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La storia e quel difficile equilibrio tra ricordare e dimenticare

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La damnatio memoriae, la pena che nell’antica Roma era riservata soprattutto a nemici e traditori e che consisteva nel rimuoverne ogni memoria dell’esistenza del condannato, ha un aspetto particolarmente cinico: la prima cosa a non essere tramandata da una sua applicazione perfetta sarebbe proprio l’efficacia di tale pena.

Di persone condannate alla damnatio memoriae sono pieni i libri: spesso, dopo un’iniziale cancellazione (testimoniata anche da iscrizioni rimosse e opere d’arte scalpellate), il condannato è stato spesso riabilitato dopo la morte o la pena non ha avuto un’attuazione ferrea, e le gesta del malcapitato sono arrivate ugualmente ai nostri giorni. Tuttavia, di fronte all’ipotesi di una perfetta applicazione di questa pena e dell’assenza di revisioni o atti di clemenza successivi, non potremmo avere testimonianza dell’esistenza di una determinata persona né delle sue opere o delle sue gesta. E con essa, nemmeno della sua condanna alla damnatio memoriae e della sua perfetta applicazione.

Il cinico paradosso mostra tuttavia uno degli aspetti più importanti degli antichi romani, ovvero una visione universale e proiettata a un futuro distante, che deve passare anche dalla storia e dalla memoria intese principalmente come celebrazione e tagliava fuori chi non ne era degno. Un aspetto che ha senz’altro dato un impulso molto importante al concetto di memoria storica, e che è testimoniato da targhe e monumenti di ogni epoca che vediamo in città e paesini in giro per tutto il mondo.

L’importanza della memoria, tuttavia, si muove anche in senso opposto a come i romani concepivano la damnatio memoriae: oggi non ci sogneremmo mai di cancellare ogni traccia dell’esistenza dei personaggi più negativi del passato recente, e cerchiamo di contestualizzarli nel modo migliore possibile perché proprio studiando la storia che ha portato a episodi così negativi si possono porre le basi per evitare che ciò possa ripetersi. Un passaggio, questo, che necessita un lavoro di memoria e non può passare per drastiche rimozioni di persone e fatti che, anche se nel male, hanno scritto la storia.

Ma la memoria non è solo la difficoltà di dimenticare, ma anche quella di ricordare. Quando una persona meritevole ci lascia e viene negli anni successivi ricordata con targhe e monumenti, le polemiche sulla qualità della statua, la somiglianza del busto, l’aderenza al pensiero della scritta sulla targa o l’adeguatezza della strada dedicata, sono cose all’ordine del giorno. Ed è normale: quando si tratta di ricordare una persona di cui abbiamo una memoria diretta, è del tutto naturale che ognuno si concentri su un aspetto specifico del carattere o del suo operato, soprattutto se ne abbiamo un ricordo positivo. Ma i memoriali, che siano targhe o monumenti, non possono essere pensati per la semplice cronaca, ma devono guardare lontano e lasciare traccia di un pensiero o di opere per millenni: condensare tutto in un solo artefatto non è mai facile, e rischierebbe di diventare solo un busto in mezzo a tanti.

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