuto maggiori chance di qualificarsi alla Champions e facendo dunque scendere agli occhi di molti il livello di tale competizione. L’abolizione della Coppa delle Coppe, invece, l’unico trofeo in cui partecipava una sola squadra per Paese, contribuiva a rendere il calcio europeo appannaggio di pochi campionati e marginalizzava ulteriormente le coppe nazionali.

Il risultato è che oggi abbiamo pochi campionati di prima fascia ritenuti di un livello decisamente superiore agli altri campionati europei, con una geografia calcistica sempre più limitata a un ristretto gruppo di squadre a tante scuole calcistiche che hanno contribuito alla storia di questo sport ridotte alla marginalità. Pensiamo solo al campionato olandese, e all’Ajax, un tempo tra le massime espressioni del calcio mondiale, oggi decisamente in secondo piano, per non parlare di realtà come il Celtic, la Steaua o la Stella Rossa, tutte e tre vincitrici della Coppa Campioni nella loro storia e che oggi potrebbero considerare un grande successo arrivare agli ottavi.

Inutile dire che tutto questo abbia creato una reazione a catena anche sui campionati nazionali maggiormente penalizzati, che rischiano la marginalizzazione, e che per questo sono stati spesso costretti a sperimentare nuove formule. Paesi come il Belgio e la Grecia, ad esempio, hanno dovuto dividere il campionato in due fasi, con la seconda dedicata ai playoff per stabilire il vincitore del campionato.

Non è da sottovalutare neanche l’aumento tra squadre storiche di campionati rimasti marginalizzati, come ad esempio i Rangers in Scozia o l’AEK e l’Iraklis in Grecia, un altro sintomo di come tutto ciò abbia premiato poche squadre di pochi campionati a discapito di altre.

E oggi, non sappiamo cosa accadrà con l’annuncio della Super League, ma sappiamo che il calcio è uno sport di popolo, che non può prescindere da quel legame unico che si crea tra i tifosi e le squadre. E che non può prescindere dai risultati ottenuti con le prestazioni dei campioni.

Abbiamo visto, come dimostra lo scudetto del Leicester o il modo in cui è emersa l’Atalanta, che c’è ancora spazio per sorprese e rivelazioni, ma abbiamo anche visto come il calcio si sia gradualmente accentrato sempre di più intorno a pochi campionati. Speriamo che questo spettacolo possa continuare ad appartenere a tutti.

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