La fine del blocco dei licenziamenti produrrà solo salari da fame. E Draghi e Confindustria lo sanno
In fondo è la sua natura. La natura di questo governo che poggia sulla formazione economica di Mario Draghi, l’appoggio entusiasta e incondizionato di tutti i liberisti (e pure degli pseudoliberisti) e su un arco parlamentare che comprende la destra oscena e sovranista, la destra che si finge moderata e perfino quei partiti di destra che insistono nel fingere di essere di centrosinistra.
Che il governo Draghi corra per eliminare il cashback, l’unica iniziativa presa negli ultimi anni per evitare i pagamenti in nero pur con tutte le sue lacune, è un messaggio politico che non può che rassicurare i furbi orfani di quel Berlusconi che senza remore si proclamo loro leader. Che Confindustria sia diventata un’irrinunciabile partner di Draghi e del suo governo è una soddisfazione perfino inaspettata: una riabilitazione così repentina senza passare dalle elezioni era qualcosa che albergava solo nei loro sogni più remoti (e quelli di Renzi).
Ma soprattutto siamo in dirittura d’arrivo di quel blocco dei licenziamenti pensato per evitare di rovesciare il costo della crisi sui lavoratori e che ora si dissolve sotto le martellate del “governo dei migliori”. Per farlo ovviamente hanno dovuto adottare una narrazione contraddittoria che sostengono senza nemmeno vergognarsi: mesi e mesi passati a dirci che la ripresa sarà fortissima e sarà bellissima, Confindustria che da settimane ci racconta che siamo alle porte di un miracoloso boom economico, eppure licenziare diventa un passaggio obbligato. Perfino il più analfabeta in economia si chiederebbe come sia possibile che in un periodo presumibilmente florido la libertà di licenziare sia un’urgenza da sostenere con foga.
La motivazione è semplice semplice: una parte del Paese vuole che la ripresa vada tutta a favore dei margini di profitto per le imprese che ora sono libere di licenziare per poi riassumere con contratti con salari da fame, più precari, senza garanzie e per riuscirci non c’è niente di meglio che mettere i lavoratori nelle condizioni di essere facilmente ricattabili.
Per aumentare il ricatto ovviamente si lavora anche all’eliminazione nel più breve tempo possibile dei sussidi e degli ammortizzatori sociali. A proposito di sussidi: quelli arriveranno direttamente nelle tasche delle aziende, solo che li chiameranno investimenti.
Così il gioco è fatto. Sullo sfondo resta la narrazione dei lavoratori che non hanno voglia di lavorare. Il che li rende ancora più fragili, per poterli pagare meno.