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L’industria della paura, la solitudine e la cultura delle armi dietro le stragi nelle scuole Usa

Immagine di copertina
Credit: Jintak Han/ZUMA Press Wire

Ventuno morti, di cui 19 bambini, in una sparatoria in una scuola elementare americana. Il killer, un ex studente della scuola di 18 anni, è stato ucciso dalla polizia. La strage è avvenuta alla Robb Elementary School di Uvalde, una cittadina del Texas a metà strada tra San Antonio ed il confine con il Messico. Non è la prima volta. Non sarà l’ultima. Nel 1999 alla Columbine High School, una scuola superiore a pochi chilometri da Denver, in Colorado, dodici studenti ed un insegnante vennero uccisi a colpi d’arma da fuoco da due ragazzi di 18 anni che si suicidarono dopo il massacro. Quell’eccidio venne sapientemente raccontato nel documentario premio Oscar di Michael Moore Bowling for Columbine. Nel 2007, al Virginia Polytechnic Institute di Blacksburg uno studente sudcoreano di 23 anni sparò all’impazzata uccidendo 32 persone prima di suicidarsi. Il 14 dicembre del 2012, alla Sandy Hook Elementary School di Newtown, in Connecticut, vennero assassinate 27 persone di cui 20 bimbi di 6 e 7 anni. A sparare fu un ragazzo di 20 anni. Anche lui si tolse la vita dopo la strage. Ragazzini che muoiono e ragazzi che sparano. E succede ovunque. In Texas, nel profondo sud americano, in Colorado, ai piedi delle Montagne Rocciose, in Connecticut, lungo la costa nord-orientale del Paese o in Virginia.

Leggo le parole colme di indignazione di Biden il quale, tra l’altro, all’epoca della carneficina alla Sandy Hook era vicepresidente USA. «Dobbiamo agire. Adesso un’azione contro la lobby delle armi». Ben venga una stretta sul possesso di pistole e fucili in un Paese dove è dannatamente facile procurarsi un’arma da fuoco. Ma c’è dell’altro. Molto altro. Nel suo documentario Moore analizza sì la diffusione delle armi ma anche il clima di paura e pressione che si vive in USA. L’insicurezza sociale dilaga, così come la solitudine e le malattie mentali. Un clima, ahimè, sempre più diffuso anche in Italia, complice la disgregazione dello Stato sociale e le difficoltà nelle relazioni.

D’altro canto se c’è un’industria che non entra mai in crisi questa è proprio quella della Paura. Chi ha paura di morire pensa a comprare un’arma da fuoco. Anche in Italia, in fondo, c’è chi spinge i cittadini ad armarsi. La droga si trova ormai ovunque. È più facile rimediare una dose di coca che prenotare una tac. E così chi ha paura di vivere è servito. Il gioco d’azzardo cresce in modo spaventoso. E la crisi economica e sociale non farà altro che alimentarlo. Così chi ha il terrore di non riuscire a pagare le bollette ha la sua effimera e drammatica valvola di sfogo. “Viviamo in un mondo governato dalla paura. La paura comanda ed il potere alimenta la paura. Che ne sarebbe del potere senza la paura?” scrisse Eduardo Galeano ne “El Miedo manda” (La Paura comanda”). La politica, se fosse seria, dovrebbe, oggi più che mai, occuparsi del contrasto alla diffusione della paura. Sarebbe molto più saggio che prendere a modello la società nordamericana.

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