Icona app
Leggi TPI direttamente dalla nostra app: facile, veloce e senza pubblicità
Installa
Banner abbonamento
Cerca
Ultimo aggiornamento ore 20:13
Immagine autore
Gambino
Immagine autore
Telese
Immagine autore
Mentana
Immagine autore
Revelli
Immagine autore
Stille
Immagine autore
Urbinati
Immagine autore
Dimassi
Immagine autore
Cavalli
Immagine autore
Antonellis
Immagine autore
Serafini
Immagine autore
Bocca
Immagine autore
Sabelli Fioretti
Immagine autore
Guida Bardi
Home » Opinioni

La politica spara su Stellantis, ma finge di dimenticare le sue colpe

Immagine di copertina
Credit: AGF

L'azienda resta la principale colpevole per la crisi dell'auto italiana, ma il "livore" dei parlamentari contro Tavares non li assolve dalle loro responsabilità: per troppo tempo i partiti sono rimasti a guardare mentre le fabbriche si svuotavano. Adesso è tardi per indignarsi

«Sento da parte vostra un certo livore, lo stesso atteggiamento che hanno i lavoratori», ha lamentato Carlos Tavares, amministratore delegato di Stellantis, durante la sua recente audizione davanti al Parlamento italiano. In effetti, lo scorso 10 ottobre deputati e senatori sono sembrati a tratti un vero e proprio plotone d’esecuzione schierato contro il manager. Ostili, inquisitori, quasi rabbiosi. Da tutti i partiti sono arrivate dure reprimende: tra i più accaniti Schlein e Conte, mentre Salvini – assente all’incontro – si è addirittura spinto a dire che Tavares «dovrebbe vergognarsi».

Ma se il «livore» dei lavoratori – sostanzialmente impotenti rispetto al disastro che si sta consumando sulla loro pelle – è più che giustificato, altrettanto non può dirsi dei nostri politici, i quali mai negli ultimi decenni hanno manifestato una tale determinazione nel richiamare il mondo delle imprese alle proprie responsabilità. E certo finora non lo avevano fatto nemmeno nei confronti di Stellantis o Fiat.

Intendiamoci, il principale colpevole per la deriva in cui si ritrova l’industria italiana delle quattro ruote rimane senza dubbi l’azienda, che ancora gode del privilegio di essere l’unica casa costruttrice presente in Italia nonostante abbia ripetutamente tradito le promesse fatte su investimenti, occupazione e volumi produttivi.

Tavares denuncia di essere vittima di un meccanismo a tenaglia sulle auto elettriche imposte dall’Ue – da un lato produrle costa il 40% in più rispetto a quelle endotermiche, dall’altro le concorrenti cinesi costano il 30% in meno – ma trascura il fatto che la crisi investe anche le immatricolazioni di benzina e diesel (rispettivamente a -19% e -29% nel mese di agosto). E non può essere colpa dell’elettrificazione, se Fiat ha perso nell’ultimo anno il primato di marchio più venduto nel nostro Paese, superato prima da Volkswagen e poi da Toyota. Quanto alle auto a batteria, va ricordato che le fabbriche italiane scontano un ritardo che risale ai tempi del santificato Marchionne e che Stellantis – così come le altre case europee – si è comunque opposta ai dazi decisi dall’Ue sulle e-car cinesi. Infine, Tavares risulta poco credibile nel piangere miseria dopo aver distribuito negli ultimi due anni ai propri azionisti la cifra esorbitante di 11,3 miliardi di euro a titolo di dividendi.

C’è poco da discutere, insomma, sulle manchevolezze di un gruppo che dal 2021 a oggi ha ridotto la propria forza lavoro in Italia del 14% e che intanto delocalizza in Est Europa e Africa la produzione di modelli simbolo del Made in Italy.

D’altra parte, però, prima di puntare il dito, deputati e senatori – fatta eccezione per Calenda e pochi altri – dovrebbero fare dell’onesta autocritica. Troppo facile fare la voce grossa ora contro la multinazionale partecipata dagli odiati Agnelli-Elkann.

Dov’era la politica mentre gli stabilimenti si svuotavano? A Mirafiori, tanto per citare l’esempio più eclatante, sono oltre quindici anni che la cassa integrazione è di fatto strutturale.

Dov’erano i partiti che oggi strepitano, quando l’Italia veniva superata da Repubblica Ceca e Slovacchia per numero di auto prodotte? Perché, in cambio dei continui contributi pubblici di cui Fiat e Stellantis hanno beneficiato negli anni, non sono stati chiesti impegni vincolanti a tutela dell’occupazione? E perché, al momento della nascita della multinazionale franco-italiana (ma con sede ad Amsterdam), non si è trattato per far entrare il nostro Stato nel capitale sociale (come fece invece l’Eliseo)?

Adesso è tardi per indignarsi. E non bastano gli incentivi all’acquisto per far decollare le vendite di auto elettriche: servono piani di riconversione per accompagnare la filiera e investimenti sulle infrastrutture di ricarica.

Per troppo tempo, governi di ogni colore sono rimasti a guardare. Oggi che l’industria dell’auto è sul letto di morte, per i nostri politici torna buono un celebre verso di Fabrizio De André: «Anche se voi vi credete assolti, siete lo stesso coinvolti».

LEGGI ANCHE: Stellantis al palo, se salta la gigafactory di Termoli salta l’intero automotive italiano

Ti potrebbe interessare
Economia / Chi sta vincendo la corsa globale all’intelligenza artificiale
Economia / Prezzi esagerati, Cina e ritardo sull’elettrico: da dove nasce la disfatta europea dell’auto
Economia / Terna: Standard Ethics migliora il rating a “EE+”
Ti potrebbe interessare
Economia / Chi sta vincendo la corsa globale all’intelligenza artificiale
Economia / Prezzi esagerati, Cina e ritardo sull’elettrico: da dove nasce la disfatta europea dell’auto
Economia / Terna: Standard Ethics migliora il rating a “EE+”
Economia / Superbonus 110: il progetto di cartolarizzazione per salvare l’edilizia italiana
Economia / Energia nuova: cosa emerge dal Piano Strategico 2025-2027 di Enel
Ambiente / È uscito il nuovo numero di The Post Internazionale. Da oggi potete acquistare la copia digitale
Economia / Tronchetti Provera: “La crisi dell’automotive deriva dalle scelte ideologiche e irrealistiche dell’Ue”
Economia / Culti Milano Group cede il 25,11% di Bakel, il brand di skincare che si pone come prossimo step la quotazione in borsa
Lavoro / Conto Aziendale di Fondartigianato: le novità del 2024 migliorano lo strumento a disposizione delle imprese e dei lavoratori
Economia / Perché la spesa militare si esprime in percentuale al Pil?