La scuola ha perso il suo ruolo educativo: ecco perché gli studenti vanno ascoltati, non presi a manganellate
Duemila anni fa il filosofo Plutarco insegnava che “gli studenti non sono vasi da riempire ma fiaccole da accendere” per criticare le modalità di insegnamento da parte dei maestri d’allora di caricare i propri allievi con un insieme di nozioni che non formano la cultura, bensì la rendono un qualcosa di arido. Nel corso dei secoli, questa tendenza è ritornata fino ad essere assorbita anche dal nostro sistema scolastico, impegnato a riempire i cervelli dei nostri studenti con nozioni, definizioni e con un forte senso di competizione.
Quello che sta accadendo in questi giorni a seguito della tragica morte del giovanissimo Lorenzo Parelli ha suscitato in me una serie di riflessioni su quanto sia importante dare ascolto ai tanti giovani che stanno manifestando per avere una scuola diversa.
Negli anni del mio percorso scolastico ho talune volte potuto sperimentare la frustrazione di sentirsi inascoltati, ancorati alla mera valutazione piuttosto che ai contenuti che formano quella che Gramsci chiamava “cultura organica” ovvero l’insieme fra il sapere pratico e teorico.
A mio parere è la perfetta sintesi degli articoli 33 e 34 della Costituzione che ci consegnano a noi un luogo dove vengono formate le menti attraverso un processo di crescita personale e comunitaria; proprio il senso di comunità spinge tanti studenti a denunciare la morte di Lorenzo come una condizione che riguarda tutti loro, per questo il Ministero dovrebbe ascoltarli e non prenderli a manganellate. Nel corso del mio ultimo anno al liceo, ho avuto l’onere e l’onore di poter ricoprire la carica di rappresentante d’istituto e della Consulta Provinciale di Napoli, ho potuto comprendere l’importanza dell’ascolto, dovendo quotidianamente prendere contatto con le difficoltà degli studenti per poi riportarle a chi di dovere.
Ascoltare richiede grande umiltà, perché è una delle più grandi e supreme forme di apprendimento e di conoscenza. Saper ascoltare significa spersi mettere in discussione ed instaurare un dialogo con l’interlocutore al fin di risolvere ogni controversia. Purtroppo ho constato che la nostra scuola è, ahimè, divenuta un’azienda che offre dei servizi standardizzati e che deve rispettare degli obbiettivi.
Con l’avvento della c.d. “Buona scuola” (riforma del Governo Renzi) e della valutazione degli INVALSI (introdotti dal Governo Berlusconi IV), questo sistema si è aggravato ancora di più, cercando di appiattire le “singolarità” di ogni allievo in nome di “un’unicità” che non è vuole altro che essere un nuovo modello di mediocrità. Pertanto non possiamo ritenere un caso se i nostri studenti sono fra gli ultimi in Europa per le competenze di base (rapporto OCSE- PISA, 2018) con un gravissimo divario fra Nord e Sud, che continua ad acuirsi.
Se dovessi immaginare ad una sfida impegnativa per il PNRR, mi viene da pensare senza alcun dubbio al rifacimento dell’intero sistema scolastico, partendo dal rinnovo dei programmi di studi, passando per l’ammodernamento degli istituti scolastici, fino ad arrivare all’abolizione dell’alternanza scuola-lavoro, perché sempre come insegnava Antonio Gramsci “la scuola va considerata un lavoro, le ore a scuola sono ore di lavoro senza doverle alternare con altre attività che, automaticamente, verrebbero a privare il lavoro della scuola di quello che esso è nella realtà: appunto, lavoro”.
Come cittadini siamo chiamati a ricordare che la scuola deve formare un esercito di partigiani in grado di resistere alle intemperie della vita.